Voi potete pensarla diversamente, ma per me la decisione del Senato accademico del Politecnico di Milano, che ha stabilito che dall’anno accademico 2014-15 tutta l'”offerta formativa” per il biennio magistrale (il “più due” del 3+2) verrà erogata in lingua inglese, è un’idiozia.
Un paio di premesse: (a) trovo assolutamente corretto che il dottorato sia tenuto in inglese, essendo più internazionale in scopo; e (b) la situazione attuale, con corsi in italiano e in inglese, non mi sembrava così brutta. Però, anche immaginando di avere torme di studenti pronti a venire a studiare sotto la Madunina ora che possono sentire le lezioni in inglese, mi resta un dubbio di base: non è che qualcuno stia confondendo la necessità di conoscere l’inglese con quella di usarlo? O si sta subliminalmente spiegando ai futuri ingegneri che chiunque sia così pazzo da laurearsi in Italia e voglia trovare un posto di lavoro se ne deve andare via, e quindi tanto vale prepararsi prima?
Ultimo aggiornamento: 2012-04-12 14:55
basta che poi non traducano “pecorino” con “doggy style” come è accaduto al MIUR qualche tempo addietro… (v. http://ff.im/RndK0 )
Si sta subliminalmente spiegando che diventa indispensabile conoscerlo & parlarlo, soprattutto se si resta in Italia.
@piccoloimprenditore parlarlo con chi? Non è una domanda peregrina.
mi è venuta un illuminazione ci prepariamo ad essere la prossima India o Romania … delocalizzano da noi a costi più bassi e quindi abbiamo bisogno di parlare l’inglese
.mau. con i tuoi colleghi, clienti, datori di lavoro che potrebbero non parlare italiano.
Mettiamola così: i costi di India/Romania continuano a salire per ovvii motivi, quindi sarà sempre più semplice intercettare parte di quel mercato grazie al fatto che potremmo fornire servizi migliori. O almeno, questa è la teoria. :-)
ma non è un po’ *tardi* imparare l’inglese al politecnico? nella scuola media superiore si riducono le ore di lingua straniera (inglese) da 3 a 2 a settimana (-33%)
per gestire corsi e studi in inglese devi conoscerlo a buon livello (quello tecnico) senno i bovi sono già scappati …
“D’ora in avanti la lingua ufficiale del Bananas sarà lo svedese”
Per gran parte delle disciplinescientifiche, soprattutto per la ricerca, l’inglese è l’unica lingua utilizzabile. Non vedo il problema. Se arrivi alla specialistica senza sapere l’italiano il problema è tuo (oltre che del sistema scolastico).
Qui in Olanda quasi tutte le lauree magistrali (almeno quelle in ambito scientifico) sono integralmente in lingua inglese. E francamente mi pare un buonissima idea. Intanto perché attirare studenti internazionali non è una pensata così stupida. E poi perché, se vuoi avere un qualunque tipo di carriera scientifica (in ambito accademico o industriale non importa) l’inglese lo devi comunque usare tutti i giorni.
p.s.
La mia esperienza diretta si limita alla fisica ma tutti i nostri libri di testo dal terzo anno in poi erano in inglese.
io sinceramente qualche problema ce lo vedo, siamo in italia e gli studenti che eventualmente non parlano italiano sono facilitati solo a lezione, come si pensa che interagiscano fuori dall’universita?! fare lezione in inglese per allenare gli studenti italiani a usarlo e` ridicolo, *soprattutto* in una materia dove hai mille e piu` occasioni per allenarti
@Clodovendro: ma già trent’anni fa i miei libri di testo dal terz’anno in poi erano in inglese: ma la conoscenza passiva è cosa diversa da quella attiva. E non sono così certo che la laurea magistrale abbia tutti quegli sbocchi nella carriera scientifica.
