Premessa: non ho nessun problema a riesumare questa mia vecchissima recensione di Io uccido, dove apprezzavo l’opera prima di Giorgio Faletti. Tanto più che l’ultima frase suonava profetica: «Il guaio di avere saccheggiato tutti i topos è che non ce ne sono più da usare…» D’altra parte, non mi è mai passato per la testa di comprare un altro libro dell’eclettico astigiano, e questo vuol dire forse qualcosa.
Da alcune settimane, con l’uscita del suo nuovo malloppo, c’è stato un tamtam in rete su alcune frasi che sono assolutamente incomprensibili in italiano perché calchi letterali di un’espressione idiomatica inglese: ad esempio, «Pensavo che una ventina di grandi vi avrebbero fatto comodo», dove i “grandi” sarebbero i “grands” “grand”, cioè i bigliettoni da mille. Si può leggere l’inizio da Severgnini e il prosieguo sul Giornale, con l’intervento di una traduttrice importante. Faletti risponde sulle colonne della Stampa, da cui è partito un pippone su FriendFeed.
Diciamocelo: parlare di “questa risibile querelle estiva e premestruale” significa non avere grandi argomenti a disposizione, e anche la mossa di far notare che “supper” non significa “zuppa” ma “cena” mi sembra un cercare di distogliere l’attenzione dal punto, di fare cioè un calco invece che una traduzione. Gli do atto che nell’italiano sono entrati svariati calchi, come appunto “verdoni” (i dollari sono verdi, le nostre banconote no…), anche se comunque un verdone è un dollaro, non mille; mi sono infine divertito a leggere che la traduzione letterale di «don’t beat around the bush» è esattamente quanto da lui scritto, cioè «non girare intorno al cespuglio». Ma forse essendo la musica beat stata incisa sui dischi a 45 giri, tutto torna.
Torniamo nel merito. La vera accusa sembra essere che Faletti abbia preso qualche negro (“ghostwriter”, se preferite il termine tecnico) che abbia tradotto (da cane) dei testi americani: accusa che Faletti nega decisamente. Confesso che all’inizio avevo pensato anch’io a qualcosa del genere, ma poi due persone decisamente più esperte di me mi hanno fatto notare che strafalcioni così non sarebbero mai potuti arrivare in stampa, e quindi sono stati fortemente voluti dal nostro autore. A questo punto la mia personale idea (e mi riallaccio a quello che scrissi cinque anni e mezzo fa, non ci posso credere!) è che Faletti voglia affermarsi come creatore di un nuovo lessico, e abbia scelto questo modo per avere delle nuove idee. Contento lui. Poi mi dirà che ha venduto dodici milioni di copie dei suoi libri, e sono contento per lui; ma anche le mosche possono accorrere a frotte, quindi non significa poi molto.
ps: sul Giornale c’è un articolo più o meno simile.
Ultimo aggiornamento: 2014-07-04 12:28
.mau., non sono così convinto che gli strafalcioni non possano arrivare alle stampe. Ne sono un buon esempio i libri di Schatzing, i cui traduttori si ostinano fastidiosamente a tradurre “spekulieren” con “speculare, speculazioni” invece che “congetturare, congetture” ed affini, esattamente come fanno molti traduttori dall’inglese che non si sono ancora resi conto che in Italiano la speculazione è una cosa totalmente differentae dall’inglese “speculation”.
Concordo con il commento qui sopra, tanto per cominciare: tra la pia speranza che certi strafalcioni non arrivino eccetera… e certe smarronate che si leggono a stampa la strada è lunga e irta di ostacoli. Ciò detto, grand nel senso di migliaia di dollari non prende il plurale. Twenty grand sono ventimila dollari, twenty grands sono venti pianoforti da concerto. Infine, concordo anche sul fatto che Giorgio “porco il mondo che ciò sotto i piedi” Faletti voglia affermarsi come creatore di una nuova koiné, ma la sta creando con gli unici strumenti a sua disposizione: il culo e la spocchia (laddove per “culo” non intendo “fortuna sfacciata”, ma forse…). Much love to the four of you, darling.
