Col concerto di ieri sera a Lodi è terminato anche il mio secondo – e mi sa davvero ultimo, almeno per un po’… – impegno col Forum Corale Europeo. Stavolta abbiamo cantato la seconda parte del Messia di Händel, la cosiddetta “piccola Passione”, che termina con l’Hallelujah: un mio sogno da quando diciottenne ho accompagnato all’organo la mia corale parrocchiale.
Preparare cose così complicate non significa solo studiare la parte: occorre anche entrare un po’ nella storia dell’opera, e scoprire così una serie di minuzie davvero interessanti. Il Messia è stato composto in soli 24 giorni, salvo probabilmente avere richiesto qualche modifica perché il vescovo aveva sentenziato che il testo non era troppo cristiano; d’altra parte, le esecuzioni con Händel ancora vivo sono tutte leggermente diverse, con pezzi aggiunti tolti spostati come usava al tempo. Il compositore devolvette l’incasso della prima all'”ospedale dei matti”; tra l’altro, il contralto che scelse era appena stato al centro di uno scandalo – suo marito, impresario teatrale in difficoltà economiche, aveva dato in uso le sue grazie dietro congruo pagamento, salvo poi chiedere il divorzio per infedeltà… – e probabilmente venne scelto anche per solleticare la curiosità dei dublinesi che assistettero alla prima.
Musicalmente ci sono dei punti molto interessanti. Händel è contemporaneo di Bach, anche se i due non si sono mai incontrati, e ha anch’egli contribuito a portare la musica dal barocco verso il romanticismo classicismo. Bach sdoganò il tritono (l’intervallo di quarta aumentata o quinta diminuita, fa-si oppure si-fa) usando l’accordo di settima diminuita, che per noi è più o meno armonico ma alle orecchie delle persone colte nel ‘700 doveva sembrare terribilmente dissonante; Händel prevede vari tritoni nei pezzi più cupi del Messiah: guardando più attentamente la linea melodica, però, i tritoni sono tutti formalmente delle appoggiature sulla nota successiva, un po’ come cantare il pezzetto di scala do-re-mi-fa, scendere al si e tornare sul do. Così poteva dire che formalmente non faceva nulla di vietato dalle regole armoniche del tempo! Addirittura, come nelle altre sue opere, c’è anche un pezzo più arcaico: The Lord gave the Word ricorda molto Purcell.
A proposito di testo e musica, si sente come le note si pieghino al testo: le tonalità usate nei brani che raffigurano la Passione sono piene di bemolli, e le armonie sono più dure – in un punto i contralti entrano con un sol e mentre lo tengono lungo noi bassi rispondiamo con un la bemolle, roba che pensavo si fossero solo inventati i Beatles con Please Please Me. Insomma, se uno riesce a capire l’inglese del 1700 si trova perfettamente a suo agio con la musica. Il coro enorme – stavolta eravamo in novanta – ha sempre una massa notevole, e i contrappunti danno persino un effetto quadrifonico, visto che non eravamo divisi in sezioni ma più o meno sparpagliati: io ad esempio stavo davanti, perché tanto cantavamo da seduti (almeno noi fortunelli… io in effetti spunto sempre troppo a stare in piedi) e facevo parte del gruppetto dei “pochisti” che in uno dei pezzi, All we like sheep, rispondeva al coro tutto.
I concerti del 18 e 19 aprile avevano dei brani per solisti: basso, l’ottimo Davide Rocca che già avevamo con noi per la Nona di Beethoven, tenore e… contraltista, un uomo che cantava in falsetto (o di testa, non sono un esperto musicologo) e sulle prime lascia sempre un po’ di stucco. L’orchestra era molto più piccola che per la Nona, con trombe e timpani che sono arrivati letteralmente “last minute”: una prova e ingresso a metà del concerto, visto che tanto suonano solo nell’Hallelujah. Tra l’altro Martinho Lutero ce l’ha fatto fare a una velocità incredibile; l’ho cronometrato una volta ed è durato 3’17” nonostante una cadenza finale che non finiva più.
A Lodi invece siamo andati il 29 per la seconda parte di un concerto con le Quattro Stagioni di Vivaldi, e ci siamo limitati a tre cori del Messiah col maestro Stefano Lucarelli a dirigere e un bis con Martinho. L’auditorium della Popolare di Lodi è davvero favoloso, sia come forme (con i dischi volanti in cima) che come acustica; a mio parere il coro è stato davvero ottimo, e il pubblico, purtroppo non eccessivo, spero abbia anche apprezzato. Purtroppo mi sa che la mia carriera finirà davvero qua, anche se confesso che ci stavo prendendo gusto.
Ultimo aggiornamento: 2009-04-30 13:32
.mau.> “a portare la musica verso il romanticismo”
…e verso la dodecafonia, anche!
Dire che Bach porta verso il romanticismo è un po’ come sostenere che Giulio Cesare porta verso la rivoluzione francese… in un certo senso è vero, ma la distanza temporale è un pelino eccessiva.
Quindi Bach fa sì che si fa si fa?
@fB: hai ragione, sarebbe più corretto “verso il classicismo”, ora correggo (anche se nel tuo paragone Giulio Cesare porterebbe verso il Rinascimento più che la rivoluzione).
@Boris: no, Bach è chiaramente sibemolle la do sibequadro.
Non sai quanto ti invidio… Ho cantato per 11 anni nel Coro Città di Como, ma purtroppo, spostandomi prima a Milano poi a Parigi, ho dovuto interrompere.
Ora magari, nella Ville Lumière, riesco a ricominciare…
@.mau.: io ho un po’ il dente avvelenato verso il romanticismo in generale, anche se molto meno in ambito musicale, quindi tendo a esagerare al proposito (il dente non è solamente avvelenato, ma duole pure).
Per il paragone invece di Giulio Cesare avrei potuto utilizzare più a proposito Newton e la teoria maxwelliana del campo elettromagnetico.
@fB: parli con uno che trova la musica barocca il top (forse perché riuscivo a suonarla, a differenza di quella romantica…)
Poi vabbè, ci sono i Beatles, ma quello è un altro campo.