(che poi in Olanda ti parla inglese anche il panettiere…)
A me sembra una buona idea. Anche la Luiss so che ha predisposto alcuni corsi di laurea solo in lingua inglese. Lo scopo non è mandare via i laureati, ma fornire gli strumenti per potersene andare serenamente e metterli in condizione di competere con il mercato straniero. Sia in Italia che all’estero si intende. Come ha detto ubi, se arrivi alla specialistica senza sapere l’italiano è un tuo problema e aggiungo che se ci arrivi senza sapere l’inglese sei fuori da praticamente qualsiasi contesto lavorativo. E’ difficile adesso, figurati tra 5 o 10 anni.
In aggiunta, la decisione manda un chiaro messaggio di cui abbiamo assolutamente bisogno: “i tempi sono cambiati”. Ritengo questo messaggio altamente formativo.
immagino che siamo tutti consapevoli di quanto s’impari bene l’inglese sentendolo usare da professori italiani in ambiente tecnico, utilissimo
dasnake
d?snake, è esattamente il mio dubbio. se ascolti una lezione in inglese fatta da uno che lo parla male, non vedo il vantaggio, ecco
intanto al Poli non si entra alla specialistica senza un livello di inglese che varia dal B2 al C1 a seconda delle facoltà
(da almeno 5 anni)
L’obiettivo non e’ imparare l’inglese e basta. Sara’ anche parlato male dalla maggioranza dei professori, ma almeno ti abitui a sentire certi termini e certe costruzioni, che domani ti serviranno
all’universita` ci dovresti andare a imparare come si fanno gli integrali multipli, non come si dice integrale multiplo in inglese
forse serve fare chiarezza : parliamo di specialistica (quindi gli ultimi due anni?) di dottorato o di tutto il corso di laurea ? perchè non la vedo mica facile (considerato poi che non in tutte le superiori ai miei tempi almeno, si studiava inglese)
Parlano di specialistica, è abbastanza chiaro
come ho scritto, la delibera del Senato parla di dottorato (sacrosanto) e biennio specialistico.
Anche se i professori non sono madrelingua va bene. La parte più difficile è studiare pagine e pagine in lingua, non solo seguire i corsi.
Ci sono diversi punti secondo me di riflessione, e per nulla scontati in questa scelta…(premessa: mio fratello lavora nel settore marketing della Bocconi e conosco personalmente prof del Poli, che mi dicono cosa bolle in pentola nel privato e nel pubblico)
1) I motivi per cui è stata fatta questa scelta non sono necessariamente coincidenti con le necessità degli studenti
Mettiamoci bene in testa un concetto: le università in generale, anche quelle pubbliche con la Riforma ed il Poli in particolare, si devono mettere sul Mercato, ed acquisire quanti più studenti possibile. La crescita in un mercato saturo si ottiene principalmente captando l’offerta estera. Le lezioni in inglese servono ad acquisire studenti stranieri e le loro rette.
2) Il mercato del lavoro oggi e sempre di più, si sta segmentando in due macro aree: chi lavora unicamente per il mercato domestico, e chi fa sia mercato domestico che estero. Alcune ditte già oggi debbono scegliere se concentrarsi in casa oppure (scelta più comune) mettersi a vendere ovunque possano.
La lingua franca è l’inglese. E francamente la distinzione fra conoscenza passiva ed attiva la vedo speciosa, e in questo contesto, suicida per una frazione non trascurabile del mercato. Certo, al leguleio non frega una pippa l’inglese. Ma (ammesso e non concesso che un ingegnere laureato faccia un lavoro per cui serva esserlo) ad altri lo sarà sempre più.
3) La Grida dice che si userà l’inglese. Bene: ma quanti Prof sono/saranno pronti? A me viene in mente corsi tipo Meccanica (non Razionale, quella degli ingranagi ;-)), Motori Elettrici, Elettrotecnica, dove la terminologia radicata usa termini in italiano intraducibili in inglese e viceversa, con effetti tragicomici. Questo calando un pietoso velo su alcuni prof che penso non siano minimamente in grado di fare inglese “attivo”.
Ci vorrà parecchio tempo, e secondo me certi corsi dovrebbero rimanere in italiano per statuto. Ma la strada è quella, lo vogliamo o no, come dobbiamo tenerci Monti, ci terremo anche questo.