Avrei dovuto immaginare che un’unità di misura di quel tipo fosse uncountable, in effetti.
Resto però dell’idea che alcune di quelle “forme espressive falettiane” suonino [*] così strane all’orecchio di un lettore da essere portate all’attenzione: non siamo al livello di silicon=silicone, insomma.
[*] è un calco, lo so.
la volgarità delle argomentazioni di Faletti è allucinante
Non sono sicura di capire cosa intendi per “portare all’attenzione”: io penso che i tavolini da notte di Faletti siano una castroneria sesquipedale, un effettaccio di lega così bassa da commentarsi da sé, e giustamente fanno un’impressione* strana all’orecchio italiano. Mentre silicone per silicon è un errore di traduzione, cosa un po’ diversa (e non meno censurabile, ma quando poi leggi i toni di Faletti, come dire…).
Detto che non ho mai letto un libro di Faletti e che anche in futuro mi guarderò bene dal farlo, mi sembra un po’ poco per ipotizzare che l’intero libro sia scopiazzato; se quelle frasi fossero indice di copia, allora si potrebbe cercare la fonte e si dovrebbero trovare “prestiti” più estesi, no? E se invece Faletti ha preso un ghostwriter e perdipiù americano, ma chi se ne frega? Sarà mica l’unico autore italiano che non si scrive i libri da solo… Soprattutto, resta il concetto basilare che un autore in un libro di fiction ci scrive quel che vuole, non esiste che arrivi qualcuno a dirgli “secondo me dovevi scrivere così e non cosà”… errori grammaticali compresi, vedi l’anacoluto del Manzoni.
Forse ha ragione Faletti nella replica, quando suggerisce che le due signore traduttrici di Nobel potrebbero semplicemente star rosicando dall’invidia.
“Il guaio di avere saccheggiato tutti i topos è che non ce ne sono più da usare…”
Ma sei proprio sicuro? Ce ne sono così tanti!
@Isa: grazie per la spiegazione. Avrei sbagliato anch’io (posto che mi ricordassi il valore di un grand senza usare google, poi). Concordo in pieno (nel mio piccolo di lettrice senza particolari competenze) con l’analisi tua e di Massimo.
Secondo me Faletti con la sua risposta ha solo amplificato la diffusione dei dubbi sulla paternità o nel migliore dei casi sulla qualità del suo libro, l’oservazione di VB mi sembra fallace da un punto di vista, uno scrittore avrà tutto il diritto di scrivere quel che vuole, ma anche un qualsiasi lettore che voglia dire la propria opinione ha pari diritto di espressione, se questa critica infastidsce lo scrittore e questo usa come argomento eventuali sindromi premestruali e il numero di copie vendute, senza fornire la benchè minima giustificazione del semplice fatto che usare frasi idiomatiche traducendole letterelmente senza che ci sia una benchè minima necessità espressiva può essere lecitamente considerato più uno snobismo velleitario che un arricchimento della lingua italiana.
Per questo dubito che le signore in questione abbiano molta invidia, per un traduttore, vedere una traduzione del genere di frasi idiomatiche dovrebbe fare la stessa impressione che ad un muratore vedere una casa sbilenca, prima di credere ad un capolavoro di creatività pensa ad un muratore incapace…..
Nell’ultimo libro di Augias c’è una pagina tutta bella copin copiata(*) e questo si spiega non con il fatto che Augias copi, ma che qualche parte del suo libro sia stata data in affido a qualcuno che poi l’ha sub-affidata e così via, fino ad arrivare ad uno che, per i due baiocchi ricevuti, ha copiato dalla Rete (mi pare di averlo letto sul blog di Leonardo).
Anche leggendo “Le dieci cose che non saranno più le stesse” di Rampini ho avuto una sensazione di stili molto diversi, e che ci fossero parti compilate da qualcun altro. Per cui non mi stupirei in questo caso di un testo in inglese che poi sia stato mal tradotto (oppure mal tradotto e poi lasciato così per coprirsi del panno di sperimentatore).
(*) per dire, “copin copiata” non lo trovo scritto da nessuna parte (Google lo ignora, anche nel genere maschile) ma suona bene e rende l’idea: si può essere originali anche in italiano senza la caduta di stile di accusare una donna di essere in preda ad una sindrome pre-mestruale.
