Io scrivo gratis. E allora?

La scorsa settimana Carlo Gubitosa ha scritto un post dal titolo wertmülleriano. Appello a chi scrive gratis tanto per farsi leggere: e’ il momento di smetterla La sua tesi, rafforzata dalle pubblicazioni dell’Huffington Post in italiano con Lucia Annunziata che afferma gongolante «Iniziamo con circa 200 blogger, ma finché non arriviamo a 600 non mi sento tranquilla» (blogger non sono pagati), è che avere tutta questa gente che scrive aggratis per testate giornalistiche (online ma anche cartacee) ha completamente rovinato il mercato dei freelance che scrivevano articoli per le suddette testate. Gubitosa ha benignamente affermato che non sta parlando di chi ha il suo blogguccio: ma io sono lo stesso toccato, visto che oltre che queste mie notiziole scrivo (gratuitamente) sul Post… e lasciamo perdere i miei contributi su Voices, che in fin dei conti possono essere visti come straordinario aziendale non pagato. Bene, ecco la mia apologia.
So bene qual era il mercato delle collaborazioni freelance una decina di anni fa, avendone fatte anch’io. C’era però una piccola differenza: l’editore per cui scrivevo ha chiuso per crollo delle vendite, e non credo il crollo sia dovuto a quanto scrivevo. Peggio ancora, ora sul Post scrivo di matematica: e lo faccio non per far leggere me, quanto per far leggere di matematica. Non è che dieci anni fa avrei potuto farmi pagare per farlo, vi assicuro: quel mercato non esiste proprio. Insomma, io perdo tempo a scrivere per una ragione ben precisa, sapendo comunque che il mio è un lavoro di nicchia: anche se i ventun lettori non mi pagano né direttamente né indirettamente, mi va bene così. Tutta pubblicità (per la matematica), insomma. Aggiungiamo poi che non ho nessun obbligo di tempistiche e di argomenti, e nemmeno nessun controllo, a meno che non succeda chissà che cosa. Sono insomma l’equivalente di uno di quelli che andavano a parlare allo Speakers’ Corner in Hyde Park. A me sembrano molto più preoccupanti per il futuro del giornalismo quelli che accettano di scrivere un pezzo per due euro o meno ancora: lì sì che si svilisce la professione giornalistica.
Infine, la qualità si è abbassata? Secondo me sì, ma credo che questa sia solo la conseguenza del fatto che la gente non è più interessata a quello che viene scritto, e quindi si accontenta di molto di meno. Le cose che si vogliono sono altre, i soldi vengono messi in quelle altre cose, e il testo scritto ha perso importanza. Ci possiamo fare qualcosa? Probabilmente no, ma è come dire che i guidatori di carri non volevano le automobili per perdere il loro monopolio degli spostamenti…

Ultimo aggiornamento: 2012-10-01 07:00

7 pensieri su “Io scrivo gratis. E allora?

  1. marcoscud

    Potrei vendicarmi dicendo, di Carlo sono amico su FB e di te NO. :) Capisco questo tuo post, ma ripensando al post di Carlo Gubitosa, non mi sembra che stesse parlando di collaborazioni come la tua. Il tuo post, dove parla di quelli che scrivono un pezzo per 2 Euro, mi sembra dica le stesse cose che diceva il suo. Ma da semplice lettore, di lunga navigazione e che arriva da ancora più lontano, trovo che quello che diceva Carlo fossero verità.

  2. Bubbo Bubboni

    Umm, mi sa che si erano distratti all’alba delle polemiche sull’Open Source e ora le motivazioni, che viceversa sarebbero parzialmente riciclabili, sono un po’ raffazzonate.
    Anche se non pare che se ne faccia essenzialmente una questione di qualità, come capitava con il SW, o che ci sia spazio per una (sempre errata) strategia FUD.
    Chissà come mai…

  3. .mau.

    @marcoscud: è possibile che con Gubitosa ci siamo incontrati anche de visu, ma non è quello il problema. Considerando che ha scritto in occasione dell’apertura dello Huffington Post in italiano, che prosegue la linea editoriale “tanti blogger che scrivono per noi aggratis per avere visibilità”, direi proprio che ce l’ha con le collaborazioni tipo la mia. L’unica differenza con un freelance è che io ho sempre pubblicato solo in un posto, ma questo non cambia.
    @bubboni: il modello Open Source applicato al giornalismo implicherebbe che qualcuno paghi per avere articoli di approfondimento su un certo tema, cosa ben diversa da quanto accadeva prima (articoli di spiegazione di un certo tema). Quale sarebbe la massa dei lettori disposti a pagare per una spiegazione più approfondita? E quanta fatica costerebbe farlo? Con le traduzioni di due libri di Hofstadter alle spalle, so bene che il gioco non varrebbe la candela.

