l’apostrofo

Oggi Stefano Bartezzaghi scrive su Repubblica a proposito degli apostrofi. Si può leggere delle due associazioni inglesi al riguardo: l’AAAA Association for the Annihilation of the Aberrant Apostrophe – non sono riuscito a capire se Keith Waterhouse, il suo fondatore e presidente a vita, l’abbia mai effettivamente creata o ne parli solamente; e l’APS, Apostrophe Protection Society. Almeno in Gran Bretagna, l’abuso degli apostrofi ha persino un nome: l’apostrofo del fruttivendolo (greengrocer’s apostrophe), visto che sembra che quella categoria ami molto usarli.
Stefano continua poi parlando della triste sorte dell’apostrofo nell’italiano; usato a sproposito (*qual’è, *c’è n’è), dimenticato (“*non centra nulla”, che si può solo dire quando uno non riesce a colpire un bersaglio) o molto più spesso sostituito da un accento (*pò per po’, per non parlare degli imperativi di’, fa’, sta’). È anche vero che soprattutto in legalese è facile vederlo perso del tutto: ormai si scrive “una istanza” e non “un’istanza”. C’è però un punto sul quale non sono d’accordo con lui: secondo me, si possono tranquillamente apostrofare “ci hai sonno?” e “ci avevo fame”. È infatti vero che scrivere “c’hai sonno?” e “c’avevo fame” va contro l’italiano standard che abbiamo studiato a scuola, ma è anche vero che neppure quelle forme sono italiano standard, ma modi colloquiali; e allora perché non scriverli anche, in maniera colloquiale? Voi che ne pensate?

Ultimo aggiornamento: 2009-02-19 15:16

36 pensieri su “l’apostrofo

  1. Francesco

    C’e` chi propone “ciai”, “ciavevo”, a marcare nello scritto la differente pronuncia. Non mi entusiasma, ma lo uso. “C’hai” ha il grave difetto (dal mio punto di vista!) di non chiarire la pronuncia (ad es. per uno straniero) o, peggio, di suggerirne una sbagliata, che e` un problema che la grafia italiana in genere risparmia al lettore.
    e si’, lo so; scrivo e`, si’. Scrivo anche perche’. Non sopporto la tastiera italiana. Poi voglio essere 7-bit clean ;-).
    e si’, so anche che l’accento sul si’ dicono debba essere grave (si`). Questo e` uno dei motivi per cui non sopporto la tastiera italiana.

  2. mfisk

    mah! Io non scriverei mai né “ci hai sonno” né “c’hai sonno”, salvo che nell’ambito di un romanzo toscaneggiante; ma dato che la mia amica poetessa già ne ha scritto uno senza trovare chi glielo pubblichi, non vedo perché mettermici dietro (solecismo lombardo).
    Analogo ragionamento vale, come ovvio, per “ci avevo fame” o “c’avevo fame”, salvo il fatto che qui la forma elisa mi sembra un po’ più brutta.
    Invece quando ho letto l’articolo di Bartezzaghi, devo confessare di aver perso un po’ di tempo prima di accorgermi dove era (o dov’era?) l’errore in “c’è n’è”!
    Considerato che ieri ho fatto un c### così a mio figlio perché aveva scritto “all’ora” e un orrendo “c’è na vevo”, l’ho visto come un contrappasso e mi sono pentito d’essere stato un po’ troppo rigido nei suoi confronti.

  3. .mau.

    @Francesco: la mia tastiera logica è US-International, quindi non ho problemi a scrivere àèìòùáéíóú. Attento comunque a distinguere l’accento, che è sempre grave per ‘a’ e ‘o’ se accentata, sempre acuto per ‘i’ e ‘u’, e può essere grave e acuto per ‘e’ e per ‘o’ tonica non in fine parola, dal segnaccento, che tranne che per Einaudi è sempre ` per aiou.
    Quanto al fatto che l’italiano si legge come si scrive, è una leggenda metropolitana. A parte sapere dove va accentata la parola, il glicine e coglilo il gruppo ‘gl’ si pronuncia diversamente, tanto per fare un esempio.

