Non facciamoli più soffrire

Ieri sera al microfono aperto di Radio Popolare c’era come ospite Valentino Parlato del Manifesto, che chiedeva l’aiuto degli ascoltatori della radio per l’ultima “ultima chiamata”: la non so più quantesima raccolta di fondi per evitare la chiusura del quotidiano. Nella decina di minuti in cui sono rimasto ad ascoltare, gli interventi – e ricordo che stiamo parlando di ascoltatori di una radio della sinistra dura e pura – sono stati tutti contrari, anche da parte di lettori e abbonati che quindi i soldi li stavano già cacciando: e non posso negare che ogni tanto ridacchiavo.
Due premesse. Le tendenze politiche dei miei ventun lettori sono assolutamente di tutti i tipi: so che uno ha creato un gruppo Facebook “Salviamo il Manifesto” (io non mi iscrivo a nessun gruppo colà, lo ammetto subito), e d’altra parte so che ci sono degli iperliberisti. È anche vero che Anna mi dice sempre che le mie posizioni politiche sono quelle del Manifesto: tutto nacque con l’assoluzione di Andreotti per il delitto Pecorelli, quando a colazione le dissi come la pensavo io sulla cosa e poi alla rassegna stampa scoprimmo che l’editoriale del quotidiano comunista era sulla stessa linea. In realtà non sono così a sinistra, ma non è così importante.
Quello che io so è che saranno quindici anni che si va avanti a richieste di fondi, il che significa che il Manifesto è strutturalmente in perdita. In effetti nessuno ci vieterebbe di fare un Bad Manifesto e trovare dei capitani (ma anche solo caporali) coraggiosi che ripartano da capo con gli asset che hanno ancora un certo valore: ma non credo che la cosa comunque funzionerebbe. Banalmente, non c’è una massa critica di persone interessata a quello che scrive il giornale; e aggiungerei “a come lo scrive”, perché è chiaro che se uno lo acquista non è per sapere cosa è successo al reality ma per avere un certo tipo di visione di cosa sta accadendo nel mondo: però posso garantirvi che le volte in cui mi è capitato di comprarlo ho fatto fatica a seguire buona parte dei pipponi. In secondo luogo, evidentemente non ci sono aziende che pensano che sia utile pubblicizzarsi tra quei lettori.
A questo punto, i casi sono due: o si inventa una legge Bacchelli anche per le cooperative di giornalisti finite in indigenza e non solo per gli artisti finiti in indigenza, oppure si ha il coraggio di chiudere e basta. E secondo me è la seconda, la scelta giusta. Triste, perché è chiaro che non è bello pensare che Libero lo compri almeno il triplo delle persone, ma tant’è. È un po’ come il proverbio che dice che non si possono raddrizzare le gambe a un cane.

Ultimo aggiornamento: 2008-10-07 17:54

17 pensieri su “Non facciamoli più soffrire

  1. Daniele A. Gewurz

    Mi sembra che quello che dicevi sull’ATM, e cioè che “Insomma, non ha proprio senso parlare di “redditività””, si possa applicare anche al manifesto. Non è l’ATM, ma offre una sorta di servizio anch’esso, che ha il suo valore anche se non riesce sempre a sostentarsi da solo.
    Ma forse lo pensi anche tu, visto il tuo discorso tra il serio e il faceto sulla legge Bacchelli.
    Ciao,
    Daniele

  2. livefast

    paragonare il manifesto all’atm ha qualcosa di geniale. daniele no: non lo pensa anche lui, lui pensa proprio che il manifesto andrebbe chiuso. fattene una ragione: una persona che tu reputavi degna di stima, alla faccia della crisi del capitalismo, pensa che il manifesto andrebbe chiuso e lo dice in maniera così piana ed inattaccabile che pure a te ti tocca essere d’accordo. è un mondo difficile per gli idealisti-utipisti. time you faced it baby.

  3. .mau.