Invece d?snake secondo me dopo aver imparato come si fanno gli integrali multipli, dovresti anche imparare come si dice in inglese, soprattutto se pensi che nel tuo lavoro dovrai usarli.
Credo che sia dovuto alla necessità di attirare studenti stranieri. Se il corso è in italiano, lo straniero non ci viene. E fare il doppio corso (inglese e italiano) è impossibile. Quindi, si forzano gli italiani a studiare in inglese, che non è poi una cattiva idea. Io personalmente, se in classe ci sono solo italiani, faccio in italiano, se c’è anche solo uno straniero faccio in inglese.
io non ho mai sentito di un’azienda italiana (intendo tra la mia e quelle dove lavorano i miei colleghi ed amici ingegneri) dove non si abbia a che fare con stranieri. Quindi: presentazioni in inglese sul tuo lavoro, dibattiti in linguaggio tecnico, ricerche tra la letteratura di settore, che e` in inglese. Nel mio piccolo mondo, chi sa l’inglese va avanti, chi non lo sa rimane indietro: magari non e` giusto per alcuni, ma cosi` va. Quindi fare l’universita` in inglese non solo e` giusto, e` anche NATURALE, furbo, OVVIO.
e di conseguenza non capisco nemmeno il senso di avere i corsi in inglese solo da un certo punto in poi…ma questa e` un po’ estremista :)
Sono perplesso. Se è vero che le lezioni di inglese potrebbero servire per impararlo meglio, è vero che l’italiano che parla inglese spesso è ben lontano dalla cadenza e dall’accento di un inglese madrelingua o anche solo di un non italiano AND non inglese. Per dire: un italiano che parla inglese lo capisco quasi sempre. Un inglese che parla inglese non lo apisco quasi mai.
Dal punto di vista dello studio le lezioni di inglese non servono. Per capire l’inglese scritto dei manuali basta veramente l’inglese delle superiori o anche meno. I termini sono sempre gli stessi e anche le costruzioni delle frasi sono le stesse. In matematica poi è ancora più facile. Per esempio io l’inglese non lo so per nulla bene ma un manuale di fisica o matematica non ho mai avuto difficoltà a capirlo.
Se è per attirare studenti stranieri… allora la cosa avrebbe senso. Però avrebbe senso anche che lo straniero approfittasse della scuola per imparare un altra lingua e l’italiano, sinceramente, mi pare una bellissima lingua. :-)
nicola
nel mio piccolo mondo si lavora quasi tutti all’estero e quelli che non lavorano all’estero comunque lavorano con stranieri, quindi si finisce per parlare correntemente e giornalmente italiano, inglese e xxx dove xxx e` la lingua del paese dove sei finito. Non e` che chi non lo sa non va avanti, chi non sa e non si adatta a imparare lingue nuove proprio non accede al mio piccolo mondo. Eppure ho fatto l’universita` tutta in italiano e anche la tesi tutta in italiano (*tutta* compreso “rilevatore” per “detector” e “sistema di selezione” per “trigger”) e non mi sono sentito affatto impedito. Tutto quello che avrebbe comportato fare lezione in inglese sarebbe stato rendermela piu` difficile, soprattuto i primi anni. Invece penso proprio che impedito si senta quello studente straniero che viene in italia e pretende di non sapere l’italiano. ~ Se l’universita` pensa che sapere l’inglese sia utile al corso di studi metta un corso, se lo ritiene fondamentale allora lo renda obbligatorio, il resto e` ridicolo.
sei stato bravo tu a passare con disinvoltura da studi in italiano a lavoro in inglese, ma non tutti sono bravi, mettiamola cosi`…
no, non sono bravo io, te lo assicuro
riporto anche qui quello che ho scritto di là. IMHO: va bene solo per materie scientifiche o di scienza applicata. qualsiasi esame che comporti nozioni giuridiche penso sia impossibile da insegnare in una lingua diversa dall’italiano. alla triennale lo considero sbagliato, poiché di solito si insegnano concetti che richiedono una grande prontezza e rapidità di pensiero [vedi integrali multipli…]. Alla specialistica, molto spesso è una cosa che già più o meno avviene, specie per quanto riguarda esami che richiedono consultazioni di articoli specialistici: se dovesse aumentare meglio ancora. Al dottorato (sempre per le materie scientifiche) già adesso penso che la prima lingua sia l’inglese.