  4. Barbara

    @.mau.: mi spieghi meglio la storia del segnaccento? Se ho ben capito si intende “come nei libri e sulla tastiera della macchina da scrivere”.
    Io scriverei c’avevo e c’hai perché non ci vedo nulla di strano, ma si sa che toscaneggio di natura.
    E visto che di toscaneggiare si parla, a me prima di coglilo sarebbe venuta in mente altra parola, che uso assai più spesso di coglilo e in cui le prime cinque lettere sono le stesse e si pronunciano allo stesso modo.

  5. .mau.

    @Barbara: segnaccento è il termine tecnico per indicare l’accento grafico. Per il toscaneggiare, la parola che hai pensato tu aveva un problema tecnico: dopo il gruppo “gli” c’era una vocale, e qualcuno avrebbe potuto dire che la differenza con “glicine” stava appunto nella lettera successiva.

  6. Luca

    @.mau.
    Beh tanto leggenda che l’italiano si legga come si scrive non è.
    O almeno rispetto ad altre lingue vi è più corrispondenza.
    I segni grafici che si scrivono in modo uguale ma si pronunciano diversamente sono l’eccezione e non la regola, così come la regola sugli accenti(o se non vogliamo definirla regola, diciamo sono la maggioranza) è che la parola sia piana.
    A conferma un vecchio studio di cui non trovo originale:
    http://www.repubblica.it/online/cultura_scienze/dislessia/dislessia/dislessia.html
    “C’hai sonno” lo trovo corretto, l’italiano è una lingua viva e quindi tende a contrarre le parole e le espressioni più frequenti.
    E dal parlato si passa allo scritto.

  7. .mau.

    @luca se lo confronti con l’inglese, sicuramente l’italiano è più vicino al si-legge-come-si-scrive. Ma dal basso della mia conoscenza posso assicurare che tedesco e sloveno sono meglio dell’italiano.

  8. Daniele A. Gewurz

    Scusate, ma che utilità hanno “c’hai” e “c’avevo” rispetto alle corrispondenti forme col “ci”? L’unica differenza è che sembra che i primi si debbano pronunciare “cai” e “cavevo”. No?

  9. Luca

    @ .mau.
    azz dal basso della tua conoscenza…
    ho appena scoperto che allora devo essere morto e sotto ben più che qualche metro di terra.. :-)
    (Fu) Luca

  10. fB

    O almeno rispetto ad altre lingue vi è più corrispondenza.
    A parte l’Inglese, che ha subito diversi drammatici cambiamenti di pronuncia e oggi si scrive all’incirca come si pronunciava nel ‘600, sapresti citarmi un esempio?
    Perché la mia esperienza suggerisce il contrario.

  11. scorfano

    L’articolo di Bartezzaghi mi sembra un po’ troppo costellato di refusi per poter parlare di ortografia. L’argomento richiederebbe una certa esattezza, altrimenti si finisce per fare danni invece che un po’ di chiarezza.
    Per quanto riguarda la questione che poni tu, io sarei per non scrivere né “c’avevo” né “ci avevo”. Mi sembrano espressioni troppo tipiche del parlato per essere scritte; insomma non c’azzeccano :-) niente con la lingua scritta. A meno che, ovviamente, uno non stia proprio cercando di imitare il parlato (o il dipietrese) mentre scrive, nel qual caso mi pare meglio la forma “c’avevo”, che è più colloquiale e mimetica.

  12. Licia

    In italiano ci sono parecchie eccezioni in cui grafia e pronuncia non corrispondono (in genere per ragioni etimologiche) e l’ortografia va memorizzata caso per caso, basti pensare alla i che non si pronuncia ma va scritta in arciere, braciere, crociera, deficiente, efficiente e nelle forme verbali bagniamo, sogniamo, guadagniamo, ecc.
    E che dire di coscienza che ha la i ma conoscenza no?
    Altro esempio di mancata corrispondenza: la consonante intensa /tts/ si scrive zz in alcune parole (es. pozzo, razzo) ma z in altre (vizio, ozio)…
    @Luca Un libro molto interessante con un capitolo su dislessia e sistemi di scrittura è Proust and the Squid – The Story and Science of the Reading Brain di Maryanne Wolf.