    @Daniele: il paragone con ATM è un po’ difficile, visto che in quel caso non c’è redditività diretta (il costo per passeggero è maggiore del ricavo) ma indiretta (togliamo macchine dalla città, e non costringiamo a comprarne altre). Col Manifesto che si fa? serve a evitare Liberazione?
    @livefast: io sono notoriamente tutto meno che idealista-utopista. Se lo fossi avrei pensato a un Manifesto scritto in maniera comprensibile, e probabilmente distribuito in maniera completamente diversa, non certo cartacea fuori da qualche grande città. Ma in ogni caso non vedo perché la gente debba essere d’accordo con me. Io mi tengo il blog perché voglio potere esprimere la mia opinione, e il blog ha i commenti perché ognuno ha il diritto di esprimere civilmente la propria opinione. Non siamo al Parlamento Italiano :-)

  4. Daniele A. Gewurz

    La redditività del manifesto, come di vari altri giornali (non necessariamente di sinistra, bien sur), di molti libri e dei dipartimenti universitari di matematica e di filosofia – per esempio – è ancora più indiretta, remota e distante vari livelli da quella dell’ATM, ma io ce la vedo. Probabilmente sono davvero un pochino idealista-utopista (e oulipista). D’altronde anche insegnare a leggere ai bambini non si fa solo – spero – per vendere loro un po’ di carta stampata qualche anno dopo.

  5. .mau.

    @Daniele: continui a partire dal principio che occorra un quotidiano come il Manifesto.

  6. delio

    sostanzialmente d’accordo, e non solo perché sono anni che io stesso non riesco piú a leggere il manifesto.
    potrei capire l’ennesima raccolta di fondi se servisse a garantire un annetto di agonia durante la quale i giornalisti si mettono a cercare altre occupazioni (buona fortuna!); ma il manifesto sono anni che continua ad attirare nuovi collaboratori, quindi è un circolo vizioso a derivata (tangenziale) costante.
    a me dispiace solo perché il manifesto (a differenza di liberazione e dell’unità – almeno negli ultimi 15 anni) è stato una grande fucina di talenti: barenghi, pippo russo, robecchi…

  7. mestesso

    Fra un pò di tempo sarà pure il turno di Liberazione: il parlamento infatti ha (giustamente per altro) ridotto i fondi alla stampa. Chi è già sul filo del rasoio, si trova sul lastrico.
    Certi articoli del Manifesto, è vero, son duri da digerire. Ma posso dire una cosa: mi mancherà, quando succederà. Indipendentemente se sia giusto o sbagliato che chiuda.

  8. Bruno

    Il Manifesto pubblica degli articoli molto interessanti e informativi, ha sempre un gioco di parole stimolante in prima pagina e delle belle foto.
    Ma non è un quotidiano, al limite è un secondo quotidiano: non pubblica i programmi dei cinema della tua città, lo spazio dedicato all’attualità è minimo, gli articoli sono sempre di commento e si da per scontato che il lettore conosca nei dettagli i fatti.
    Bisogna comprare Stampa, Corriere o Repubblica, leggerli, e poi leggere cosa ne pensano quelli del Manifesto; ma quanti comprano due quotidiani ogni giorno?

  9. Mike

    “Bad Manifesto” direi che è un nome fighissimo per un gruppo new wave od electro-rock.

  10. delio

    beh, bruno, si potrebbe ribaltare la tua domanda: chi ha davvero bisogno di due quotidiani oggi? chi ha bisogno di un giornale, nel 2008, per conoscere il programma dei cinema della propria città? chi ha bisogno di comprare repubblica per avere un’idea generale di quello che succede nel mondo.
    no, secondo me di un quotidiano d’opinione ci potrebbe essere anche bisogno, se le opinioni fossero davvero piú interessanti di quelle di un blogger – e ahimé, sul manifesto raramente lo sono (basti vedere le cronache da israele – e lo dico da filopalestinese).

