Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi… (canzone)

Scheda:
autori: Mogol-Battisti
anno: 1972
edizione: Numero Uno
tonalità: mi minore (strofa), mi maggiore (ritornello)
tempo: 4/4
struttura: Strofa – Ritornello – Strofa – Ritornello – Finale (strum.)
Credo che “Le discese ardite e le risalite” sia ormai una frase fatta, di quelle che si pensa esistano da una vita. Invece sono solo passati trentacinque anni da quando la coppia Mogol-Battisti scrisse questo brano, in cui il paroliere racconta nella sua maniera piuttosto criptica un modo di convincere una donna che è stata lei a farci tornare a sorridere alla vita, mentre il capellone di Poggio Bustone per una volta inserisce un numero di accordi molto più alto della sua dose usuale… almeno a prima vista.
Struttura armonica:
Strofa

      |Mim   Mim/Re |Lam7        |Lam6    Si    |Mim         |
Mim: i             iv                   V      i
    |Mim   Mim/Re |Lam7        |Lam6    Si    |Mim         |
    i             iv                   V      i
    |Sol   Do7+   |Fa7+   Si   |Mim    Mim7   |Do          |
Mim: III   VI      II     V     i              VI
Sol: I     IV      bVII   III   vi             IV
      |Mim   Mim/Re |Lam7        |Lam6    Si    |Lam6        |
Mim:   i             iv                   V      iv

La strofa è composta di sedici battute, almeno così dice lo spartito: io sarei tentato di dimezzare il tempo e quindi raddoppiarne il numero, ma mi adeguo. Queste battute divise in quattro gruppi da quattro con un formato melodico AABA’: in pratica il primo e il secondo gruppo sono identici, e il quarto quasi, mentre il terzo gruppo varia. La tonalità è solidamente incardinata in mi minore tranne che nel terzo gruppo dove si trova un tentativo di modulazione al sol maggiore, vale a dire alla tonalità relativa maggiore. Una struttura di questo tipo non è affatto rara, anche se probabilmente è più legata alle melodie degli anni ’20 e ’30, soprattutto per quato riguarda la modulazione nella terza sezione: un esempio più moderno di struttura AABA’ è dato da Good Morning Good Morning dei Beatles… ma si sa che nei Fab Four sempre si può trovare praticamente tutto!
Concentrandoci sulla parte melodica, notiamo che la sottosezione A presenta uno sviluppo assolutamente standard i-iv-V-i impreziosito da due effetti: una serie di passaggi melodico-cromatici nelle battute 1 e 3 che cambiano il colore dell’accordo, e l’asimmetria temporale ottenuta ritardando il passaggio dell’accordo di si maggiore alla seconda metà della battuta 3. L’effetto complessivo è quello di rallentare la velocità percepita del brano, che già non è veloce di suo. Addirittura le frasi cantate, ciascuna delle quali copre un gruppo di due battute, termina all’inizio della seconda, e non c’è nemmeno un gioco strumentale di riempimento armonico, proprio come se Battisti facesse fatica ad esprimere quello che sente e parlasse con frasi smozzicate.
La sezione B inizia con una serie di accordi maggiori per quinte discendenti, due per battuta, che possono appunto far pensare a una modulazione alla relativa tonalità maggiore; gli accordi sono spesso di settima maggiore, quindi leggermente dissonanti. La serie si ferma brutalmente con un tritono, il passaggio dal fa7+ al si (nemmeno una nota in comune!) che riporta il brano al mi minore, nonostante un’interrogativa cadenza sul do maggiore. Infine la sezione A’ termina la strofa con una cadenza sospesa _implicita_. Uno si aspetterebbe che il passaggio iv-V-iv (con pivot sul fa#, aggiunto all’accordo di la minore, invece che con il più usuale la aggiunto all’accordo di si) si completasse con un’altra istanza del si maggiore: e invece no. Ci si ferma lì in sospeso, mentre Battisti canta “ma se vuoi…” Una domanda che rimane in un certo senso senza risposta.
Ritornello

     |Mi     |La     |Si    |Mi     |La     |Si     |
Mi:   I       IV      V      I       IV      V
     |Mi     |La     |Si    |Mi     |La     |Si     |
      I       IV      V      I       IV      V

