[Questo testo è stato scopiazzat… ehm, ispirato dal post di Mark C.Chu-Carroll su Good Math, Bad Math. Commenti più che benvenuti!]
Il concetto della “retta dei numeri”, quella simpatica astrazione per cui tutti i numeri razionali e irrazionali se ne stanno belli belli l’uno a fianco dell’altro, è abbastanza noto, almeno per chi ha fatto il liceo. Non tutti però sanno che i matematici non si sono accontentati di restarsene confinati in uno spazio monodimensionale, e si sono lanciati in dimensioni sempre maggiori. Stavolta non parlo dei vettori, che sono gruppetti di numeri separati tenuti insieme per un unico scopo, a differenza dei partiti in una coalizione di governo in Italia: in questo caso avremo sempre a che fare con numeri singoli.
Il primo tipo di numeri che incontriamo nel nostro giro sono quelli complessi. Prima di arrivarci, però, facciamo un passo “laterale”, e torniamo per un momento ai numeri immaginari. Il nome è tutto un programma: semplicemente, nel Rinascimento, Tartaglia e Cardano hanno scoperto che se facevano finta che le radici quadrate di numeri negativi, che spuntavano mentre cercavano di risolvere le equazioni di terzo grado, fossero dei “veri” numeri, alla fine esse sparivano e si ottenevano le soluzioni corrette. Al tempo i matematici non erano nemmeno certi esistessero i numeri negativi: ma essendo i due molto pragmatici, hanno detto “immaginiamo che quella robaccia sia un numero”, e da qui è arrivato il nome di numeri immaginari. Che poi, quanto “reale” è un numero reale? Un terzo di torta uno riesce a immaginarselo, ma 1/pi di torta non credo proprio. Ma ormai il nome è quello, così come i numeri ottenuti sommando un reale e un immaginario sono chiamati “complessi” ma non è che siano così tanto complicati. Ci sono voluti più di due secoli prima che qualcuno riuscisse a vedere i numeri complessi non come due pezzi appiccicati insieme a forza, ma un oggetto singolo. Nel 1787 ci aveva tentato il norvegese Caspar Wessel, che però se ne stava appunto in capo al mondo e inoltre di professione faceva l’agrimensore, così nessuno si è accorto di lui; nel 1801 ci riprovò Jean-Robert Argand, che non faceva il matematico neppure lui ma era un libraio svizzero esule a Parigi, cosa che gli ha permesso di pubblicarsi il libro a sue spese e litigare un po’ con il gotha dei matematici, diventando subito noto.
L’idea di Argand, come l’uovo di Colombo, è semplicissima da comprendere dopo che la si è vista; invece che una retta si prende un piano, ci si disegnano due assi cartesiani, e si associa a ogni numero complesso un punto del piano. Siamo finalmente usciti dalla dimensione 1 e arrivati a quella 2, il che è bellissimo: non tanto per tutto lo spazio in più a nostra disposizione, quanto perché possiamo finalmente muoverci a piacere con tutte le operazioni matematiche – salvo dividere per zero, si intende – senza mai uscire dal nostro “giardinetto complesso”. Una situazione davvero favolosa, che però ha un rovescio della medaglia. Mentre sulla retta sapevamo sempre dire se un numero era maggiore o minore di un altro, ora abbiamo dei dubbi. Quale dovrebbe essere il numero maggiore tra 0+1i e 1+0i? E perché? Ma si sa, le comodità hanno spesso un prezzo.
