Se si va a leggere questo post di Gilioli (e i commenti) sulle richieste di dimissione di Paola Binetti dopo che ha lasciato il PD per l’UDC, si può notare come molta gente, dallo stesso Gilioli in giù, trovi la cosa non dico onesta e opportuna ma quasi obbligatoria, visto che l’attuale legge elettorale, il ben noto Porcellum, non permette agli elettori di scegliersi il proprio rappresentante e quindi non ci si può appellare all’articolo 67 della Costituzione, quello che afferma come i parlamentari non abbiano vincolo di mandato.
Voi potete pensarla come volete, ma per me il concetto “una legge, pessima o no che sia, è più importante della Costituzione” è aberrante. E mentre capisco perfettamente che l’opposizione non abbia nessuna voglia di proporre una legge elettorale che dia di nuovo all’elettorato la possibilità di scegliere i propri rappresentanti (lo status quo fa comodo anche a loro…), mi preoccupo che il concetto sia ormai considerato naturale anche dalla gente.
Ultimo aggiornamento: 2010-02-17 11:12
Concordo. Una volta aperta questa strada, la legge regionale lombarda, che tanto ci ha colpito per la sua lungimiranza durante la trasmissione di Iacona “presadiretta”, diventa più importante dell’Art. 33 comma III della Costituzione.
Fermo restando che la questione non è di quelle che si risolvono con tre righe, penso che sia necessario distinguere tra l’aspetto costituzionale-legale e quello del buon gusto politico, di quel “senso di quel che è più giusto e più corretto fare” un po’ troppo spesso assente.
Nessuno può mettere in dubbio la priorità della Costituzione, e quindi non c’è dubbio che non sia assolutamente “obbligatorio” dimettersi se si cambia parrocchia. Altro invece è l’opportunità politica, o se preferisci il buon gusto politico, cioè il rispetto verso gli elettori che hanno scelto una rappresentanza che viene violata dal cambio di casacca.
Vedi, è un po’ come quando un politico – mettiamo – è imputato in un processo di corruzione: non c’è dubbio che dal punto di vista costituzionale è innocente fino a un’eventuale condanna definitiva e quindi nessuno può obbligarlo a dimettersi, tuttavia sarebbe un bel gesto farsi da parte almeno quando è rinviato a giudizio – e infatti all’estero in 9 casi su 10 avviene proprio così.
Un caro saluto
@Alessandro: mah. Sarò un pessimista, ma in tempi come questi io mi accontenterei già di una classe politica che prima dei bei gesti faccia il suo dovere. Poi potete anche dire che io non abbia diritto di parola, visto che due anni fa ho annullato la scheda e continuerò a farlo finché non ci sarà una legge elettorale che mi permetta di votare per una persona. (Nel 2006 avevo fatto un’eccezione sperando che l’Unione cambiasse la legge; non ci hanno neppure provato)
Oltre alle sciocchezze circa la gerarchia delle fonti del diritto mi pare che sia proprio il merito che scricchiola.
In una moderna democrazia il legame tra eletto ed elettore è sempre e comunque molto labile. Infatti non si può pretendere che un programma elettorale sia una palla di cristallo che dice esattamente come sarà il mondo 4 o 5 anni dopo (dalla crisi alla caduta del muro, dal 9/11 allo scoppio della bolla: bello leggere i programmi elettorali di ‘prima’) o che tutti gli eletti siano simbolo e modello di un unico pensiero centralizzato e condiviso tra qualche milione di persone.
E comuque visti gli accordi tra partiti e la loro unitaria difesa degli interessi di casta non è mica facile dire che chi parte è su posizioni lontane da chi resta.
E’ che quelli che per gli uni sono rinsaviti per gli altri sono traditori e viceversa. Dopotutto potrebbero anche essere i partiti a lamentarsi dell’infedeltà degli elettori e se oggi non deve raccogliere firme per presentare la lista chi un tempo remoto fu votato…
Signori, in realtà esistono due costituzioni: quella formale che sta scritta sulla carta e quella materiale che viene applicata nella prassi istituzionale. naturalmente non vi sto a dire che la costituzione materiale sta facendo carta straccia di quella formale.
Che si può fare? l’unico rimedio è ricorrere alla corte costituzionale, ma noi in italia non abbiamo un ricorso diretto dei cittadini alla consulta (come invece avviene in germania e in spagna).
il giudizio costituzionale viene adito solo durante un processo se il giudice a quo di sua iniziativa o su iniziativa delle parti in giudizio trova che l’applicazione concreta della legge leda diritti garantiti costituzionalmente.
Come fare in questo caso del porcellum? è un tantinello più complicato, poichè il porcellum non lede direttamente diritti costituzionali azionabili dei cittadini (o forse no… onestamente non ci ho mai pensato. A chi mi rivolgo per lamentare che questa legge viola il mio diritto di elettorato attivo? Al TAR regionale, a quello del Lazio? qualcuno ha risposte?) ma si riferisce al modo in cui i cittadini esercitano la sovranità, cioè attraverso le elezioni.
La prima risposta che mi viene in mente è banale: qualcuno al quirinale non avrebbe dovuto firmare una legge palesemente incostituzionale, ma appunto è una risposta banale. In alternativa rimarrebbero la via del conflitto di attribuzioni o dei cinque consigli regionali. Già, ma come provocarli? Qualcuno ha idee?
Qualcun altro pensava anche ad un ricorso alla tanto vituperata corte di strasburgo, solo che il rimedio previsto dalla cedu in questi casi (come nel caso del crocifisso) non è una condanna ad un fare, o meglio ad un togliere (come erroneamente hanno creduto milioni di italiani), ma al pagamento di un risarcimento danni per il danno morale subito. Io non posso votare il mio rappresentante preferito perchè già scelto dal partito, cioè lede il mio diritto di elettorato attivo previsto da non mi ricordo più quale protocollo della cedu e zac scatta il risarcimento. Certo che se soltanto uno facesse ricorso scatta la sola polemica, ma se lo facessero tutti gli schifati del porcellum, probabilmente per non far andare in bancarotta lo stato (come sta avvenendo con la legge pinto) forse qualcosa cambierebbe.
@elena: purtroppo la Costituzione dice solo che le elezioni sono “a suffragio universale e diretto”, e quindi formalmente le liste bloccate non sono incostituzionali; quindi la Suprema Corte non può fare nulla. Resterebbe il referendum abrogativo, ma la probabilità che ottenga il quorum sono nulle.
Io sul significato di quel “diretto” ci rifletterei, penso che possa essere interpretato proprio come “scelta non mediata del proprio rappresentante” (non sempre il linguaggio giuridico è lineare e cristallino, di solito è alquanto contorto :D)
per quanto riguarda il referendum abrogativo ricordo che l’anno scorso avevamo già tristemente dato (effettuato a metà giugno, con quorum intorno al 25% :( )
Del resto se esistono schifezze come il “listino” delle regionali, altro che voto diretto!
Anche se forse, guardando alla probabile composizione di qualche listino, potrebbe essere legittimato dall’art. 30 dove si parla dei doveri dei genitori (già eletti) verso i figli (magari impresentabili) e dall’art. 31 dove si dice che lo stato aiuta le famiglie con adeguate misure economiche.