Del ditin non v’è certezza

Come dovreste sapere, Paolo Guzzanti non vuole il sistema di votazione parlamentare con le impronte digitali, e oggi parla di nuovo della cosa con dovizia di particolari.
Non entro nel merito delle sue argomentazioni, se non per aggiungere che anche il metodo proposto da lui per verificare i pianisti ha un tempo assolutamente improponibile per il votificio delle sezioni Montecitorio e Palazzo Madama; mi preme di più notare il ragionamento “matematico” della sua affermazione sulla verifica delle impronte digitali «E sapevate che non c’è mai la certezza? Sì, avete letto qualche libro giallo.» Un’affermazione così è assolutamente naïf.
È infatti vero che il controllo delle impronte digitali, come quello del DNA, non dà certezze, non fosse altro che perché non c’è la possibilità di fare una verifica a tappeto ma vengono fatti controlli a campione e si cerca un certo numero di coincidenze; questo significa che “un’impronta digitale può appartenere a più persone”, se mi concedete un’affermazione non corretta ma che rende l’idea. (Se non me la concedete, sostituite a quella frase la seguente: “Esistono più persone le cui impronte digitali sono compatibili con un’impronta data”) Ma questo è (statisticamente sempre più) vero col crescere dell’insieme di persone di riferimento con cui si controlla l’impronta. In questo caso abbiamo poche centinaia di persone, e le probabilità di errore si riducono enormemente.
Per darvi un’idea di quello che succede, immaginate di avere un foglio di carta dove sono posti a caso un certo numero di punti; il vostro test consiste nel posizionare un cerchietto sul foglio, e verificare se il cerchietto racchiude all’interno un solo punto. Se i punti disegnati sono pochi, la cosa funziona bene: magari il cerchietto non ne racchiude nessuno, ma è molto improbabile che ce ne siano due così vicini da stare entrambi nel cerchietto. Ma se ce ne sono moltissimi, allora la cosa cambia eccome. Morale: ricordarsi che alcune statistiche migliorano con l’aumentare del campione, altre peggiorano.

Ultimo aggiornamento: 2009-03-05 17:18

5 pensieri su “Del ditin non v’è certezza

  1. Yuri

    Al di là delle questioni tecniche (e comunque sì, le argomentazioni di Guzzanti mi sembrano questioni di lana caprina), doversi ridurre a verificare le impronte digitali agli onorevoli, che in fin dei conti sono quelli che ci rappresentano, perché altrimenti fanno i furbi quando votano… beh è molto triste…

  2. gioegio

    basterebbe che qualche buon uomo di buonissima volontà si mettesse a denunciare i pianisti. votare per gli altri non è REATO? io dico proprio di si. poi certo, il tribunale di competenza sta a roma, dove c’è sempre molta nebbia.
    che ne pensate? reato o meno?

  3. Davide Inglima - limaCAT

    Capisco perché abbia paura dei conflitti a livello di DNA, visto che molti parlamentari hanno un solo genitore in comune fra di loro.
    Comunque sia quando parleranno di banca del dna per tutti gli italiani, sarà il momento giusto per il popolo per richiedere lo scanner retinico, impronte digitali ed rfid sottocutaneo per chi vuole sedersi in parlamento. Ovviamente tutto questo solo per motivi di sicurezza, non sia mai che un agente infiltrato ostile agli interessi del popolo italiano si infiltri e voti no alla finanziaria, facendo crollare il governo e mandando il paese nel caos.

  4. mestesso

    Chissà se il sistema utilizzato distinguerà i calchi dei polpastrelli fatti con la plastilina dalle dita vere…
    Gli italiani, si sa, sono bravissimi a trovare scorciatoie, e si conoscono da tempo i problemi legati alle tecniche di rilevamento delle impronte. Un solo sistema, a mia saputa distingue i calchi dalle dita, e costa parecchio. Secondo me hanno fatto economia ;-).

  5. Alessandro

    Perche’ non copiare definitivamente dalla Yakuza, allora… I membri di ogni gruppo si tagliano un dito cosi’ non c’e’ problema. Oddio, questo ridurrebbe anche il trasformismo, visto che le dita sono decisamente in numero finito… :-)
    L’affermazione in questione, anche in un contesto di continui e triti stratagemmi retorici (ed essa stessa e’ un argomanto ad populum ed un’inferenza illecita), rivela la solita e dilagante insensibilita’ numerica. Che poi sia un problema di chi ha scritto quella frase, oppure un problema di chi la legge, e’ solo questione di buona fede. Se G e’ in buona fede, ha le idee confuse. Se intenzionalmente utilizza un cosi’ palese argomento truffaldino, significa che ritiene di avere fondate speranze che chi legge abbia le idee confuse. Di fronte a tanta confusione, provata o presunta, ed a simili dimostrazioni di insensibilita’ numerica, l’etichetta “povera matematica” e’ quanto mai (tristemente) adatta…
    Sulle impronte digitali come schedatura, mah, resto sempre perplesso. Pensando alle mie impronte, credo che siano ancora ad esempio da qualche parte al Distretto Militare. Inoltre quando passo dale porte della mia banca debbo apporre gentilmente l’indice su uno scanner se desidero che la porta si apra. Ci saranno sicuramente altre occasioni in cui i miei dati biometrici, piu’ o meno raffinati, sono stati presi e presumibilmente conservati.
    Inoltre, tutti si lamentano dei rischi della schedatura di massa, forse memori dell’uso che fecero i nazisti delle macchine Hollerith, pero’ vedo che in massa la gente si affretta a farsi schedare volontariamente da aggeggi tipo “faccialibro”, rivelando opinioni e fatti personali che non affiderebbero a nessun questionario o censimento, ed oltretutto consentendo un bel mapping delle relazioni sociali. Personalmente ritengo che questo genere di informazioni siano piu’ pericolose delle impronte digitali, in termini di liberta’ e privacy. Ma sembra che sia tra i pochi a pensarla cosi’, ed il desiderio mimetico trionfa.
    L’RFID sottocutaneo sara’ probabilmente introdotto come strumento per il SSN, negli USA hanno allo sviluppo un sistema di questo genere, almeno a quanto riporta un editoriale del DDJ:
    “Pharmacy-on-a-Chip, a drug-delivery system that dispenses medicine via wireless networks. Formally referred to as Remote Intelligent Drug Delivery Systems (RIDDS), devices implanted under a patient’s skin collect patient information (pulse, blood oxygen levels, and the like), then wirelessly transmit that information back to a medical control center. Based on this information, the control center then wirelessly tells the RIDDS what kind and how much of a medicine to inject into the patient.”
    Ovviamente QUESTO e’ davvero rischioso, e non solo per l’uso che di tali informazioni potrebbero fare assicurazioni, agenzie di rischio finanziario e via dicendo, ma molto banalmente perche’ sono esposte al buon vecchio data poisoning, come dimostrato in un papero segnalato nel medesimo editoriale: “Security Risks for Remote Intelligent Pharmacy-on-a-Chip Delivery Systems, by YanYan Wang, Carey Thaldorf, and John Haynes”.
    Potrebbero essere omicidi perfetti…

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