  13. rossana

    Il problema, secondo me , non si pone. Chi scrive decide se rispettare le regole o se scegliere una forma “colloquiale”, come .mau. ha giustamente detto. Nel primo caso quella inutile ci o c’ viene eliminata senza pietà, ovvero si scriverà semplicemente :ho sonno, avevo la febbre ecc.; nel secondo, visto che si è deciso di trasgredire, tanto vale scrivere un po’ come si vuole. Certo è che la c apostrofata seguita da una parola che inizi con a, o, u dovrebbe essere pronunziata dura, come una K.

  14. Luca

    @ fB
    “YHWH” o Jahvé, di cui si sa come si scrive ma non come si pronuncia…
    e poi francese, portoghese, danese.

  15. s. bart.

    caro Maurizio,
    il problema di forme come “c’ho” o “ch’avevo” è che non hanno alcuna corrispondenza con la realtà fonetica che vorrebbero trascrivere, e anzi in passato sono state usate entrambe come contrazioni di “che ho” e “che avevo”. Anche la soluzione “ci ho” non va bene, perché non trascrive il fatto che nell’uso discorsivo le due sillabe diventano una sola. Trattandosi di un uso non proprio grammaticale, e legato al parlato, è difficile pretendere che il sistema di scrittura le preveda: la soluzione “ciò, ciavevo” è quella che più si avvicina. Detto questo, la lingua si evolve e scriventi e leggenti sono padronissimi di stabilire una convenzione per cui “c’ho” non si legge “ch(e) ho” ma appunto “ciò” (così come per convenzione oramai si è stabilito che per segnalare che una frase viene cantata si moltiplicano le vocali; esempio: “voglio una vitaaa spericolataaaa”). Padronissimi noi, immagino, di dire che sono soluzioni che fanno abbastanza schifo.
    Ciao!
    stefano

  16. CavalloRazzo

    Per la cronaca, a me risultava che l’AAAA fosse l’Association Against Acronym Abuse…
    In topic, non mi piace l’idea di “sdoganare” i modi colloquiali perché temo che finiscano con l’impoverire il linguaggio. E poi anche perché si finisce per leggere delle minute in inglese che recitano “we there have” (noi c’abbiamo).

  17. mfisk

    Non so quanti dei partecipanti a questa dotta discussione abbiano dei figli. Posso però assicurare che poco prima che Nichita dovesse andare in prima elementare tentai di insegnargli qualche rudimento del leggere, e solo allora mi resi conto dell’abissale differenza che passa tra i segni grafici e la loro pronuncia.
    C; G; S; Z; GL; GN; SC e tanti altri fonemi che non rammento più…
    Andate a spiegare a un bambino di sei anni che SCIA si può leggere come in aSCIA o come in SCIAre, e vedrete che le vostre certezza verranno meno.

  18. .mau.

    rispostone a tutti.
    @Daniele: »ma che utilità hanno “c’hai” e “c’avevo” rispetto alle corrispondenti forme col “ci”?
    Nessuna, ma stiamo sempre parlando di un modo per rendere graficamente un discorso colloquiale. Poi possiamo discutere se “c’hai” si debba leggere “kai”, visto che il gruppo “cha” in italiano non esiste, e nei prestiti viene quasi sempre letto “cia” (chachacha, chart… l’eccezione è character)
    @nemo_bis: la j per indicare il suono della i semiconsonantica non la si usa più da un secolo :-P Credo che Pirandello sia stato l’ultimo a mantenerla.
    @licia: però tu stai dicendo che l’italiano “non si scrive come si legge”, che è diverso da “non si legge come si scrive”… (e i tuoi esempi mi hanno fatto venire in mente che dalla forma scritta dell’italiano non è possibile sapere se “e” e “o” toniche sono acute o gravi, e se “s” e “z” sono sorde o sonore)
    @stefano: davvero c’è stata un’abbreviazione “c’ho” per “che ho”? credevo che fosse sempre del tipo “ch’ho”. Sul “ciò / ciavevo”, qua sono io a rabbrividire leggendole, seppure in un contesto colloquiale; ma è chiaro che ognuno ha la sua sensibilità.
    @CavalloRazzo: infati stiamo parlando di trascrizione dell’italiano colloquiale, non di un testo “sorvegliato”. D’altra parte, però, ti sarai sicuramente accorto che le mie notiziole sono scritte in una lingua piena di forestierismi (dagli anglismi ai latinismi), e non mi perito di usare espressioni e costrutti desueti. È chiaro che lo faccio apposta, perché questo è un blog, e la mia Bloganschauung prevede appunto un registro linguistico di questo tipo.
    @mfisk: i sistemi text-to-speech riescono ad avere regole di lettura (chiaramente non limitate al singolo carattere) abbastanza compatte, senza troppe eccezioni da aggiungere. Se non ricordo male, è l’accento la parte più difficile, che spesso richiede anche un minimo di analisi semantica da parte del sistema software.