I numeri complessi sono davvero comodi per i matematici e non solo: la teoria della relatività e la meccanica quantistica li usano regolarmente. Ma già con Argand ci si accorse che la moltiplicazione tra due numeri corrispondeva a una rotazione nel piano. Ad esempio, moltiplicare per i significa ruotare di 90° in senso antiorario; dunque i*i è un giro di 180°, che è la stessa cosa che moltiplicare per -1. A questo punto l’irlandese William Rowan Hamilton ha detto “Che bello! Allora se aggiungo anche una j posso anche indicare le rotazioni 3d!” Solo che i conti continuavano a non tornargli… fino a che un giorno del 1843, mentre passeggiava con la moglie e stava passando su un ponte, ebbe l’idea risolutiva: ci voleva anche una terza variabile. Dimostrando scarso senso civico, si mise a incidere sul ponte l’equazione risolutiva: i2 = j2 = k2 = ijk = -1. Nascono così i quaternioni, numeri della forma a + bi + cj + dk. Qualcuno si potrà chiedere perché per indicare le rotazioni nello spazio 3d si usi un numero con quattro componenti, e qualcuno un po’ più avventuroso dirà “ma a che serve k? basta scrivere ij!” Peccato che ampliando così la dimensione dei nostri numeri ci siamo di nuovo persi qualcosa. È vero che ij = k, ma ji= –k. Per i quaternioni non vale cioè la proprietà commutativa della moltiplicazione. Sulle prime ci si può restare male: che senso ha pensare che cinque file da tre sono diverse da tre file da cinque? Ma ricordiamoci che i quaternioni rappresentano le rotazioni nello spazio. E guarda caso, se facciamo prima una rotazione antioraria di 90° e poi una riflessione allo specchio (cioè una rotazione di 180° nella terza dimensione), oppure facciamo prima la riflessione e poi la rotazione, otteniamo un risultato diverso. Insomma, la cosa ha un suo bel senso.
Uno, due, quattro… si potrebbe immaginare che il prossimo passo sia avere un numero con otto dimensioni, e che questo tipo di numero ci farà perdere ancora qualche proprietà matematica, e in effetti è così. Nel 1845 Arthur Cayley presentò al mondo gli ottetti (detti anche ottonioni per avere il nome simile a quello dei quaternioni). Qua, a parte l’unità standard, ci sono altre sette “unità” il cui quadrato è -1; per evitare di usare troppe lettere, in genere queste unità vengono chiamate e1, e2 e così via fino a e7. La nuova proprietà che si è persa è quella associativa; in pratica, (a*b)*c non è più necessariamente uguale ad a*(b*c). Un altro choc di quelli incredibili, ma sono ragionevolmente certo che ci siano delle ricette di cucina in cui tu hai tre ingredienti, e a seconda dell’ordine in cui li mischi ottieni qualcosa di diverso. Ad ogni modo non preoccupatevi: mentre i quaternioni hanno comunque un certo uso in computer graphic, gli ottetti praticamente non vengono usati… anche se hanno una stranissima associazione col piano di Fano, di cui magari parlerò un’altra volta.
Fine della storia. Non si riesce più ad avere altri numeri multidimensionali… con un’eccezione. Esisterebbero infatti anche i sedenioni, che come dovrebbe dire il nome hanno ben sedici “unità”; con questa estensione però si perde la più importante proprietà algebrica dei numeri. In pratica, è possibile trovare due sedenioni entrambi diversi da zero il cui prodotto è zero: un obbrobrio che fa rabbrividire! (E non venitemi a dire che in un orologio analogico se reitero quattro volte un intervallo di tre ore ottengo che le lancette ritornano sullo zero; quella è un’altra storia…)
Ultimo aggiornamento: 2007-02-12 13:48
Alcuni, tra cui Cailey, Okubo e alcuni matematici ancor più bizzarri, hanno proposto di usare gli ottonioni (e i corrispondenti operatori lineari) come struttura algebrica sottostante al modello standard della teoria dei campi, o anche alla teoria delle stringhe, i cui gruppi di simmetria sono sottogruppi delle simmetrie unitarie sugli ottonioni. La cosa è possibile, ma si pensa che non sia né significativa né conveniente.
Anni e anni fa a me era venuto in mente che, usando funzioni d’onda a valori sugli ottonioni, si potesse in qualche modo astruso (doppia rappresentazione su spazi lineari) far corrispondere l’associatore [a,b,c]=a(bc)-(ab)c al processo di misura in meccanica quantistica, ma non sono mai riuscito a cavarci nulla.
I quaternioni sono usati anche per la parametrizzazione d’assetto dei satelliti.
Sì, ma qua nessuno commenta sulla comprensibilità del pippone matematico. Visto che non credo sia perfetto (insomma, l’ho scritto anche per avere un po’ di feedback) vi siete spaventati tutti?
