Ho trascorso la pausa pranzo andando al Poli a sentire la conferenza “Modelli matematici e crisi finanziaria”, nell’ambito dei Seminari di Cultura Matematica del dipartimento di Ingegneria Matematica. Sì, lo so che ho appena scritto un ossimoro.
Premetto che io di matematica ne capisco abbastanza, di statistica un po’ e di economia nulla, e aggiungo che sono riuscito a resettare il mio palmare prima di salvare gli appunti che mi ero preso, quindi può darsi che io abbia preso delle cantonate: tanto ci sono fior di economisti tra i miei ventun lettori, che saranno lesti a correggere. La netta sensazione che però ho avuto è che il sistema bancario prenda gli strumenti matematici e poi li usi in maniera tale che i fisici in confronto sono dei formalisti puri.
Innanzitutto c’è il leverage, vale a dire quanti soldi la banca dà in giro rispetto al suo capitale (troppi, soprattutto negli ultimi anni…), ma questo con la matematica c’entra poco. Più interessante il racconto di Emilio Barucci su come funzionano le cartolarizzazioni dei mutui casa. Se un mutuatario ha probabilità x di non poter pagare, con varianza σ2, basta prendere mille mutuatari e mettere insieme i loro mutui. Se le loro probabilità di default sono indipendenti, un po’ come quando si lancia un dado N volte, la probabilità di default del pacchettone continua ad essere x, ma la varianza scende a σ2/1000, il che mi torna: se provate a disegnare la distribuzione binomiale di dieci oppure diecimila lanci di moneta nella stessa scala, vedrete che la seconda sembra una gaussiana molto più stretta. A questo punto si prende il pacchetto dei mille mutui e si fanno delle quote: non però uguali, ma dividendolo in tranche. In pratica ci sono le quote più rischiose, che però quando le cose vanno bene danno tanti soldi, e quelle via via più sicure, con rating che arrivava anche ad AAA (cioè una possibilità su 20000 di diventare carta straccia entro un anno). Queste quote sicure sono state vendute come obbligazioni sul mercato: solo che le banche americane, invece che fare come da noi dove le obbligazioni venivano rifilate agli utenti finali, se le compravano tra loro, spostando le voci nel bilancio ma rimanendo comunque fregate con una crisi come questa.
Ma anche questo non c’entra con la matematica light, se non per un punto fondamentale: la varianza si riduce così tanto solo se i vari mutui sono statisticamente indipendenti. Nel caso ci sia correlazione perfetta, la varianza rimane ovviamente σ2; altrimenti ci sarà un valore intermedio. Cosa facevano allora quelli che erano incaricati di suddividere il pacchetto dei mutui nelle varie tranche? Semplice: giocavano con i parametri, e soprattutto con la correlazione tra i mutui, per trovare i risultati che gli andassero bene. Un po’ insomma come i “sondaggi televisivi” dove facciamo una domanda a una decina di persone e mostriamo le tre risposte che ci piacciono di più.
Ma il secondo punto “molto matematico” è quello del Valore a rischio, o VaR. Questo numeretto misurerebbe qual è il valore minimo che ci aspettiamo il nostro portafoglio avrà in una certa data nel 95% dei casi: in pratica nel 5% dei casi scenderemo sotto quel valore, nel 95% invece lo supereremo. In condizioni perfette – leggasi, distribuzione del rischio sotto forma di gaussiana pura – il VaR è un’ottima misura del rischio. Peccato che non solo le condizioni non sono generalmente perfette, ma è anzi vantaggioso mettere investimenti molto più rischiosi in quel 5%, visto che al mondo sono nascosti (il VaR resta lo stesso) ma si può guadagnare di più… se le cose vanno bene, naturalmente.
Insomma, il concetto di base mi pare essere “prendiamo le formulette matematiche, e facciamo finta funzionino sempre; se non funzionano, cominciamo a spostare i numerini fino a che non dicono quello che vogliamo noi”. Belle cose, e poi uno si stupisce che stia andando tutto a catafascio!
