Non parlo ancora della Social Card, perché mi mancano alcuni punti per capire se e come sia una fregatura. Parlo invece di una notizia di alcuni giorni fa passata abbastanza in sordina.
Il 13 novembre, la Corte di Giustizia Europea ci ha infatti condannato, e fin qua è una cosa fin troppo frequente. Il motivo, stavolta, è la disparità dell’età pensionabile, che nel caso della pensione di vecchiaia per le donne è fissata a cinque anni in meno che per gli uomini. Sulle prime avevo capito che il problema fosse legato al fatto che una donna, dovendo andare in pensione prima degli uomini, era svantaggiata perché avrebbe avuto una pensione più bassa. Macché. Se leggete questo articolo di repubblica.it, scoprirete che la storia è completamente diversa.
Innanzitutto, l’anticipo dell’età pensionabile per le donne è (era?) una facoltà, non un obbligo: bastava richiedere di continuare a lavorare, e nessuno faceva storie. Secondo l'”Avvocato dello Stato” (wow!) Wally Ferrante, i due terzi delle donne sceglievano tale opportunità, il che significa tra l’altro che non era certo una possibilità ignota. Il guaio è che i cinque anni che le donne possono avere condonati sono “una discriminazione ai sensi dell’art.141 CE dal momento che la medesima facoltà non è concessa agli uomini”. Insomma, discriminazione alla rovescia.
Non fidandomi dell’italica stampa, sono andato a cercarmi la sentenza. È anche in italiano, quindi è semplice da leggersi, per quanto “semplice” possa essere una sentenza. Si scopre così che è solamente relativa ai dipendenti pubblici, e che la difesa italiana non è stata considerata valida perché «la fissazione, ai fini del pensionamento, di una condizione detà diversa a seconda del sesso non è tale da compensare gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici di sesso femminile aiutando queste donne nella loro vita professionale e ponendo rimedio ai problemi che esse possono incontrare durante la loro carriera professionale.»
Quest’ultima frase è indubbiamente vera, ma mi sembra irrilevante rispetto alla procedura per discriminazione; a questo punto mi aspetto una sentenza della Corte di Giustizia Europea – che però non ci toccherà – per eliminare le “strisce rosa” per i parcheggi pubblici. Più seriamente, non riesco a capire se questa sentenza è per tutto il resto una “cagata pazzesca” oppure no. Voi che ne pensate?
Ultimo aggiornamento: 2008-11-27 15:07
Per quanto riguarda la socialcard, la fregatura di base è che sei costretto a spenderli all’Esselunga (giusto per dire un esercizio che sarà sicuramente fra i “convenzionati”). Se vessero dato contanti, i poveracci avrebbero potuto trovare modi più creativi per usarli, pagarci parte dell’affitto ad esempio.
Inoltre è tracciabile, quindi potranno sapere come viene usata e per comprare cosa, tutti dati a beneficio del gestore della carta.
Dati che valgono parecchio perché pochi ultrasessantacinquenni, normalmente, usano bancomat e carte di credito.
Dulcis in fundo è anonima (per non umiliare i destinatari, o almeno, così dice Tremonti), ma questo la renderà cedibile e vendibile (magari per qualche centinaio di euro in contanti), con tutte le porcate che che deriveranno.
Che poi non capisco dove e quando sarebbe potuta scattare l’umiliazione, se avessero stampigliato il nome del destinatario sarebbe diventata indistinguibile da una carta di credito (c’è pure il marchio Mastercard).
– T2
Non è irrilevante: è una considerazione tecnica che serve a motivare il provvedimento. La logica è questa:
Anzitutto (§ 52) la corte statuisce che una pensione è una “retribuzione” e quindi (§ 54) si applica l’art. 141 CE;
Al § 55 si dà atto che l’art. 141 vieta in tema di retribuzione discriminazioni basate sul sesso.
La Rep. It. dice (§ 57) che la fissazione di un’età diversa è una discriminazione positiva fatta a titolo compensativo per contrastare la discriminazione verso le donne.
La Corte dice (sempre § 57) che anche se il 141 CE autorizza gli Stati membri a mantenere o a adottare misure che prevedano vantaggi specifici, diretti a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali, al fine di assicurare una piena uguaglianza tra uomini e donne nella vita professionale, questo non vuol dire che la discriminazione positiva costituita dalla minore età pensionabile sia ammissibile.
Questo perché (§ 58) la fissazione di un’età diversa per pensionarsi, detto in termini tecnici, non c’entra una mazza con la compensazione degli svantaggi nella carriera professionale.
In parole povere: la tesi della Rep. It. è una cazzata, perché il trattato CE dice che possono essere messi in atto meccanismi per far sì che uomini e donne abbiano carriere eguali, ma non si sogna neppure di dire che dato che uomini e donne sono discriminati, allora le donne possono andare in pensione prima.
@mfisk: anche se non è una discriminazione “a favore delle donne”, resta comunque il punto di base, e cioè che la discriminazione non può essere fatta nemmeno alla rovescia, cioè a svantaggio degli uomini. O sbaglio?
Nel 1980 Solidarnosc proponeva i 21 punti. Il numero 14 (erano in ordine di importanza) dice (in loro traduzione):
14. Low retirement age: 50 years for women and 55 for men, following 30 years of employment in Poland for women and 35 for men, regardless of age.
e, giusto per dire, il 18 dice:
18. Introducion of a 3 year paid maternity leave.
Meno male che oggi non siamo più in quegli anni bui e ci pensa l’europa a fare il bene delle lavoratrici e dei lavoratori! La loro lotta non è stata vana!
Un link per farsi un’idea sulla social card:
http://www.altroconsumo.it/cittadini-e-pubblica-amministrazione/social-card-chi-ci-guadagna-davvero-s227263.htm
Ciao.
@.mau.:
Il comma 4 del Trattato CE recita: Allo scopo di assicurare l’effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali..
Consideriamo che il principio si applica solo in materia di sesso (e quindi taglia più o meno a metà la popolazione) e non di altre condizioni potenzialmente discriminanti, quali razza o religione, che potrebbero verificarsi in capo a una piccola minoranza: ecco che non si può parlare di discriminazione positiva o negativa: una discriminazione a vantaggio delle donne è automaticamente a svantaggio degli uomini, e viceversa.
Il punto è un altro: le normative nazionali possono dire, chessò, che nelle aziende il 40% almeno dei dirigenti debbono essere donne, o che le donne hanno diritto a una retribuzione tabellare più elevata in quanto fanno meno carriera; ma non possono dire che possono lasciare prima il lavoro: e ciò perché lasciare il lavoro non ha evidentemente nulla a che fare con la carriera professionale, essendo il suo termine.
Mi sembra che la Corte dica semplicemente che quella “discriminazione compensativa” contro gli uomini non si può fare perché in realtà non compensa un bel niente, e che se l’Italia vuole compensare la discriminazione delle donne in termini professionali deve appunto farlo durante la carriera professionale e non alla fine.
macché uguaglianza!
Portare immediatamente a 65 anni l’età pensionabile per le donne dipendenti statali è una pura misura demagogica.