Mi è capitato l’occhio sull’articolo del Post che riprendeva un’intervista a Gianrico Carofiglio a proposito della querelle con causa civile in corso contro Vincenzo Ostuni, editor di Ponte alle Grazie che laveva definito scribacchino e mestierante.
Non ho mai letto un libro di Carofiglio, posso al più notare che anche lui fa parte della categoria di persone che non si peritano di querelare: ma c’è una cosetta che mi ha lasciato particolarmente perplesso, e che ho scelto di condividere con voi.
Carofiglio afferma infatti «Si può dire il tuo libro fa schifo, anche se non è elegante. Non si può dire: tu mi fai schifo». La parolina che non mi torna è quel “mi”. Per quel poco che può valere la mia opinione, nei quasi trent’anni che interagisco col mondo in modo diverso dal faccia-a-faccia, ci sono state parecchie persone che mi hanno detto cose simili a “tu mi fai schifo”. Bene, nella gran parte di questi casi la mia stima per quelle persone era così bassa che sapere che a loro io facevo schifo era un punto d’onore: voleva dire che ero nel giusto. Altra cosa è trovare qualcuno che diceva “tu fai schifo”, cioè un giudizio globale e non personale.
È possibile che i giudizi espressi da Ostuni fossero di questo secondo tipo: ma a questo punto è ancora più strano che uno come Carofiglio, che con le parole dovrebbe avere bene a che fare, faccia un simile spostamento di affermazione. Misteri del piccolo mondo della letteratura contemporanea, mi sa.
Ultimo aggiornamento: 2012-09-28 12:01
Avvocati e giudici hanno la causa facile per un misto di deformazione professionale, delirio di potenza ed identificazione della legge con la propria vita personale, il che inevitabilmente li porta sul processual-ridicolo.
Il tipo comunque deve aver avuto uno sgarro per parlare in questo modo: sarebbe interessante sapere i retroscena. Qualcosa sotto c’è.
Mio giudizio personale: scrive bene (ho letto i primi due romanzi). E sa analizzare bene la sua esperienza professionale. Lettura consigliata, anche se non ti piace impari come gira il fumo in ambito giudiziario.
Concordo con mestesso, Carofiglio è da leggere, non solo scrive bene ed è di facile lettura, ma anche i temi che tratta sono coinvolgenti.
Sulla questione posta da .mau., se io dico “tu fai schifo” sto chiramente esprimendo una mia opinione, non essendo il concetto di “schifo” oggettivo, per cui la differenza con “mi fai schifo” è minima se non inesistente.
@Apis: beh, no: direi che di oggettività nello schifo ce n’è…
@.mau.: fammi un caso di schifo oggettivo. Occhio è una domanda trabocchetto ;-).
Suggerimento: esiste il bello oggettivo? Bello è l’antinomia di schifo, ma chi definisce e come le relazioni fra i due?
Provocazione: Dato un insieme P di persone, e definita la relazione prop(oggetto G, Persona P)=[schifo|bello]. Esistono due elementi, P1 e P2 di P, dove vale prop(P1, G)=bello e prop(P2, G)=schifo.
Dimostrare che l’affermazione è vera, dato card(P)>N con N grande a piacere.
Dai, questo non puoi dirlo … a me fanno schifo (letteralmente) i cachi, mia moglie ne è ghiotta … tanto per dirne una, eh …
Carofiglio è un eccellente scrittore dove per “eccellente” intendo riferirmi alla sua capacità di usare la parola scritta per esprimere concetti logicamente strutturati, siano o non siano essi legati a opere narrative non è detto che i suoi romanzi debbano piacere a tutti, ma a me, in generale, piacciono sia per trama sia per forma narrativa. Ha anche pubblicato (Sellerio, 2007) “L’arte del dubbio”, un vero e proprio manuale per non addetti ai lavori su esame e controesame dei testi in sede processuale, la cui lettura consiglio a tutti.
Devo dire che sono sorpreso anch’io della contrapposizione che pone tra “il tuo libro fa schifo” e “tu mi fai schifo”, attribuendo liceità alla prima frase e illiceità alla seconda. Non posso escludere che la giurisprudenza di cassazione gli dia abitualmente ragione, lui è sicuramente più competente di me in proposito, ma, trattandosi di materia su cui i tribunali decidono in seguito a querela e non per obbligatorietà dell’azione giudiziaria, la scelta nell’intervista su Repubblica di queste due particolari frasi fra le quattro possibili per spiegare la propria decisione di adire le vie legali, mi sconcerta.