Ultimo aggiornamento: 2009-03-18 15:05
Consiglio la lettura di http://www.wired.com/techbiz/it/magazine/17-03/wp_quant?currentPage=1
E’il concetto del “giocare con i numeri” di cui ho parlato altre volte, qui espresso in modo assai più scientifico.
Fortunatamente non faccio più quel tipo di operazioni, ma qunado ne ho fatte ho potuto vedere che quando si fanno girare (o, speriamo, si facevano girare) i modelli, coefficienti quali la correlazione sono condiderati variabili dipendenti dal risultato che si vuole ottenere.
Si parte dal risultato, si costruisce a ritroso il modello di segmantazione, i tassi di decadimento, i coefficienti di correlazione e poi si trova la serie storica i cui risultati più si avvicinano ai coefficienti cercati.
Io, che di matematica ne so quanto .mau. sa di economia (e di economia pure, peraltro;-) ) di fronte a questi artifici rabbrividivo, ma vedevo che era la ricetta della casa, pianamente accettata e considerata ovvia da tutti gli avvocati d’affari del tipo Studio Illegale.
Anche sul VaR si stanno spendendo fiumi d’inchiostro per spiegare -a posteriori- che è un modello che funziona solo nell’ordinario, e non ha alcuna utilità nel prevenire o anche solo prevedere le situazioni di crisi.
Anch’io, da ignorante di economia, mi ero messo le mani nei capelli leggendo, ne “Il cigno nero” di Nassim Taleb, di come viene maltrattata la matematica da chi si occupa di finanza. Tipico esempio di strafalcione: applicare la statistica gaussiana a variabili chiaramente non gaussiane.
Secondo me c’è pure di peggio: dei miei colleghi che fanno software per il mercato dei futures mi dicono che il mercato è (sostanzialmente) in mano alle macchine, o meglio ai programmi, implementati su modelli, diciamo così, arbitrari.
Il bello è che un modello falso, eseguito da macchine che alla fine fanno il mercato, danno al falso la qualifica di reale, visto che loro sono il mercato! Neanche nei romanzi ho visto roba del genere!
@keplero: “Il cigno nero” ce l’ho da mesi nello stack di lettura :-(
Quanto al maltrattamento della matematica, mi chiedo se sia appunto per ignoranza (“visto che non so quale sia la distribuzione, deve per forza essere la gaussiana che è quella che modella l’ignoranza”) o per malafede…
Un misto di entrambi, ma più che altro ignoranza. Lo illustro con un esempio personale.
Io in questi giorni ho a che fare con degli statistici (nel senso di laureati in economia con un orientamento statistico, o scienze politiche indirizzo statistico) per la modellazione del modello LGD per Basilea II (quello che serve a stimare quanto si perde se una posizione salta).
Bene: da quel che vedo a partire dalla raccolta dei dati, alle assunzioni che vengono fatti sulla loro validità, alle interpolazioni ed estrapolazioni e tutto il resto (scusate ma io i formalismi non li possiedo e quindi non so quali paroloni utilizzare); tutto questo, insomma, viene stabilito del tutto acriticamente senza neppur conoscere il fenomeno sottostante che si dovrebbe esaminare.
Sulla mia realtà, poi, il modello ha dato risultati che non solo erano assurdi, ma erano proprio l’opposto di quanto ci si dovrebbe logicamente attendere (se le posizioni garantite perdono più di quelle non garantite, evidentemente un qualche errore ci deve ben essere).
Ci ho messo del bello e del buono a far cambiare il modello, e una volta adottato il nuovo i risultati erano in linea con quanto atteso, il che ha fatto sì che il modello nuovo fosse adottato, a prescindere dal contenuto e dalla metodologia sottostante. Il fatto è che io so che la nuova metodologia è -almeno in linea di principio- corretta, anche se non so midurare quelle letterine greche che dovrebbero consentirmi di confermarlo; mentre loro, che sono i tecnici, non hanno alcun interesse a farlo perché il risultato è soddisfacente.
Carissimo .MAU.,
questo pezzo è davvero bello, così mi sono permesso di riportarlo oggi (1/7/09) sul mio blog: http://blog.libero.it/paghecontributi/
Ciao
Walter Caputo