Voi non lo sapete, ne sono quasi certo, ma sabato scorso migliaia di afghani sono sfilati per le strade di Herat per protestare contro la ripubblicazione delle “vignette sataniche”. Secondo il giornalista, questa sarebbe stata la manifestazione più importante dal 2006, vale a dire da quelle che si tennero quando le vignette furono inizialmente pubblicate.
Il mio pensiero sulle vignette in sé l’ho già scritto due anni fa e quindi non lo ripeto. Preferisco fare notare altre cose:
– Herat è la città dove è di stanza il contingente italiano in Afghanistan. Questo spero che ve lo ricordiate. Com’è che non ho sentito parlare sull’italica stampa di questa notizia, che mi pare piuttosto interessante per noi?
– Come mai in Afghanistan sapevano della ripubblicazione delle vignette?
– Visto che sanno tante cose, non è che sappiano anche che nel 2006 un ministro della Repubblica Italiana, in questo momento vicepresidente del Senato, gettò benzina sul fuoco? (dall’articolo non si evince nulla, ma ovviamente alla BBC che gliene può importare di un dentista padano?)
– Che si è pensato di fare a protezione del nostro contingente? Sono anche disposto a credere che i nostri militari stiano effettivamente impegnati nella ricostruzione, a differenza di quanto facevano a Nassiriya (dove tendenzialmente, dopo l’attentato, se ne stavano chiusi nella base facendo giusto un giretto ogni tanto belli blindati e lontani dalla gente). Resta il fatto che qualche suicida fanatico lo si trova abbastanza facilmente, e non vorrei trovarmi degli altri funerali di stato per colpa di quello di cui sopra.
Vabbè, le solite domande senza risposta di metà settimana :-(
Ultimo aggiornamento: 2008-03-12 16:24
La risposta alla (2) è semplice: l’afgano medio non sa niente, ma quelli interessati ai disordini e alla possibilità di fare casino glielo fanno sapere. Non per niente già a suo tempo le proteste saltarono fuori dopo mesi dalla pubblicazione delle vignette, e stranamente contemporaneamente in molti paesi (tra cui la Libia, con cui ci scusammo perché ci avevano distrutto l’ambasciata).