Sulla triennale concordo (come anche sulla questione dele materie scientifiche),ciò non toglie che lo trov sensato. Dasnake tudici di non essere bravo, ma ti posso assicurare che gran parte dei miei compagn di studi in inglese non erano capaci di farsi comprendere neppure a livello base. Io posso dire che l’esame di Inglese III (un esame di economia politica da sostenere in inglese) mi è stato utilissimo perché pur avendo appreso bene i concetti non sarei mai stato in grado, sino a quel momento, di parlarne in inglese con proprietà, pur essendo abbastanza bravo nell’inglese sia scritto che parlato.
ubi, mah, forse sono io poco adatto al dinamico mondo dell’impresa moderna, ma all’universita` ci sono andato per studiare quello che c’era nel corso di studi. Nel mio caso fisica prima e fisica delle particelle poi. Avrei sicuramente apprezzato un *corso* di inglese, magari inglese scientifico scritto, ma non l’avrei ritenuto fondamentale. Fondamentale invece era imparare la fisica. Pensa ai tuoi compagni incapaci di farsi comprendere a livello base. Pensa quanto ci avrebbero capito se i corsi fossero stati tenuti in inglese. Lo scopo dell’universita` non e` avviarti al mercato del lavoro, ma educarti a livello avanzato su argomenti specifici. Se l’inglese non e` tra questi argomenti specifici io sono contentissimo che l’universita` lo offra come complemento, comprendo anche che lo inserisca nel corso e addirittura che lo renda obbligatorio. Non di piu`.
ripeto e ribadisco quanto già detto: non si può accedere all’università senza aver frequentato: la scuola dell’obbligo + la scuola media superiore fino ad ottenere la “maturità” — quale sarebbe il senso di un’università che pretende una conoscenza della lingua inglese a livello che *non* viene fornito dalle scuole precedenti?
Dasnake, lo scopo dell’università è darti strumenti culturali che servano sia alla tua crescita personale che ad un inserimento nel mondo del lavoro. Se di fisica delle particelle tu non fossi in grado di discuterne con i ricercatori di ogni parte del mondo, seriously, che fine farebbe la tua ricerca? Certamente si suppone che nel triennio vi sia anche uno (o più) esami di linguaggio tecnico in inglese, ma saper esprimere i concetti che si apprendono a me pare importante quasi quanto apprenderli.
Pure all’Uni iniziano a esserci ‘sti discorsi dell’inglese “veicolare”, quindi già mi vedo: “ledis end gentelmen, tudei ai uill spic you abaut Julius Caesar, uic is not a soccer player bat a very femus general end writer. bat not a writer in the sens of the bomboletts on the wall, rather propr a writer who vraits bucs”.
ubi: no, l’universita` non e` una generica scuola di avviamento professionale avanzato. Ti deve dare strumenti culturali su *argomenti specifici*. Se studio fisica non mi aspetto esami di diritto privato esattamente come non mi aspetterei esami d’inglese se non fosse che e` la lingua franca internazionale. Bene, e` utilissimo e ci sara` un esame. Due. Tre. Quanti ne vuoi. Ma i *corsi* di altre materie in lingua e` assurdo e controproducente
Dasnake, però immagino che anche tu dal terzo anno di fisica utilizzassi testi in inglese, vero? Quindi diamo per acquisito un punto: al terzo anno di università si dovrebbe saper leggere e parlare inglese in modo decente. Quale vantaggio si può avere da corsi di laurea in inglese? Secondo me, per esempio, favorire l’immigrazione studentesca in Italia. A me non sembra poco.
