Barbara mi ha segnalato questo articolo di Repubblica, secondo cui una ricerca dell’Istituto nazionale di statistica e studi economici francese avrebbe sentenziato che «a capacità di calcolo e il ragionamento aritmetico non sono più necessari nella vita quotidiana».
Non so esattamente quale report sia stato letto da Alessio Balbi; il testo di rep.it scrive che «quasi il 3 per cento degli adulti non è più in grado di eseguire semplici operazioni aritmetiche», mentre il riassunto che ho trovato io (e anche il pezzo più sotto dell’articolo) dice che il 3% degli adulti soffre di discalculia, il che è una cosa diversa; la discalculia è la malattia equivalente della dislessia, solo che invece che applicarsi alle parole lo fa ai numeri. Insomma, l’articolo mi sembra molto raffazzonato.
E questo è un peccato, perché i temi indicati non sono affatto stupidi. Ad esempio, sono d’accordo che non sia più così importante saper fare a mano moltiplicazioni e divisioni di numeri di più cifre; per queste cose basta la calcolatrice del telefonino. Però è vero che due dei tre punti indicati dal segretario UMI, cioè approssimazione e stima dell’ordine di grandezza sono ancora più utili che in passato; ed è anche vero che a scuola si tende a imparare meccanicamente le cose, e quindi è facile che senza usarle le si dimentichi in fretta. Quello è sempre stato il guaio dell’insegnamento della matematica a scuola, e vorrei essere ottimista come Anichini che ritiene che la “matematica del cittadino” riuscirà a far breccia nei programmi. Però credo anche che occorrerebbe una “matematica del giornalista” :-|
Ultimo aggiornamento: 2010-02-26 07:00
E comunque, a parte le tue giuste obiezioni, io resto fedele al concetto che la cultura sia sempre necessaria, anche quando non ha applicazioni immediate. “La vita quotidiana” in ultima analisi è la vita, ed essere una capra ignorante è brutto anche se sei in mezzo ad altre capre ignoranti e nessuno se ne accorge.
Fatti non fummo per viver come bruti.
Prima della “matematica del giornalista” servirebbe un “giornalismo del giornalista”.
Ciao .mau.
Puoi leggere il rapporto completo qui:
http://www.insee.fr/fr/ffc/docs_ffc/ES424-425E.pdf
La confusione sulla discalculia, come ho scritto nel pezzo, credo sia dell’Insee, non mia. Mi spiego: l’Insee parla di discalculia nell’età adulta, e individua una delle cause nella mancanza di esercizio dopo gli studi. Ma la discalculia propriamente detta, come spiega Biancardi (tra i massimi esperti italiani), non ha a che vedere con questo fenomeno. Sarebbe come confondere la dislessia con l’analfabetismo di ritorno.
Spero di aver chiarito in parte le tue perplessità
Ho scaricato e letto le prime pagine del rapporto, visto che il mio francese scritto è discreto non ho avuto difficoltà. Basta leggere la prima, cmq, che traduco qui (non sono un professionista, ma avete a disposizione l’originale se non vi fidate) per capire tutto:
La discalculia è un concetto introdotto per sottolineare la difficoltà nel trattamento di informazioni numeriche ed in special modo i calcoli su di esse basati. Può essere acquisita (è il caso di soggetti che avevano capacità di calcolo ma che in seguito hanno in gran parte perduto questa capacità in seguito ad un incidente neurologico), oppure innata se concerne soggetti incapaci di apprendere strumenti di calcolo numerico ad un livello normale. Se quest’ultima riguarda sia i bambini che gli adulti in egual misura, la discalculia acquisita riguarda quasi esclusivamente gli adulti. Ad oggi non esistono molti studi che riguardino la discalculia dell’età adulta in Francia, ma ne esistono diversi che riguardano i bambini. Questo articolo quindi tenta di stimare la percentuale di persone adulte le cui performances di calcolo siano compatibili con la discalculia a partire dai risultati dell’inchiesta IVQ 2004.
(…)
Non possiamo che parlare di soggetti “potenzialmente” affetti da discalculia. L’inchiesta IVQ 2004 non include alcuna sovrapposizione dei dati con test neurologici (che permettano di includere i soggetti realmente affetti). Possiamo quindi solo parlare di soggetti potenzialmente discalcalcolati (? mah…passati il termine NdT).
Il nostro test ha identificato 387 partecipanti che si identificano con i due criteri sui 10213 del test IVQ 2004 che abbiamo potuto analizzare. Da qui la nostra stima del 2.94% di soggetti potenzialmente discalcolanti di cui un 0.55% affetti da discalculia “profonda”.
Domanda mi sorge spontanea: la confusione dove sta?
@Alessio: ho dato una scorsa all’articolo. Io non parlo francese, quindi non posso garantire; però non mi pare ci sia questa confusione. Tra l’altro, vedendo le statistiche per gruppi di età il tasso di discalculia scende con gli anni, quindi non può essere dovuta a mancanza di esercizio; al più è legata al fatto che non si fa esercizio da piccoli (ma credo che questo possa al più valere per chi ha meno di trent’anni)
Traduco sommariamente da pagina 99 del rapporto:
La percentuale (2,95%) ottenuta nel presente studio sugli adulti è superiore a quella (1,1%) osservata su bambini e adolescenti (Fischer, 2007): perché questa differenza? […] Crediamo che l’insegnamento obbligatorio […] abbia un effetto di omogeneizzazione sui giovani, mentre, in seguito, una più grande libertà di scelta permette a certi adulti di abbandonare quasi totalmente ogni attività di calcolo, magari a vantaggio di attività linguistiche (ad es. la lettura)
@Alessio: avevo letto male la pabella. Però c’è anche scritto (pag. 96, seconda colonna) “Lâge des participants nexplique pas bien la dyscalculie potentielle” come risultato di una regressione lineare relativa ai giovani…
@alessiobalbi: intanto complimenti al giornalista che ha voglia di spiegarsi!
Mi sono letta il rapporto e non mi sembra ci sia alcuna confusione, piuttosto un tentativo esplicito di ipotizzare una stima su dati insufficienti (per la serie: visto che i dati che ci servono non li abbiamo). In particolare, viene sospettata discalculia nei casi in cui i risultati in matematica sono inferiori a quelli in francese: il fatto che questo punto chiave non sia menzionato nell’articolo su Repubblica lo rende assai discutibile, IMHO.
Ad occhio inesperto, resta comunque problematica nell’articolo orginale la mancanza del controllo incrociato (=quanti sono i casi in cui i risultati in matematica sono meglio di quelli in francese) e la mancanza di menzione di un’analisi di tipo sociologico (non tutti, come Larry, vedono la matematica come parte della cultura: anzi).
Infine, come menzionato nell’articolo, il fatto che i vecchi facciano di conto meglio dei giovani sembra indicare un problema coi metodi educativi. Non so cosa si faccia in Francia: ma che mia figlia sappia calcolare alcunché, con le nozioni e i metodi appresi dalla sua maestra “competente”, è per me tuttora fonte di stupore.