Premetto che non ho letto il libro in questione.
Anche se nel merito dell’oggetto del contendere in senso stretto sono d’accordo con Massimo-Isa-Barbara c’è però qualcosa che non mi piace in tutto questo. E’ la tendenza a fare della pagliuzza la trave.
Avessi visto una recensione in cui si facciano delle critiche di struttura del romanzo, oppure di aderenza al genere e del suo grado di originalità. O sulla profondità dei suoi personaggi, l’ambientazione…invece poche frasi del minga buttate là. Io da gente che fa di leggere libri un mestiere pretendo qualcosa di più.
Intendiamoci bene: sono convinto che non valga granché questo libro. Già la seconda fatica di Faletti era mooolto più brutta della prima, e non ho dubbio che la curva sia in discesa anche per la terza (no, questo non lo compro, ho già dato, grazie).
Però sto viziaccio di fare della pagliuzza una trave mi dà fastidio a prescindere.
@barbara: il tuo link è un errore (volevi puntare qui http://it.wikipedia.org/wiki/T%C3%B2pos ) o un riferimento superdotto alla cardinalità nella teoria delle categorie?
Più vado avanti e peggio mi spiego, evidentemente. Sarà il caldo, il pancione, l’ormone, non so, ma ci riprovo: io non credo minimamente alla tesi del ghost-writing. Sono davvero convinta che il libro lo abbia scritto Faletti e che lo abbia voluto proprio così; poi può anche avere ragione quando afferma che come autore è libero di scrivere “girare attorno al cespuglio” anziché “menare il can per l’aia”; non è libero, invece, di saltare su come punto da un aspide al culo e di distribuire patenti di invidia a destra e a manca (con così poco stile) se qualcuno gli fa notare che quella cosa, però, in italiano non vuol dire un cazzo, if you’ll excuse my French. Detto questo aggiungo che a mio avviso, per quanto li disprezzi, ha in comune con i traduttori esordienti/inesperti la nota sindrome della Fascinazione per la lingua di partenza, quella per cui l’inglese “mascella che cala” (faccio un esempio a caso, potrei farne molti) ti sembra un modo di dire tanto bello, tanto potente, tanto più significativo della tua umile e italianissima “bocca che si spalanca”, e a scrivere “spalancò la bocca” anziché “gli cadde la mascella” per “his jaw dropped” ti sembra di perdere qualcosa. Ma è un fenomeno che va riconosciuto e superato, perché si tratta di un’illusione dell’alterità che non ha riscontri reali (per il madrelingua, l’espressione è trita e ritrita esattamente come la nostra, e quindi merita, anzi pretende una traduzione trita; fare diversamente significa tradire il testo). Ecco, Faletti secondo me soffre di questa cosa e non lo sa. Un’ultima parola sull’invidia: fra scrittori ce n’è a fiumi, ma mica i nostri, livello Yang-tze; ma i traduttori, quelli appassionati del loro lavoro e in esso competenti, assaporano troppe magie e piaceri per invidiare chicchessia.
@Isa: “la bocca gli restò spalancata” (poi conosco molti che traducono “la sua bocca”, ma quella è un’altra storia)
@mestesso: io non ho ancora letto recensioni del libro del nostro; le due tipe non sono recensitrici ma una traduce e l’altra fa non mi ricordo più cosa a Cambridge.
Infine, ho come il sospetto che questo libro – nonostante avessero riempito gli Autogrill – non stia vendendo così tanto e quindi BCDeF cerchino qualche modo per rialzare l’attenzione. Ma è un po’ che non guardo le statistiche di vendita, potrei sbagliarmi.
A me sembra che le prove della frittata siano lì, belle visibili: di traduzioni in stile Google translate ce n’è ben più delle cinque citate, e inoltre la risposta di Faletti è di una arroganza tale da suonare come un’autoaccusa. Ho trovato qui un commento (scritto da un certo Gloutchov) che mi sembra qualificato e spiega come il testo sia passato indenne attraverso il filtro dell’editor.
