G. K. Chesterton doveva essere uno di quei tipi sempre pronti a entrare in una discussione e possibilmente a vincerla come bastian contrario: basti pensare a come sia diventato cattolico in un’Inghilterra dove i papisti non venivano certo visti bene. Nella vecchia edizione di questo libro che ho recuperato in biblioteca (G. K. Chesterton, L’uomo che fu Giovedì [The Man Who Was Thursday], Mondadori – I grandi del mistero, 1984, pag. 357, trad. Luciana Crepax e Nicoletta Neri) la seconda parte è dedicata a una selezione di racconti aventi come protagonista Padre Brown… il che fa immediatamente venire a mente a quelli fino alla mia generazione i telefilm con Renato Rascel. Devo però dire che non tutti i racconti con il piccolo prete mi sono piaciuti allo stesso modo; i migliori sono quelli dove l’apparenza viene smontata e rovesciata. In compenso il libro che occupa la prima metà del volume è davvero bello. Le prime due-tre pagine mi facevano temere un polpettone postvittoriano, ma fortunatamente la storia poi si dipana pirotecnicamente, con la riunione di un gruppo anarchico dove ciascuno dei vari personaggi non è colui che sembra e una serie di scene cinematografiche che si dipanano tra Londra e la Francia. Chesterton è bravissimo a dipingere le scene e inserire incisi che sembrano buttati lì ma raddoppiano il piacere della lettura. Spero solo che l’edizione Bompiani sia più curata di quella Mondadori che ho letto io, piena di refusi e con una traduzione in certi punti pesante.
Ultimo aggiornamento: 2009-03-02 07:00
Anche a me viene subito in mente Rascel… Ma non e’ che ne sia particolarmente felice. No, non per le inevitabili riflessioni sull’eta’ che incalza, quanto perche’ almeno a me risulta estremamente difficile “scollare” l’immagine dell’attore al personaggio che interpreta, e non sempre gli attori hanno l’aspetto che suggerirebbe l’opera originale.
Ad esempio, Don Camillo di Guareschi e’ inevitabilmente collegato a Fernandel. Grande attore comico, certo. Alto, certo. Ma non quella “montagna d’uomo” cui pensava Guareschi, che una volta ammise che forse un giorno sarebbe riuscito a farsi piacere la faccia equina dell’attore francese (ma non ha mai riferito di un simile successo).
Del “defensor fidei” ho letto solo alcuni racconti di Padre Brown (anzi, la raccolta “il candore di Padre Brown”), quindi apprezzo la segnalazione positiva de “L’uomo che fu giovedi’”, lo mettero’ nella lista dei libri da acquisire.
A proposito di refusi e traduzioni pesanti, ne sperimentiamo tutti di continuo ma ne approfitto per segnalare una vecchia traduzione piuttosto fastidiosa di Wiener per Bollati Boringhieri, dove “pattern” viene sistematicamente tradoto con “modello”, generando una confusione allucinante… Eppure l’editore e’ (era?) di quelli decenti.
E quanto alle traduzioni dei trattati, poi… Chi ha sperimentato il metodo imposto da certi editori dubito che acquisti le edizioni italiane.
Ti arriva il testo parcellizzato e tradotto in modo apparentemente automatico, ovviamente senza corretta traduzione dei termini tecnici: a te, “traduttore tecnico”, il compito di adeguare la terminologia a quella correntemente in uso nei nostri lidi e di rimettere in piedi il periodo. Il tutto poi passa ad un traduttore “non tecnico” che risistema la forma. Ovviamente i numeri delle parcelle di testo sono da riportarsi in ogni modifica… Un sistema semplicemente orrendo.
Ad esempio, sono ragionevolmente lieto che nessuno abbia osato tradurre “A New Kind Of Science” di Wolfram.
Un’altra traduzione bislacca che ha causato confusione in generazioni di studenti e’ quella, sempre per Bollati, del Lang (Algebra Lineare). Non e’ infatti bello leggere come nota del traduttore: “la traduzone italiana del termine inglese field e’ campo. Abbiamo tuttavia preferito adoperare il termine italiano corpo perche’ questo e’ l’uso nella letteratura piu’ recente. Il termine corpo traduce piu’ propriamente l’inglese sfield, e indica un corpo in cui la moltiplicazione puo’ non essere commutativa; quando si vuol porre l’accento sul fatto che la moltiplicazione e’ commutativa, si dice corpo commutativo. In questo caso, trattandosi di insiemi di numeri complessi, e’ chiaro che corpo significa corpo commutativo”. Cosi’ intere generazioni si sono sorbite la definizione di spazio vettoriale su un corpo invece che su un campo… E non e’ bello, direi. Quanto all'”uso nella letteratura piu’ recente”, poteva essere cosi’ nel 1970, ma ho i miei dubbi, magari qualcuno che si e’ sorbito molti paperi degli anni ’70 puo’ confermare.
Ma sono andato di nuovo OT, come d’abitudine. Chiedo umilmente scusa.
Avrei da aggiungere che un polpettone vittoriano da cui sono uscito abbastanza indenne e’ “Sylvie e Bruno”, che era obbligatorio nella mia recente rilettura dello “scaffale carrolliano”… Ma ero gia’ stato vaccinato dalla prima lettura ai tempi dei tempi, suppongo.
E cosi’ sono di nuovo OT, non ho proprio scuse.