  19. mfisk

    Per carità, non è che ci sia tutta questa anarchia. Ma l’italiano non è come l’esperanto, ecco.
    Io comunque ho sempre parlato di “i” semivocalica, non semiconsonantica.
    PS:
    In effetti il principale motivo per questo commentino è di reiscrivermi alla notifica dei commentini. So che è solo perché sono vecchio e tonto, ma ogni volta che ricevo una mail dal sistema di notifica e voglio andare sulla notiziola, mi viene spontaneo cliccare sul link “mi sono scocciato” che sta in fondo anziché sul link alla notiziola che sta in alto.

  20. Barbara

    @.mau.: per fare funzionare il mio esempio basta sostituire glicine con ganglio. Quanto al si-legge-come-si-scrive, aggiungerei che l’italiano è messo un po’ peggio di francese e spagnolo ma meglio dello svedese (l’inglese è davvero non confrontabile).
    @CavalloRazzo: prima di decidere l’ortografia di c’ho, c’hai si dovrebbe chiedere alla naturale autorità in materia, il Professor Borzacchini dell’Accademia della Farina di Semi di Lino.
    @mfisk: i miei figli hanno imparato che leggere include un po’ di tirare a indovinare e se la cavano bene. Probabilmente leggere in più di una lingua aiuta.

  21. .mau.

    @oniduke: “scentrare” i vocabolari italiani lo indicano con pronuncia simile a “scena”, il che prova che la lingua italiana è molto meno logica di quanto si pensi!

  22. .mau.

    @vb: il piemontese ha anche il “n-” di lun-a, se è per questo: ma credo che dipendano dal fatto che non è mai stato una lingua molto scritta, e quindi si è preferita una grafia un po’ più chiara.
    (il fatto che la “o” si legga u non ha ovviamente nulla a che fare con la grafia)

  23. Francesco

    Che bel dibattito! x .mau.: Ok per la tastiera, diciamo che sono troppo pigro… Sul fatto che la grafia italiana non si mappi univocamente nella pronuncia sono d’accordo anch’io; non so se il tedesco sta messo molto meglio di noi, molte parole di origine straniera (Couch, Chef/Chefin) possono mettere in difficolta`. Glicine, se mi permetti, non e` un esempio felicissimo perche’ non mi sembra che ci siano parole italiane (a parte l’articolo “gli”) che iniziano col fonema . Ignoravo la posizione di Einaudi, ma e` la mia. Per il resto, sono in totale accordo con #16 s. bart. (ma e` lui? perche’ se e` lui mi conforta esserci d’accordo): “cianno” al posto di “c’hanno” mi sembra una soluzione economica perche’ non richiede una nuova (cioe` non tradizionale) interpretazione della grafia.

  24. .mau.

    @Francesco: a parte il poco usato “gliommero”, il pronome “glielo” ha lo stesso fonema. Sì, s.bart. è lui.

  25. Barbara

    Insisto che c’hanno mi sembra perfettamente normale. Cianno lo trovo ributtante. Si potrebbe fare u bel sondaggio?
    Resto comunque impressionata dalla quantita’ di gente che ha forti opinioni in materia di ortografia. Bene, bene. Anche se non la pensano come me, il che prova solo che non hanno ancora avuto l’illuminazione :-).
    Una domanda: quando Dante apostrofa che in che hanno, scrivereste c’hanno o ch’hanno? Io direi la seconda, ma magari a qualcuno qui piace la prima.

  26. .mau.

    @Barbara: » Resto comunque impressionata dalla quantita’ di gente che ha forti opinioni in materia di ortografia
    È vero che queste notiziole hanno solo ventun lettori, ma sono lettori accuratamente selezionati!
    Ma c’è qualcuno che scriverebbe c’hanno invece che ch’hanno? e riesce magari anche a guardarsi allo specchio?