  4. mestesso

    Il mercato lo si fa in due: chi offre e chi compra.
    Oggi il mercato dell’informazione è “saturo”, nel senso (sto scoprendo l’acqua calda, sia ben chiaro):
    -i clienti di informazioni hanno sempre meno tempo per richiederle/leggerle
    -le informazioni disponibili crescono con il tempo
    -l’origine dell’informazione si delocalizza sempre più
    Corollari:
    -il valore di una qualsiasi informazione data diminuisce fortemente col tempo
    -aumenta il valore del sapere enciclopedico (avere una informazione specifica in un certo momento) dato che è impossibile seguire il flusso di informazioni
    Da qui il mercato si è strutturato (=per garantire introiti a chi l’informazione la distribuisce) nel modo che Gubitosa enuncia.
    La chiave per comprendere la lamentazione del nostro è che oggi, per chi vuole distribuire informazione, il lavoro è “agglomerare” ed elaborare bene le fonti. Il che significa che i pesci grandi lavorano molto meglio dei piccoli, fatte salve le nicchie tipo quella di .mau., o anche del Post, che sul lungo termine non vedo benissimo, o meglio lo vedo sempre più di nicchia.
    Nella più totale viltà, è sempre meglio prendersela coi deboli, che con i poteri forti, anche perché questi ultimi, nel loro grande, ti spazzano via (grazie anche ai piccoli blogger aggratise nei siti aggregatori). Un poco ha ragione: sono marionette nelle mani di chi li usa. E dei bloggher, uno su mille ce la faaaa, come dice la canzone, a sbarcarci il lunario. Gli altri ci provano in tutti i modi a diventare grandi, ma rimangono poveretti ed “affamano” quelli che grandi non potranno mai diventare. Un pochetto di ragioni esistono, ma non mi piace affatto il modo in cui queste ragioni vengono dette. Pollice verso, quindi.

  5. Bubbo Bubboni

    @.mau.: no, non pensavo di perorare l’applicazione del modello Open Source ai giornali, non è un problema che mi interessa. Quello che mi pare interessante è il fatto che una parte delle critiche che giravano all’alba dell’Open Source (i programmatori moriranno di fame, le software house chiuderanno e nessun utente avrà più i programmi di cui ha bisogno per vivere, i ragazzi migliori si dedicheranno allo studio del greco antico e non più allo sviluppo sw, ecc. ecc.) potrebbero essere “validamente” riciclate da chi crede che i siti in questione siano una tragedia per il giornalismo inteso come professione.
    @mestesso: le tue considerazioni sono sempre interessanti e voglio aggiungere quattro punti tanto, prima o poi, si riparlerà di questi temi:
    – la rete permette di rendere profittabili le nicchie, la coda lunga, ecc. O non basta?
    – la società tende ad una divisione in caste sempre più spinta. Chi riduce il consumo di alimentari per la panza, secondo Maslow, parebbe essere restio ad incrementare o a mantenere la spesa in periodici. Quanta parte delle dinamiche attuali dipende dalle carenze del prodotto e quanta dallo stato penoso dell’economia? Fermo restando che non esisterebbe questo stato penoso dell’economia se il prodotto informativo non fosse quello che è….
    – non credo che attualmente sia lontamente ipotizzabile ricevere delle informazioni complete leggendo i giornali in sola lingua (valgono anche le buone traduzioni, i siti dedicati alla diffusione delle notizie ufficiali di una nazione in altre aree geografiche perché, per quanto propagandistici, hanno un taglio diverso rispetto alla propaganda considerata e qualche NON-professionista).
    – la maggior parte dei commenti agli articoli pubblicati sui siti (che leggo) sembra essere “questa notizia è irrilevante, non avete qualcosa di meglio da dire?” e non “questo articolo è troppo approfondito, scrivete più semplice che fate venire confusione”.

  6. mestesso

    @Bubbo:
    – coda lunga: da uno che legge Maslow mi aspetterei che sapesse che all’interno di un sistema capitalista i soldi non bastano mai e le code quindi non possono mai essere abbastanza [lunghe|tante]. In particolare nel mondo Open/FOSS le code sono note per essere a) relativamente poche rispetto al”insieme dei produttori b) molto lunghe (vedi punto seguente).
    – divisione caste: è un serpente che si mangia la coda. Aumenti le tasse per ripianare in tempi certi il defuicit, ma così stringi il cappio intorno al collo dell’economia e forse, la strozzi. Tieni presente cmq che il mercato alla lunga vince sempre e, mio malgrado, debbo ammettere che molta colpa deriva dal fatto che tutti vogliono fare i giornalisti perché è una casta potentissima, ma per entrare un blogh non basta, mettetevelo bene in testa.
    Inoltre il prodotto giornalistico, a differenza del software open source, ha una vita brevissima. Questa durata molto limitata è la pietra tombale ad un approccio analogo. Oggi, domani e dopodomani le testate giornalistiche internet vivono sul traffico che va verso il loro sito, e dai click sporadici sun un banner pubblicitario. Il resto, è fuffa.
    La chiave è generare traffico, ed è molto più facile fare traffico con fuffa che con roba interessante.

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