fabio: li usavo anche al primo (il maledetto landau 6 non era tradotto in italiano all’epoca) e quindi? Se ti serve impari e ti arrangi. Se non lo sai e vuoi imparare per bene vai ad un corso. E` *giusto* che l’universita` ti offra il corso. Su questo non ci piove. Qui pero` stiamo parlando di farmi fare le LEZIONI di un corso come geometria in inglese, cosi` giusto per aumentare il WTF come se pettinare sfere pelose non fosse abbastanza. Siamo in italia e l’italiano e` la lingua ufficiale di questo paese, quella che ci e` stata insegnata alla scuola dell’obbligo come mezzo per comunicare, non si capisce perche` l’universita` debba fare eccezione. ~ Se vuoi favorire l’immigrazione studentesca in italia potresti provare a potenziare l’accoglienza e i corsi di italiano, un po’ come fanno in tutto il resto del pianeta. Quanto siamo fottutamente provinciali, quello e` un problema piu` grosso che imparare due parole d’engrish.
L’ottimo, come dice .mau., sarebbe lasciare liberi i corsi di laurea e i docenti di fare lezioni in inglese o italiano. In questo modo, il corso di laurea o il docente si adetterebbero alle necessità di volta in volta presenti (ovvero presenza di studenti stranieri). Però, il problema non sono gli studenti ma i professori. Perché il docente, soprattutto quello anziano, se gli lasciate possibilità di scelta potrebbe fissarsi con l’italiano, e gli stranieri si arrangiassero. Per non dipendere dai capricci dei singoli docenti, secondo me in senato hanno deciso di tagliare la testa al toro. Ma in ogni caso, per corsi come quelli nel settore elettronica/informatica/telecomunicazioni, l’inglese è ormai dato per assodato, i docenti giovani e svegli non hanno alcuna difficoltà ad adeguarsi, e agli studenti italiani non può che fare bene.
@dasnake: innanzittutto si parla di laurea magistrale, quindi non geometria o analisi o fisica uno, ma elettronica applicata, sistemi operativi, ecc. secondo, gli stranieri quando arrivano in Italia hanno difficoltà a parlare, figuriamoci a seguire un corso specialistico in un altra lingua. semplicemente non ci vengono e basta.
e infine: decidere di tagliare fuori gli stranieri non è una decisione politicamente neutra. il ministero valuta anche una cosa chiamata “internazionalizzazione” e avere studenti stranieri e corsi in inglese da punti in più e quindi fondi, ecc. e quindi, prendetevela con il MIUR e con l’ANVUR se proprio dovete.
giuseppe: pettinare palle pelose viene ampiamente raggiunto dall’intero corso di fisica teorica in termini di WTF e quello sta alla specialistica … ma questi stranieri che non sanno l’italiano che fanno? vivono dentro l’ateneo? non escono mai? e poi una volta laurati l’unica cosa che possono fare e` fuggire ad alta velocita` dal paese, visto che in italia la gente che parla italiano ESCE DALLE FOTTUTE PARETI. ~ Proporrei il contrario per favorire l’internazionalizzazione: fare l’universita` in italia t’insegna anche l’italiano, per bene e velocemente, fa fico, serve. Per altro e` quello che succede veramente, tutti gli stranieri che conosco che sono passati dall’universita` italiana sanno un buon italiano e lo usano spesso. [full disclosure: sono solo frustrato dal fatto che sono stato assunto in francia e qui pure il colloquio era in francese]
:) beh io sono in francia da 2 settimane e ancora non so una parola di francese! :) però seriamente; io ho organizzato e ancora organizzo lauree magistrali con borse di studio per stranieri. E pure con l’inglese, quelli NON CI VENGONO, o se ci vengono sono gli scarti degli scarti. Trovarne in gamba è un problema serio. Se gli dici che i corsi sono in italiano, ciao, te saluto. E poi, l’italiano piano piano lo imparano perché come dici tu, devono viverci. Ho un’ex studentessa indiana che quasi lo parla bene. Ma i corsi? li butti subito in un aula con il professore con l’accento napoletano che neanche i toscani a momenti lo capivano? Boh.
