Questo libro (Stephen Baker, Il potere segreto dei matematici [The Numerati], Mondadori 2010 [2008], pag. 230, € 18.50, ISBN 978-88-04-59687-5, trad. Donatella Laddomada) ha un sottotitolo che sembra stato scritto da Lina Wertmüller: “Chi sono i Signori dei numeri che controllano il nostro comportamento: cosa compriamo, come votiamo, come amiamo”. Eppure chi ha scelto il titolo dell’edizione italiana non ha avuto il coraggio di lasciare intatto quello originale e scrivere “I Numerati”, ma ha scelto di usare qualcosa a effetto, incurante del fatto che più che altro si parla di statistici e informatici. Ma si sa, i matematici hanno sempre una brutta nomea mentre gli statistici non se li fila nessuno e gli informatici devono essere tipi tosti. Uno potrebbe però anche passare oltre il titolo e andare sul contenuto vero e proprio, no? Ecco, sì. Ma a questo punto scopre l’altra grande pecca. Non è per nulla colpa della traduttrice, intendiamoci. Lei ha fatto un ottimo lavoro. Ma l’autore è un giornalista americano, e scrive esattamente con la stragrande maggioranza dei giornalisti anglosassoni: l’articolo, pardon il capitolo, parte sempre da una persona con cui si parla e che viene messa in relazione con il tema che si vuole trattare. Tema poi che è sempre lasciato in sospeso: capisco che anche se si volesse raccontare gli algoritmi usati da queste aziende loro non li divulgherebbero certo, ma l’impressione che si ha leggendo il libro è che ci siano delle cose bellissime, che adesso funzionano poco ma a breve rivoluzioneranno la vita. Un po’ come la traduzione automatica negli anni 1950, insomma :) In definitiva, ci si può trovare qualche spunto interessante, ma non vale la pena di acquistarlo se non si è proprio appassionati di questo stile di inchieste.
Ultimo aggiornamento: 2017-02-07 23:11
.mau., il titolo italiano fa ridere i polli, ma non so se la soluzione migliore sarebbe stata lasciare quasi immutato il titolo originale, dato che “numerati” in italiano significherebbe “contati, etichettati con numeri”, mentre in inglese parafrasa “literati” (e si affianca a “glitterati” e simili). Un po’ come “Innumeracy”, che è divertente in inglese, ma difficilmente ricalcabile in italiano.
@Daniele: beh, Innumeracy non l’hanno tradotto come “Gli snumerati”? Secondo me scrivere “I Numerati” (in maiuscolo, chiaro) almeno incuriosiva il pubblico, anche senza sapere il gioco di parole con Literati. Altrimenti, “i Signori dei numeri”…
Ah, ecco, nemmeno ricordavo come avessero intitolato “Innumeracy” in italiano!
Incidentalmente, mi chiedevo quale debba essere il modo “etimilogico” per dire “innumeracy” in italiano, e mi sono risposto qualcosa come “aneisduismo” (alfa, beta -> eis, dyo…). Ma non mi sentirei di pronosticare una vita longeva per questa parola…
“Etimilogico” ovviamente significa “etimologico”: non è qualche arguto calembour…
In effetti gli informatici sono tipi tosti :)
Una cosa che mi sono sempre chiesto è quale è la effettiva differenza tra la matematica, fisica teorica e informatica teorica. Ovvero di quelle discipline che, non essendo strettamente matematica, impiegano di questa i metodi, procedendo per teoremi e dimostrazioni.
Prendo un caso su tutti: il problema dell’equivalenza tra P e NP è strettamente informatico, oppure è matematica?
E la matematica discreta è matematica, è informatica oppure è matematica prestata all’informatica? David Bailey e Peter Borwein sono informatici o matematici? E Stephen Wolfram? E Douglas Hofstadter che cosa è?
Non sapre dire se ci sono differenze reali, oppure se dipende anche dalla posizione filosofica che si ha nei confronti della matematica.
@Marco, io sono un matematico discreto (se intendiamo la stessa cosa: combinatoria, grafi, enumerazione e classificazione di strutture e così via), e non vedo che cosa c’entri l’informatica. Altrimenti, parafrasandoti, potresti chiederti se l’analisi matematica non sia per caso fisica…
@Daniele A. Gewurz: usando le tue stesse armi, D.E. Knuth è per te un matematico oppure no?
La risposta non è importante, ma come ben sai c’è sempre il problema della classificazione, specie quando a) i criteri sono in tutto od in parte arbitrari b) quando esistono elementi che, variando i metodi di classificazione, sono sempre “borderline”, come l’esempio cui sopra.
Appiccicare una etichetta o l’altra è facile, per me tutto il problema sta nel significato che le si attribuisce ;-).
Ciao, mestesso. Io sono un povero matematico/traduttore alquanto inerme! :-)
D’accordissimo sul fatto che le etichette lasciano il tempo che trovano, e quando non sono indispensabili è meglio ometterle del tutto. Avevo solo l’impressione che Marco facesse di tutta l’erba un fascio. Ci sono zone dello scibile umano ben più sfumate e incerte della matematica discreta.
Quanto a Knuth, poi, ovviamente è un caso a sé. Sarebbe come chiedersi se Leonardo fosse un pittore, uno scienziato o che altro.