Eh, io l’ho capito e mi è sembrato chiaro perché conosco l’argomento…
N.B. Conway, non Cayley (abbondantemente defunto)
mi stavo giusto chiedendo se Cayley avesse avuto un pronipote :-)
Confesso di essermi spaventato… non tanto per la spiegazione, che ero comunque sicuro di non capire (lol), quanto per la composizione/cultura dei tuoi “commentatori”: dopo aver letto il tuo articoletto stavo per fare la mia solita battuta cretina “da povero informatico non-laureato che ha lavorato sul campo o, meglio, nel campo (con la zappa)” (tipo “mi pare d’aver notato una progressione 2, 4, 8, 16 ma non di più”) quando ho letto il commento di FB… e la battuta è “rientrata” come per magia: siete troppo seri!
(vabbè… alla fine la figura(ccia) l’ho fatta lo stesso… non potevo deluderti .mau.). :-/
attento a non cadere nell’errore “campione statistico non rappresentativo”! È più o meno la stessa cosa che successe con il referendum contro la caccia del 1997 (ho scelto apposta un esempio spero meno controverso). L’80% dei votanti era d’accordo, ma andò a votare solo il 30% degli italiani, quindi nemmeno un quarto di noi era effettivamente a favore. Qui sta capitando lo stesso: chi non sa cosa dire sta zitto.
Però è proprio vero che il tutto sia incomprensibile? O lo pensate a priori? Sono stato attento a evitare di scrivere “vera” matematica…
No no… penso che con un piccolo (ENORME!!!) sforzo ci potrei anche riuscire. ;-)))
Non ti far scoraggiare, mi raccomando: mi piace il tuo stile “a la Douglas Adams”. :-)
(tipo “e Dio, avendo appena dimostrato l’impossibilità della propria esistenza, svanì in una nuvoletta di logica”, c.f.r. “Guida Galattica per gli Autostoppisti”, D.Adams, se ben ricordo :-D)
Quanto al campione “non significativo” so benissimo che, per un 10-20% che scrive, c’è quasi sempre un 80-90% che “lurka” (i nomi si leggono solo in casi particolari).
Diciamo che troppo spesso rimango nel 10-20% mentre, leggendo gli altri commenti, “dovrei” stare più nell’80-90%… ma alla fine penso sia utile anche la figura dello “scemo del villaggio”. ;-D
Da profano (matematica dello scientifico
+ quella di economia e comm.) ritengo che la tua spiegazione sia abbastanza chiara anche se, lo confesso, alcuni passaggi sono comunque ostici.
Ritengo inoltre che quello che sfugge al un non matematico siano le implicazioni diciamo “laterali”, ovvero su altri campi della matematica o di altre scienze.
Una di queste, che ho percepito – non perchè sia del campo, ma perchè per diletto ho appena letto due libri sull’argomento – è l’applicabilità alla teoria delle stringhe, che si base prorpio su un elevato numero di dimensioni: questa mia intuizione mi ha confortato leggere il primo commento di fB (che presumo essere sesperto della materia) che esplicitamente le citava.
Secondo me la spiegazione è bella! Però non dare per scontato che tutti sappiano perché la radice quadrata di un numero negativo è stronzetta.
Attento a come giochi con la statistica!!! Io per esempio non ho commentato non perché non avessi capito ma per evitare di fare la figura di quello che sa tutto.
BTW io lo ho trovato un pelo semplicistico, ma forse questo è perché quando si studia computer grafica i quaternioni sono i propri compagni di vita ed attualmente sto facendo ricerca su schemi di firma crittografici con proprietà di perfect Forward Security dove si stanno provando un po’ di costruzioni matematiche veramente incomprensibili di cui quella con i sedenioni mi è risultata fin banale.
In ogni caso mi sembrava abbastanza comprensibile, anche per un non addetto ai lavori, al massimo un piccolo sforzo.
Se vuoi un parere da un non matematico (*lurking mode off*), l’articolo mi e’ sembrato interessante e comprensibile. Devo comunque dire che numeri complessi e quaternioni non mi erano sconosciuti, quindi non ho idea come possa considerarlo qualcuno che non sappia nemmeno della loro esistenza :-)
Agostino, la Fondazione è per definizione onnisciente quindi non fai testo :-)