1. Il tuo libro mi fa schifo
2. Il tuo libro fa schifo
3. Tu mi fai schifo
4. Tu fai schifo
Ipotizziamo un libro di documentazione fotografica sugli effetti del virus ebola sugli esseri umani.
1. Quasi sicuramente il libro mi farebbe schifo, nel senso che dubito che riuscirei a leggerlo tutto senza correre a vomitare, e non ritengo che possa essere contestato il mio diritto di pubblicare sul mio profilo Facebook l’effetto che mi ha fatto.
2. Il libro potrebbe contenere soprattutto immagini di bambini, o di genitali disfatti dalla malattia, e mancare di quella completezza di documentazione scientifica che, sola, ne giustificherebbe la pubblicazione. In questo caso, spiegandone il motivo, ritengo che potrei liberamente rendere pubblica la mia opinione che il libro “debba far schifo a (quasi) tutti”. E, su questo punto, le dichiarazioni di Carofiglio sembrano concordare con la mia opinione.
3. Supponiamo che l’autore non si sia rivolto per la pubblicazione ad un editore scientifico ma che cosa pubblicamente nota e certa, non illazione da dimostrare lo abbia messo all’asta fra case editrici scandalistiche, per ottenerne il massimo profitto personale possibile, non fondi per la prevenzione di ebola in Africa. Anche in questo caso ritengo di aver la libertà di dichiarare pubblicamente che l’autore mi fa schifo, ma sembra, dall’intervista, che Carofiglio non condivida la mia opinione, visto che lui pare considerare illecita una simile dichiarazione, indipendentemente dalle motivazioni: Carofiglio non fa cenno a possibili motivazioni educatamente e razionalmente esposte, non le considera nemmeno.
4. Dichiarare pubblicamente che l’autore sia persona schifosa, che cioè debba far schifo a (quasi) tutti, anche coi presupposti del punto precedente, mi sembra invece molto meno lecito. Nulla di quanto ha fatto è illegale, nessuno mi obbliga a sfogliare o comprare il libro, nessuno è obbligato a dichiarare che si tratti di un’opera d’arte o di un contributo fondamentale alla medicina.
Ostuni ha trattato Carofiglio da “scribacchino” e “mestierante”, cosa che mi sembra molto più vicina al mio punto 4 che ai miei punti 2 o 3. E Carofiglio nella sua intervista sembra proprio agire legalmente in seguito a questa considerazione.
“Certo. Dica pure dove e quando i miei libri non gli piacciono, ma ammetta di aver sbagliato a trascendere sul piano personale. Sarebbe la soluzione naturale di questa storia.”
Poiché non penso proprio che un fine logico giudiziario come Carofiglio, possa contestare ad Ostuni il diritto di affermare pubblicamente e con forza che a lui personalmente, liberi gli altri di avere diversa opinione lo scrittore Carofiglio proprio non piace mai, mi ritrovo con lo stesso dubbio di .mau.
Perché, nell’intervista, una persona giuridicamente razionale come Gianrico Carofiglio, non contrapponga le due frasi estreme 1 e 4 ma scelga quelle intermedie 2 e 3?
È possibile che le sue frasi siano mal riportate nell’intervista ma, in questo caso, altri e forse più sostanziosi danni sarebbero da chiedere a Raffaella De Santis che l’intervista ha firmato.
(il mio commento originale si è perso, riassumo):
Mi fai un esempio di schifo oggettivo? Certo in pieno periodo di relativismo etico mi lascia perplessa questa affermazione…
@mestesso: secondo il tuo ragionamento non potrebbero esserci cause per diffamazione, per mancanza di oggettività :-)
@.mau.: era una provocazione infatti :-).
Schifo o bello assoluto è però (oggettivamente) indefinibile.
visto che molti lodano carofiglio, mi preme tentare di equilibrare dicendo che quello che ho letto di carofiglio mi sembra tutt’altro che eccellente. in particolare, né qui né altrove è un libro scritto con una sciatteria impressionante, uno sviluppo desolante di un’idea potenzialmente buona. leggendo quel giudizio di ostuni mi ci sono riconosciuto fino alle virgole.