Oggi su Repubblica si parla della scarsa diffusione dei farmaci generici, vale a dire quelli che contengono lo stesso principio attivo dei nomi più blasonati ma sono prodotti da altre case farmaceutiche e costano generalmente parecchio in meno.
Secondo l’articolo, “dal 2001 ad oggi il mercato dei generici è passato dall’uno per cento al 10.1 per cento e le prescrizioni al 22 per cento”. Questo significa che in questo momento una ricetta su cinque contiene la prescrizione di un preparato generico, ma in un caso su due viene preso il farmaco “di marca” con il principio attivo corrispondente, nonostante – se non ricordo male – in questo caso il mutuato debba pagare di tasca sua la differenza.
Ma c’è un’altra possibilità, che mi pare ancora peggiore: che cioè la diversità delle percentuali è dovuta al fatto che se uno va in farmacia e chiede un’aspirina, gli danno un’Aspirina ™ Bayer, e non certo il generico corrispondente. Ma in questo caso abbiamo che metà degli acquisti di medicine sono di prodotti da banco: siamo un popolo di malati?
Ultimo aggiornamento: 2005-05-08 18:16
Mi sa che è una combinazione delle due. Purtroppo in Italia si acquistano tonnellate di medicine, spesso senza poi effettivamente prenderle, nella testa dell’italiano medio il concetto di “generico” fa scattare più l’idea che sia poco specializzato e quindi diverso da quello di marca, inoltre si comprano tonnellate di farmaci da banco. Altrimenti come ti spieghi il “diluvio” di espositori che sono sparsi per ogni dove in qualsiasi farmacia?
io considererei anche una terza ipotesi: che qualche volta anche quando il cliente chiede esplicitamente un farmaco generico gli viene risposto che non c’è, e che o si mangiano la minestra (l’aspirina, nella fattispecie) o si buttano dalla finestra. ipotizzo che sia anche una questione di ricarichi maggiori che le farmacie possono esercitare sui farmaci di marca.