Inizio con una informazione secondo me necessaria: nonostante il suo titolo, questo libro (George Dyson, La cattedrale di Turing : Le origini dell’universo digitale [Turing’s Cathedral], Codice 2012 [2012], pag. 447, € 24,90, ISBN 9788875783181, trad. Stefania De Franco e Gaia Seller) di Turing parla nel capitolo 13; per il resto non si accenna a lui se non di sfuggita, e in incisi che sembrano essere stati inseriti a forza dall’autore – il figlio del famoso fisico Freeman Dyson – per sfruttare il battage del centenario della nascita di Alan Turing. Per stavolta la colpa non è dell’editore italiano, ma proprio dell’autore. Come ha detto mia moglie Anna, “avrebbero dovuto chiamarlo La cattedrale di Von Neumann!” E in effetti un simile titolo sarebbe stato più corretto, visto che il libro parla della storia dei primi calcolatori elettronici intrecciata con quella del loro uso per creare le bombe a fissione e fusione, e in entrambi i casi “Johnny” è stata una figura prominente.
Passando al lato più prettamente legato alla recensione, il testo è molto americano come stile, privilegiando le testimonianze per quanto possibile dirette e costruendo quindi la storia sulle persone più che sugli avvenimenti: molto utile il glossario iniziale con l’elenco delle persone stesse e una loro lapidaria biografia. L’apparato di note è enorme, ma è più che altro un insieme di riferimenti ad altri libri: insomma può essere tranquillamente saltato. La storia è molto dettagliata, con fatti ignoti almeno a me e che possono gettare una luce anche sulla vita statunitense negli anni 1940 – mica me lo aspettavo che ancora dopo la fine della guerra ci fossero restrizioni per gli acquisti negli USA! – ma purtroppo non dà grandissime informazioni sul software dei primi computer, limitandosi a considerazioni sull’hardware. Verso il fondo Dyson sterza verso la filosofia, con una curiosa interpretazione simbiotica del rapporto tra umani e computer unita a una visione neo-analogica del Web 2.0 che dal mio punto di vista è sconcertante ma comunque interessante.
La traduzione di Stefania De Franco e Gaia Seller è generalmente scorrevole, tranne per alcuni punti dove non mi sono raccapezzato molto; l’editing invece, soprattutto nelle prime cento pagine, lascia un po’ a desiderare con alcuni spazi interparola che sono spariti. In definitiva, un libro principalmente per appassionati della materia.
Ultimo aggiornamento: 2013-01-26 07:00