giuseppe: ma magari vengono gli scarti degli scarti perche` il nostro paese e` genericamente ostile nei confronti degli stranieri e offre zero opportunita` d’inserimento nel mondo accademico e poche piu` di zero opportunita` di lavoro. In piu` mi tocca pure imparare la lingua degli autoctoni. Quindi ragionevolmente quelli bravi vanno dove ci sono opportunita`. I nostri governanti si sono accorti che in molti di questi posti che attirano tanti stranieri fanno i corsi in inglese, tipo perche` sono in paesi dove l’inglese e` la lingua nazionale. Bene, potevano anche accorgersi che non e` l’unica cosa ci differenzia.
mi sembra che nessuno abbia citato un punto che a me (ammetto il mio bias) sembra assolutamente centrale: far tenere i corsi della biennale in inglese è un ottimo modo, forse l’unico, per cercare di attirare *professori* (non solo studenti) stranieri in italia. chiunque abbia mai cercato di metter piede nell’accademia francese potrà testimoniare di quanti pareri, consigli e suggerimenti di amici e colleghi siano incentrati sul punto: “ok, ma i francesi [sottinteso: poveretti] pretendono assolutamente che tu parli francese se vuoi andare ad insegnare lì.”
dell’italia si sente parlare piú raramente, ma la situazione è anche peggiore: senza buone conoscenze di italiano all’università italiana non metti piede. è una situazione desiderabile? secondo me, no.
Gli studenti stranieri spesso vengono per un anno, o un semestre: i corsi in italiano sarebbero un ostacolo insuperabile. Tenere i corsi in inglese e’ l’unico modo per attrarli e cominciare a farsi una fama all’estero, che poi possa portare a gente che vada a Milano per l’intero Master. Inoltre, uno o due semestri di Master sono un modo oer guardarsi intorno e scegliere una sede di dottorato. Non vedo il problema per gli studenti italiani. Quanto all’accento, la maggior parte dell’inglese parlato dagli scienziati (inclusi quelli di madrelingua) viene pronunciato con accenti orrendi e scarso rispetto per la grammatica: di nuovo, non vedo il problema.
Alcune materie fanno ovviamente eccezione, ma dubito ci siano molti corsi di diritto al Poli.
Nota a margine: gli integrali multipli sono un argomento di primo massimo secondo anno, e anche uno assai semplice. Finché non lo si lascia spiegare ai fisici, cioè (ricordo ancora le esercitazioni di termodinamica statistica e il relativo casino, poi spiegato dai docenti di analisi).
Nei corsi avanzati si devono usare termini in inglese anche se si parla italiano causa mancanza di traduzioni (da studente, per un seminario di topologia algebrica preparato su un testo in inglese, ho tradotto core con torsolo – quando ho tradotto cocore con cotorsolo neanche la docente è riuscita a trattenere le risate).
@Delio, @Barbara: dimenticate che al Polimi di corsi tenuti in inglese ce ne sono già da un bel pezzo, quindi non c’era problema né per i professori né per gli studenti non italianofoni. Quello che cambia è che adesso verranno vietati i corsi in italiano.
Anche a me pare curioso l’obbligatorietà del tenere i corsi in una certa lingua, più che il fatto che il docente scelga di svolgerli in lingua (perché ritiene che sia didatticamente utile o perché non si fida del suo italiano).
Io ho seguito una specializzazione in lingua, perché era congruente con l’oggetto della specializzazione (International Business…), ma obbligare o vietare mi pare poco centrato sulla didattica e più su altre dinamiche commerciali, come molti hanno fatto notare.
Però gli italiofoni dovrebbero farsi due conti in tasca e una riflessione più seria. Ad esempio
– Ci sono docenti memorabili, che da tutto il mondo vogliono assolutamente seguire a costo di impararsi la 11 lingua al mondo? (Es. leggere Dante è un motivo diffusissimo per studiare italiano, anche se a livello amatoriale)
– I corsi in inglese rendono competitivi o rendono indifferenziati?
