È notizia di ieri: Laurent Fignon ha annunciato di avere un cancro (brutto, tra l’altro, visto che ha già varie metastasi). La cosa mi dispiace (in maniera generica, non avendo mai avuto a che fare diettamente o indirettamente con lui non è che possa dire nulla di più). Però una cosa non mi torna: alla domanda se il doping avesse a che fare con la sua malattia, ha risposto che «secondo i medici, sembra di no», ma ha anche chiosato «Alla mia epoca tutti facevano la stessa cosa, come oggi tutti fanno la stessa cosa. Se tutti i ciclisti che si sono dopati dovessero avere il cancro, ce l’avremmo tutti».
Sono dissacrante, lo so: però mi viene in mente la barzelletta del vecchietto che va dal dottore dicendo che ha un ginocchio che gli fa sempre male, col dottore che gli spiega “è un problema di artrosi: sa, lei ormai ha i suoi anni” e l’altro che gli ribatte “ma l’altro ginocchio ha esattamente la stessa età, eppure non mi fa mica male!”. Più seriamente, vorrei ricordare ai miei ventun lettori che quando si parla di statistica non c’è affatto un rapporto di causa-effetto, ma una semplice probabilità maggiore. Non per nulla si parla di “fattori di rischio“: è un po’ come dire che lanciando un dado che è stato appesantito su una faccia ci conviene puntare sull’uscita della faccia opposta, ma non ci possiamo certo stupire se esce un altro numero. Purtroppo affermazioni come quella di Fignon sono pericolose perché inducono una falsa sicurezza in chi magari è indeciso se doparsi o no (e ce ne sono sempre troppi, mi sa tanto), perpetuando i rischi.
Ultimo aggiornamento: 2009-06-13 08:00
Il nostro professore di tecnica alle medie (ci sono anche dei piccoli geni in quei ruoli spesso poco apprezzati) aveva fatto un’analogia illuminante per spiegare i fattori di rischio. Immaginate di trovarvi in una stanza buia con un altro che spara a caso con una pistola: il vostro fattore di rischio è alto, in modo relativo rispetto a trovarsi dove nessuno spara, ma non è detto che vi faccia male, perché basta che vi manchi.
(se mi ricordo bene era per rispondere alla domanda: “ma che succede se tocco il mercurio?”)
fuori tema: trovo estremamente fastidiosa l’innovativa formula “mi dispiace in modo generico”.
o ti dispiace, che non necessariamente significa “mi ha gettato nella disperazione più cupa”, o non ti dispiace. da questo punto di vista, avere o non avere avuto a che fare direttamente con una persona non significa nulla. a me, per esempio, dispiace in modo assolutamente non generico che gli ebrei siano stati gasati nei campi di concentramento.
@Giorgio: quando ho scritto quella frase sapevo perfettamente il vespaio. D’altra parte, spero che se mi fossi trovato in una situazione dove avrei dovuto gasare ebrei sarei riuscito a fare qualcosa per evitarlo, mentre in questo caso non avrei potuto fare nulla (dire “il doping fa male” è non fare nulla), quindi il paragone non regge. Né posso dire “non me ne importa nulla di Fignon”, perché nemmeno quello è vero…
@mau: l’if …. then … è una diversione, conta tanto quanto l’averci avuto a che fare direttamente. sono sicuro che anche a te, come a me, dispiace per gli ebrei “perché sì”, non perché avresti potuto essere un piccolo schindler sabaudo. stiamo parlando di sentimenti, che possono essere vivi o deboli, ma non sono mai “generici”.
per dire, lo sterminio degli hutu o dei ceceni mi interessano da un punto di vista storico-politico-ecc, ma, ahimè, non mi coinvolgono emotivamente. mai però mi sentirei di dire che per loro “mi dispiace in modo generico”, mi sembrerebbe di prenderli per i fondelli.
temo che siano molti di più quelli decisi ad usarlo che quelli indecisi ad usarlo.
p.s. anche io sono genericamente dispiaciuto. toh :)
diversamente dispiaciuti?