confondere la causa con l’effetto

“Povera logica”, mi verrebbe più che altro da dire leggendo questo notizione di Repubblica.
Scenario: in Cina ti censurano i siti che potrebbero essere “pericolosi”. E questa è indubbiamente Una Brutta Cosa, non ci piove. Ma se leggi affrettatamente l’articolo sembra che la censura operi a caso, e che parole come “zebra” e “segmento” nascondano chissà quali abonimii democratici.
Naturalmente la realtà è diversa, e di per sé sarebbe anche spiegata correttamente se uno riesce ad arrivare fino in fondo all’articolo. Il tipo che ha fatto lo studio afferma semplicemente che, partendo da una lista di parole comuni, in un caso su dieci tra i primi dieci siti ritornati dalla ricerca ce n’è almeno uno oscurato. Siete arrivati fin qua? Bene. Il passo logico successivo è pensare che – se una parola è comune – apparirà in molte pagine di argomento più svariato. Ad esempio, ho appena fatto una prova con “segmento”: mi sono tornati fuori un software matematico, la rivista “L’oculista italiano”, pagine di borsa, un sito sui motori e una scheda grafica. Non è così strano quindi che anche un sito “cattivo” il cui argomento principale sia tutt’altro possa uscire tra i primi risultati in una ricerca.
La conclusione logica insomma sarebbe dovuta essere “ci sono troppi siti censurati, ed è facile incappare in uno di essi”; la conclusione repubblicistica è “censurano tutte le parole”. Chiaro, no?
Aggiornamento: via Mantellini ho trovato il post originale da cui è partito tutto questo. È interessante notare come il blog in questione affermi di aver dovuto correggere il fraseggio nel proprio post, per le ragioni che ho spiegato sopra. Personalmente, credo che sarà un bel giorno quello in cui le edizioni online dei nostri quotidiani avranno l’onestà di correggersi (dicendolo esplicitamente, altrimenti sarebbe solo ipocrisia)

Ultimo aggiornamento: 2006-06-21 12:02