@.mau.: il giudizio di un traduttore dal mio punto di vista è comunque una recensione (critica nel senso nobile del termine, cioè che si interroga sui contenuti e sulla loro validità nella fruizione dell’opera).
Continuo ad essere fortemente deluso dalla pochezza di Faletti e dei traduttori coinvolti: entrambi, da lati diversi, si concentrano su dettagli che nel corpus di un libro di 500 e rotti pagine sono marginali. Se è un libro del minga, lo è per 100 altri motivi al di là delle cinque frasette. I professionisti esprimono un loro giudizio che, qualunque sia il risultato dell’indagine, nulla incide sul contenuto reale dell’opera, perché riguarda 5 frasette su 25000 presenti su un libro di quella lunghezza.
Pagliuzze appunto. Che tristezza però, per me è la riprova che viviamo in tempi decadenti.
Mi avessero detto “scrittura sciatta”, “tanti luoghi comuni”, io avrei un po di rispetto in più. Un giudizio del genere “la frase qui, la frase là” me lo può dare un ragazzino che fa lo spulcio di scrittori più grandi di lui, e pur di trovare qualcosa da dire si limita a quattro stupidate. I traduttori si abbassano al livello (basso) dell’autore. Non è una gran figura.
@mestesso: »il giudizio di un traduttore dal mio punto di vista è comunque una recensione
A dire il vero, avevi scritto «Io da gente che fa di leggere libri un mestiere pretendo qualcosa di più.».
Detto questo, qui siamo partiti dalla lettera di una persona che si occupa di traduzioni, e dall’intervista fatta “a un’esperta” (lo dice il Giornale) a proposito dei calchi letterari. Nessuno dei due ha mai affermato di voler fare una recensione del libro.
@.mau.: le mie due frasi mica si contraddicono! Sono linearmente indipendenti :-). Messe assieme “da una recensione pretendo qualcosa in più”.
Rimangono pagliuzze linguistiche. Chissà quante altre puttanate ci sono e non sono state lette come tali…per il semplice motivo che (tutti quanti) ci siano abituati a leggerle, mentre ‘sti cespugli sono “nuovi” e fanno notizia. Brutta tendenza: quando i prof correggeranno solo gli errori “originali” nei temi di italiano?
Secondo faletti tradurre un Nobel e preparare il caffè a Del Piero sono la stessa cosa. Basta questo per capire quanta (poca) materia grigia ha in testa.
A chi giustifica l’uso dei calchi con l’ambientazione in America – ma a voi, quando leggete “te ne devo una”, viene in mente l’America o uno che non sa esprimersi? A me quest’ultima. Se vuoi dare un gusto americano al tuo romanzo sono ben altri gli artifici cui ricorrere. Quei calchi possono avere un sapore americano se abbiamo un americano che cerca di esprimersi in italiano, altrimenti non hanno senso.
Se poi nella parte narrativa usa “pretendere” nel senso di “fare finta” allora siamo alla frutta bella marcia.
E’ dall’uscita di “Io uccido” che circola la storia che i libri di Faletti sono scritti da qualcun altro, dato che “Vito Catozzo non può essere in grado di scrivere un libro”. Si chiama rosicare.
Allora vorrei azzardare l’ipotesi che Faletti abbia utilizzato apposta tutti quei calchi, perché sapeva che la cosa avrebbe fatto discutere. Si chiama pubblicità aggratis.
La pubblicità funziona se attira clienti, io se leggo che il libro di Faletti è scritto con i piedi non sono molto attratto dall’acquisto
Si, certo. Ma io qui vedo solo la solita polemica sul fatto che Faletti si fa scrivere i libri da qualcun’altro, e questa volta avrebbe affidato l’incarico a un madrelingua inglese che non è capace di tradurre in italiano delle frasi idiomatiche.
Francamente, visto quanto vende Faletti, credo che la casa editrice potrebbe pagargli un ghostwriter con i controfiocchi.
@pietro: quello che si legge è che “certi professoroni” dicono che il libro di Faletti è scritto con i piedi, il che – letto da una persona interessata sempilcemente a leggersi un giallo – è un punto a favore.