questione di definizioni

MarkCC racconta di un esempio di povera matematica trovato nientemeno che nel New York Times, il che è una (misera) consolazione per quello che leggiamo sull’italica stampa praticamente tutti i giorni. L’articolo del NYT parla dell’economia tedesca, e afferma che in Germania preferiscono starsene disoccupati col sussidio statale. A riprova di ciò, mostra come il tasso di disoccupazione è al 5% in USA mentre è al 9% in Germania.
Peccato che la definizione statunitense di “disoccupato” è “uno che non lavora per nulla”, mentre quella tedesca è “uno che non ha un lavoro a tempo pieno”. Inoltre, se non lavori ma non stai cercando lavoro, per gli USA tu non sei disoccupato, per la Germania sì. Prendendo dati omogeneri, il tasso di disoccupazione tedesco scende al 6% (e sarebbe interessante scoprire se in questi ultimi anni hanno cambiato le definizioni italiane di disoccupazione…)
Insomma, si sono confrontate mele con pere: un errore molto insidioso da scovare, perché i numeri sembrano tutti corretti…

Ultimo aggiornamento: 2007-09-13 10:24

5 pensieri su “questione di definizioni

  1. ALG

    Direi che non sia nemmeno un errore da povera matematica…
    Voglio dire, è un errore che capita, anche sovente, su pubblicazioni scientifiche che dovrebbero avere una peer review seria, se questo errore lo fa il NYT, che comunque è un quotidiano e non credo abbia statistici in redazione, può anche non scandalizzare molto (non dico che non debba essere notato!)

  2. .mau.

    gli è che questa categoria, almeno nelle mie intenzioni, dovrebbe servire come stimolo ai miei ventitré lettori per non prendere come oro colato tutto quello che contiene un numero. Lo sai, che sono un inguaribile ottimista :-)

  3. CV

    Però che in Germania ci sia un nutrito numero di persone che a fronte di un’offerta di lavoro decide che è economicamente più conveniente fare il disoccupato non è del tutto errato.
    Diciamo che l’efficienza tedesca applicata agli ammortizzatori sociali può provocare (e provoca) effetti boomerang…

  4. Bubbo Bubboni

    Nel caso del tasso di disoccupazione non basta neppure omogeneizzare le definizioni per capire cosa sta succedendo davvero nella società. Per questo il dato è così valido per l’uso mediatico-politico e per fare bei commenti indipendenti dai fatti.
    Infatti, come è noto, se c’è la percezione che ci sia lavoro disponibile il tasso di disoccupazione cresce perché più persone “ai margini” (casalinghe, ecc.) iniziano almeno a cercare lavoro. Viceversa se è palese che non ci sono opportunità in giro molti (studenti, ecc.) non provano più a cercare lavoro e il tasso tende a scendere.
    Ma importa? Se servissero dei numeri “”corretti”” per parlare di economia taluni quotidiani sarebbero stampati una volta al mese!

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