Il ritornello è formato da due ripetizioni identiche di una frase di sei battute, un numero non esattamente standard ma nemmeno troppo inusuale. In effetti qualcosa di strano c’è, anche se mascherato dalla struttura assolutamente rigida – un accordo ogni battuta – e dall’uso dei soli accordi di primo, quarto e quinto grado. Come già detto, il ritornello passa dal mi minore al mi maggiore, e fin qua non c’è nulla di strano. Le prime due battute, con la loro successione I-IV-V-I, formano una progressione piuttosto normale, che però viene in un certo senso contraddetta dalla successiva che porta a una cadenza evitata IV-V. Quaando nella seconda parte del ritornello Battisti canta all’ottava superiore, ci si potrebbe aspettare che il finale sia modificato per avere una cadenza autentica… e invece no, si rimane ancora una volta sospesi, pronti per tornare nella tonalità minore.
Se però guardiamo la progressione melodica invece che quella armonica, scopriamo che la situazione non è esattamente la stessa. Infatti abbiamo quattro gruppi di tre battute che si ripetono identiche, a parte naturalmente il salto di ottava. La linea melodica è formata da una discesa (ardita :-) ), una risalita e una seconda discesa; semplificando al massimo, i tre segmenti sono composti rispettivamente da fa#-mi-si (basso), mi-fa#-sol#-la, la-sol#-fa#. Questa differenza tra la struttura armonica e quella melodica assomiglia parecchio a quanto può accadere in poesia, dove il fluire delle parole e la struttura dei versi spesso vanno ciascuno per conto proprio, e credo che non sia stata lasciata per caso o per sbaglio.
Finale

     |:Mi     |La     |Si    :|
Mi:    I       IV      V      

Non c’è molto da aggiungere sul finale, che riprende le tre battute del ritornello – e in questo caso si sente che sono effettivamente tre – ripetendole dapprima sulla melodia, e poi a piacere per sfumare.
Due parole per terminare
Battisti, come del resto faceva spesso in questo periodo, ha scelto di non esagerare nella tessitura armonica e di limitarsi a pochi accordi senza voli pindarici. Il risultato però è tale che uno non si accorge nemmeno di questa povertà di accordi, e gli sembra di sentire molto di più di quello che c’è. Un indubbio segno di grandezza, come lo è la relazione perfetta tra quello che viene cantato e la melodia corrispondente; sono cose che non si notano consciamente, ma fanno il loro bell’effetto. Garantisco.
(e qui ve la potete riascoltare)

Ultimo aggiornamento: 2008-09-09 11:27

6 pensieri su “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi… (canzone)

  1. andrea

    Mi trovo d’accordo con la tua analisi, mau, come concordo del resto sulla grandezza di Battisti.
    Personalmente, però, penso che il risultato finale di questo piccolo capolavoro non sia il frutto di una eccessiva rielaborazione o di una maniacale serie di tentativi di provare (e trovare) differenti soluzioni. Naturalmente si tratta di pura impressione (mia), e quindi va presa per quello che è, tenuto conto, oltretutto, che non ho una conoscenza approfondita del soggetto e del suo modus operandi.
    Piccola riflessione personale. Anche io nel mio piccolo scrivo canzoni, e mi sono accorto di una cosa. In genere (o meglio, nel mio caso) non mi metto al pianoforte o alla chitarra dicendo “Adesso scrivo una canzone”: la linea melodica nasce improvvisando. Magari sono lì che suono un normale giro di accordi e all’improvviso, mentre la mano sinistra continua il giro di accordi (ovviamente mi riferisco in questo caso al pianoforte), dalla mano destra esce una melodia che sul quel determinato giro ci sta bene.
    A questo punto, quindi, ho un giro di accordi e una melodia che “funzionano”, che suonano bene (secondo me). Ecco allora che – e qui entra in ballo la mia riflessione – provo a infilarci un accordo o comunque una soluzione che contrasti con l’effetto che dà il normale giro armonico più la linea melodica. Puntualmente (e inesorabilmente) trovo che però il risultato faccia schifo. Poi mi vengono in mente canzoni come questa di Battisti (che riesce a far risultare gradevole un passaggio fa7+/siM) e mi deprimo: perché lui sì e io no?
    La grandezza di Battisti, appunto… (e di altri)

  2. MCP

    “Forse non tutti sanno che” (sembro una rubrica) nel 1974 questa canzone fu tradotta da David Bowie e fatta cantare al suo collaboratore Mick Ronson nell’album del debutto come solista.

  3. MCP

    Decisamente anch’io la preferisco: gia’ il verso-titolo “music is lethal” mi sembra che suoni forzato foneticamente e non solo per il falsetto con cui lo canta Ronson.

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