– Alcune regioni e nazioni usano la lingua come misura protezionistica per cercare di proteggere l’occupazione. Qualcuno ci riesce, altri meno, tutti propagandano il liberismo e la competitività solo a parole (e fanno bene).
– In alcune nazioni (es. Olanda, Svezia, ecc.) ritengono che la popolazione debba avere assolutamente una formazione in una lingua più diffusa della propria, e quindi hanno i film in V.O., ecc. ecc. In altre è diffusa l’opinione che gli stranieri siano degli stupidi che non sanno parlare bene e che chi viene sul Sacro Suolo debba adattarsi al cibo, alla lingua e alla “cultura” locale.
Insomma mi sa che, abbandonato l’impero, il latino, i dialetti e aggiunta la standardizzazione televisiva, l’accento piatto della pubblicità, milioni di impoveriti linguistici in grado di usare solo qualche centinaio di parole, i test di comprensione del testo, l’inglese come lingua franca sempre parlata male e solo per concetti semplici e un livello di provincialismo e razzismo spettacolare occorre chiedersi quale problema si vuole risolvere prima di stabilire con quali strumenti.
Forse il dibattito nei commenti è andato troppo avanti, ma vorrei dare lo stesso la mia opinione da ex studente di uno dei primi corsi di laurea magistrale del Politecnico tenuti in inglese. Chiaramente i corsi erano e sono tenuti in lingua inglese per attirare studenti stranieri: nel mio caso gli studenti internazionali erano una buona metà di tutti gli iscritti al corso.
Il risultato era che c’erano dei corsi (pochi) tenuti in un inglese mediamente buono ed altri (la maggior parte) tenuti in un inglese molto scarso. Un dei principali difetti era che, siccome gli studenti venivano da corsi triennali diversi e quindi non avevano basi simili, non c’era in molti dei singoli corsi l’approfondimento atteso in un corso di laurea magistrale.
Nella materia che ho studiato (Urbanistica) l’inglese è molto importante perché gran parte della letteratura fondamentale è in quella lingua. Devo però dire che l’internazionalizzazione del Politecnico come l’ho vissuta io è stata un tentativo un po’ provinciale di attirare studenti stranieri. La sensazione è stata anche che l’attenzione fosse concentrata sugli studenti internazionali a scapito di quelli italiani, che tra l’altro spesso non sapevano che il corso sarebbe stato in inglese (incredibile ma vero, ne ho conosciuti personalmente che lo hanno scoperto il primo giorno di lezione!).
Una parentesi andrebbe aperta sulla scarsissima conoscenza dell’inglese da parte degli studenti italiani: c’era gente che faceva fatica ad acquisire una certificazione di conoscenza della lingua B2 (First Certificate, per intenderci), che secondo me dovrebbe essere conseguita alle scuole superiori, e per questo non riusciva ad accedere al corso di laurea magistrale. Forse prima di internazionalizzarci dovremmo sforzarci di far conoscere bene l’inglese fin dal liceo e dalla triennale (le idoneità che richiedono attualmente fanno pena!).
.mau. is right. The Politecnico ordinance is pure B.S. The issues are others, as usual. But the Politecnico, well known for the famous special “norma Politecnico” in the DM 22 Settembre, is not interested in proper solutions.
Cheers
—
MA
Credo che possa favorire l’arrivo si studenti stranieri e non mi sembra una cattiva ipotesi
quindi non c’era problema né per i professori né per gli studenti non italianofoni
Finché alcuni corsi vengono offerti solo in italiano il problema rimane.
All’estero i corsi vengono offerti tutti in inglese in molte sedi prestigiose anche in nazioni dalla lingua ‘importante’ (vedi Germania). Gli unici che resistono, per quanto ne so, sono i francesi.
Fra parentesi, la Francia attira comunque perché ha un livello assai alto: non credo sia una coincidenza che da decenni oltralpe si assumano sistematicamente nuovi ricercatori (e può quindi permettersi di tenersi stretta la propria lingua).
PS sono curiosa: per i gemelli vi accontenterete dell’inglese che passa il convento il sistema scolastico italiano o aggiungerete del vostro?