  27. Francesco

    @.mau.: Avevo pensato a “gliommero”, ma non ho avuto voglia di controllare su un dizionario se e` considerata una voce solo dialettale. Ma “glielo” era banale, touche’ (con l’accento acuto).

  28. Barbara

    Il c’hanno l’ho visto come alternativa a ch’hanno in varie versioni online della Divina Commedia.
    Sulla questione orginle posso finalmente dimostrare :-) che avevo ragione io: leggetevi il secondo paragrafo della cronaca degli Oscar di Betty Moore.

  29. purdi

    L’argomentazione che il “c’ho” non sarebbe una forma consigliabile perché nell’ortografia italiana il complesso “ch” si ha solo davanti a “e” o “i”, l’ho sempre trovata debole, financo ridicola; infatti che dovremmo dire di un costrutto come “l’ho”, fra l’altro appena usato e che nessuno trova strano, benché in nessun altra parola si trova la sequenza “lho”. Non si può analizzare tale costrutto senza dimenticare due cosette, la prima che non ci troviamo al centro di una parola, ma sul confine di due parole, quindi non si capisce perché le regole ortografiche dovrebbero valere anche in questo, difatti nessuno ha da obbiettare per “l’ho”, ma tutti storcerebbero il naso ne trovare tale nesso al centro di una parola “-lho-“. Seconda cosa non si può dimenticare che quell’apostrofo sopprime una vocale, la vocale “I” che dà valore palatale alla “C”, e non si capisce per quale motivo tale elisione oltre a sopprimere il valore fonetico della “i” (che normalmente si avrebbe davanti a consonante) dovrebbe modificare anche il valore della C trasformandolo da palatale a velare.
    Insomma a io avviso non ci sono argomenti forti di tipo ortografico per sostenere l’illiceità o quanto meno la sconsigliabilità della forma “c’ho”, ma anche, più in generale, la forma “c'” quale troncamento delle particelle ci o ce davanti alle vocali A, O e U; per le medesime ragioni ammetterei anche l’elisione di “che” in “ch'” davanti a H A O e U, anche se l’elisione di “che” è oramai sentita solo in ambito poetico.
    Che dire poi dell’elisione dell’articolo “gli” per incogniti motivi apostrofatile soltanto davanti a I (gl’italiani) perché non poter scrivere anche “gl’occhi” visto che quella i in tutti i modi non verrebbe pronunciata.
    Sarebbe forse ora di ammettere una maggiore flessibilità, in questi casi, con l’elisione, non essendoci argomenti realmente forti a sosteno della loro inammissibilità.

  30. Fang

    @purdi
    Dopo il commento di Barbara e dopo aver detto, da un’altra parte, che il ch’ho lo schifavo, ho fatto la fatica di riprendere in mano la Commedia (su carta) e dare una controllata.
    A parte una quantità impressionante di “‘l” “‘n” che chissà dove s’eran nascosti quando la studiai, vengono usati sia il “ch'” che il “c'”, entrambi al posto del “che”.
    Il “ch'” viene usato se la parola successiva inizia con vocale.
    Il “c'” quando la parola inizia con h, come “c’hai” (Inferno, V 93, “poi c’hai pietà del nostro mal perverso”).
    Lo stesso uso è presente ancora in Dante, ma anche in altri (es: Cielo d’Alcamo). E corrisponde al fatto che c’hanno e c’hai si leggono… beh, si leggono come son scritti. :)

  31. marco

    salve io volevo sapere un’informazione..per farvi capire userò un esempio:
    nella frase ” mi daresti un po’ di cioccolata?” il po viene usato con l’apostrofo…perchè se non sbaglio è derivante dalla parola “poco”.
    ma nella frase ” non sono ancora uscito con lui nè con gli altri” il ne (che in quel caso è scritto con l’accento) essendo derivato da “nemmeno” non andrebbe scritto con l’apostrofo?
    e se sapete qualcosa anche sugli accenti mi direste perchè questo ne va con l’accento se nella parlata la maggior parte della gente lo pronuncia senza?

  32. .mau.

    @marco: a dire il vero “né” (nota l’accento acuto) deriva dal latino nec, e “nemmeno” è dato da né + meno.
    L’accento ci va per distinguerlo dal pronome “ne” (“hai visto qualche ciclista?” “no, non ne ho visti”), ma questo non implica necessariamente che lo si debba sentire.

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