  11. gioegio

    Premessa: la stampa, a mio parere, deve essere anche sovvenzionata dallo stato attraverso precise regole. questo perché deve essere considerata un bene costituzionale (si dice così?). il quarto potere ecc ecc inutile dilungarsi
    è vero. il manifesto è strutturalmente in perdita e non può continuare così. so che c’è Cusani (si lui!) al lavoro per produrre un piano di rilancio decente e che stanno pensando di vendere un immobile di loro proprietà a Milano per tirare avanti (suppongo che significa anche chiusura della redazione milanese ma boh…)
    da quello che ho capito vendono giornalmente 20-22mila copie. troppo poco anche considerando il debito enorme che hanno sulle spalle. non so se siano già arrivati a pagare solo gli interessi degli interessi ma insomma :)
    detto questo non bisogna confondere la crisi strutturale del manifesto con la legge di questa maggioranza che ha eliminato il diritto soggettivo. in parole povere è questa legge/regolamento che darà il colpo finale al manifesto, ma non solo a lui. anche a Carta, Corriere di Romagna e alla maggioranza delle cooperative di giornalisti che vivono anche con i fondi statali.
    soldi pubblici che dovrebbero essere destinati alle vere cooperative non profit e non ai parassiti ed alle finte cooperative. non sapendo ne leggere ne scrivere invece hanno tolto tutto a tutti. scommettiamo che il foglio senza quei fondi rimarrà per puro caso aperto pur vendendo 1/20 del manifesto? e scommettiamo che invece chiuderanno tutte le imprese editoriali indipendenti che alle spalle hanno solo i propri giornalisti e non Silvio, Confindustria o De Benedetti?
    In parole povere, al di là della valutazione sulla capacità di stare sul mercato del manifesto, l’eliminazione del diritto soggettivo impoverirà la stampa eliminando la stampa indipendente e lascerà intatta invece quella dei grandi gruppi finanziari (rcs, mondadori, sole24ore, espresso ecc) che continuano allegramente a ricevere soldi dallo stato e con quelli fanno utile e distribuiscono dividendi.

  12. vb

    Penso che se non ci sono abbastanza lettori da giustificare la sua esistenza sia giusto che chiuda, anche perché mi pare che quel genere di opinione non sia certo assente sulla scena italiana, e che ciò che penalizza il Manifesto non sia la linea politica ma l’incapacità di esprimerla in un modo al passo coi tempi. Comunque, loro potrebbero scegliere una forma di comunicazione a costi molto più ridotti (Internet) che permetterebbe di continuare a propagandare le loro idee in modo più abbordabile…

  13. Bruno

    @VB: Da quello che so il Manifesto ha già un sito, e anzi ce l’aveva già prima del Corriere della Sera e della Stampa. A suo tempo, era possibile anche scaricare gratuitamente gli arretrati, servizio ora a pagamento.

  14. gioegio

    alle 8 di mattina si può vedere il quotidiano del giorno prima. sono anche disponibili i precedenti 7 numeri ma solo in formato html.
    se si vuole cercare nell’archivio oppure avere il pdf del giornale bisogna pagare. comunque è evidente come il sito sia mal progetto e poco funzionale. almeno a mio parere. dovrebbe essere qualcosa di più simile a quello di http://www.Carta.org, che mette a disposizione un mini quotidiano gratuito ogni santo giorno ed in versione pdf e articoli originali che appaiono on line e non sul settimanale cartaceo. manca poi la parte di interazione con gli utenti. ogni articolo dovrebbe essere commentabile ad esempio. beh insomma di lavoro da fare ce ne sarebbe. il problema è questo: arriverebbero abbastanza soldi per compensare i costi?
    io sono disponibile ad aprire ancora il portafoglio ma voglio vedere prima il piano di rilancio, nel dettaglio ovviamente. c’è da dire che, anche volendo, sarebbe per loro difficile comprimere i salari :)

  15. Fang

    @gioegio
    Mah… L’idea che lo Stato debba sovvenzionare, che vuold dire *PAGARE*, qualcuno che mi dia le sue opinioni sui fatti, quando questo qualcuno, se proprio ci tiene, potrebbe farlo *gratuitamente* da un blog, mi lascia perplesso.
    In base a cosa dovremmo -perché pagherei anch’io- sovvenzionare il Manifesto, ovvero i giornalisti che ci lavorano? Perché lo Stato dovrebbe dare i soldi a loro per sentire le loro opinioni, e non a me per sentire le mie?
    Il bello del mercato, l’unica cosa davvero bella, è che se una cosa non interessa, sparisce.
    Ma ammettiamo pure che lo Stato sovvenzioni il Manifesto, che la sua opinione sia fondamentale per la formazione delle giovani generazioni (come pare dire Gewurz nel suo commento): se nessuno se lo fila, ma manco di striscio, in che modo il suo fondamentale apporto culturale verrebbe utilizzato?
    Conclusione: chi vuole che il Manifesto viva, si metta le mani in saccoccia e non chieda che sia lo Stato-mamma a pagare per non perdere la propria coperta di Linus, visto che poi tanto, quand’era lì, bella disponibile, la si è lasciata nell’armadio.

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