sul diritto d’autore

La scorsa settimana avrete sicuramente visto la Petizione degli Artisti contro la “pirateria musicale”. Non so perché la paginetta debba essere scritta in PDF: sicuramente ci sarà una Ragione Fondamentale che al momento mi sfugge. Concordo però con Massimo che nota l’uso creativo della lingua italiana: qui io me lo posso permettere, su quello che dovrebbe essere un documento ufficiale un po’ meno. Passi.
Io vorrei però soffermarmi su un punto un po’ diverso, che è stato ripreso in parte sempre da Massimo oltre che da Beppe. Tra gli slogan presenti in quella Petizione ce ne sono infatti un paio di rivelatori:

  • SI a internet che permetta a tutti di comunicare, di moltiplicare
    l’offerta e l’accesso alle opere e a remunerare coloro che creano e
    che producono
    .

e soprattutto

  • SI, noi vogliamo continuare a negoziare liberamente i nostri
    diritti
    con i produttori

(il neretto, o meglio il non neretto di tutto il resto, è mio). Nulla di strano, in realtà: il sito in cui appare la Petizione è quello della Federazione dell’Industria Musicale Italiana, cioè di quelli che “fanno i soldi con la creatività degli artisti”.
Facciamo un lungo passo indietro, e torniamo alla fine del ‘700. A quei tempi, non esisteva assolutamente il concetto di “diritto d’autore”: le opere venivano pagate dal committente per la sua fruizione nel qui-ed-ora. Può essere interessante scoprire che Shakespeare ha pubblicato le sue tragedie solo perché iniziavano a girare edizioni pirata scritte da gente che aveva visto il grande successo delle rappresentazioni, e si era messa a trascrivere al volo i dialoghi, infarcendoli di errori. Solo a quel punto il bardo di Stratford-on-Avon, o chiunque fosse il vero autore delle opere :-) decise che tanto valeva mettersi a pubblicarle per conto proprio, visto che il danno c’era già stato. Lo stesso Johann Sebastian Bach lavorava al soldo di una serie di principotti locali, con un bel contratto “tot musica l’anno, e inoltre lezioni di latino ai giovani coristi”. Mozart è stato l’ultimo dei grandi compositori ad essere visto alla stregua di un inserviente o poco più: solo a partire da Beethoven il compositore ha iniziato a diventare una star.
Il diritto d’autore nasce quindi per tutelare la creatività: non essendo stipendiato, devi pure farti i soldi da qualche parte. Anche la prima estensione a una ventina d’anni dopo la morte dell’autore aveva un senso: vediamola come una specie di pensione per la famiglia dell’autore.
Cosa è successo poi? È iniziato il circolo vizioso degli anticipi sui diritti. Le case discografiche, ma anche gli editori, hanno iniziato a dare una quantità di soldi agli artisti più famosi, appunto come “anticipi”. In cambio, si sono presi tutti i diritti di autore sulle opere presenti e future, e su tutti i possibili usi non ancora prevedibili. Generalmente viene anche aggiunto l’obbligo di una certa produzione, chessò un album ogni due anni. Notato nulla? Sì, siamo ritornati al modello del ‘700. I pochi “grandi” probabilmente guadagnano di più, i molti “piccoli” sicuramente molto di meno. In compenso la ggente, quella che tre secoli fa poteva andare a sentirsi la musica per le feste offerte dal re, adesso si trova qualche raro concerto gratuito, e basta. Non è nemmeno possibile avere un preview di un disco, tipo un minuto per brano in qualità radio AM, per capire se vale la pena oppure no – a dire il vero, credo che questo sia voluto, perché altrimenti le vendite calerebbero ancora. C’è già chi si sta lamentando non solo per le biblioteche che lasciano i libri a disposizione della gente, ma perché c’è chi dopo averli letti, i libri li regala o li presta.
Il modello è da cambiare, quello è chiaro. Peccato che ognuno guardi nel suo orticello: chi adesso di soldi ne guadagna tanti non può che aborrire il peer2peer, chi ne prende pochini spera sempre di riuscire a entrare nel Gotha, con la benigna intercessione di FIMI e simili. Urgono idee vere.

Ultimo aggiornamento: 2004-07-19 12:01

8 pensieri su “sul diritto d’autore

  1. Carlo Fusco

    Mau,
    hai un’ idea di quanto guadagnino i “grandi” in Italia contando semplicemente i contratti discografici di cui parli, ovvero senza i concerti o altri proventi? Siamo sull’ordine di grandezza dello stipendio di un calcatore di fama equivalente, di più, di meno?

  2. .mau.

    dovremmo essere un ordine di grandezza sotto (leggasi, ordine dei 100K€/anno, e non dei M€/anno). Però non ho sottomano le loro dichiarazioni dei redditi :-)

  3. massimo mantellini

    beh la grande bazza fra i grandi artisti e’ per chi riesce a firmare ( e meglio ancora ad avere le edizioni) dei propri (o degli altrui) pezzi…….allora si che si passa all’ordine superiore di mau…..

  4. Antonio

    [Semi-OT] In questo caso il pdf è spropositato. Però mi sto convincendo che uno dei seri ostacoli per quest’ottimo formato sia la mancanza di un plugin decente su windows (!). Chi glielo spiega ad Adobe che chi clicca su un link pdf si che sia aperto quasi come un formato nativo e non che il browser rischi un infarto (e spesso un crash) dietro quel mastodonte di acrobat?

  5. sciasbat

    Alcune piccole precisazione. In Europa non si possono cedere *tutti* i diritti, ce n’è un certo numero, i cosidetti “morali”, che rimangono comunque all’autore. Inoltre non possono neppure essere ceduti i diritti per usi futuri non ancora scoperti, tipo le recenti suonerie dei cellulari. Se si scoprono nuovi usi i diritti vanno a chi detiene i diritti morali.
    Sì, sono reduce da una full immersion di due giorni su IPR e tecnologie digitali ;)

  6. Macchianera

    Hanno ucciso il mio guadagno, chi sia stato non si sa

    Ecco, come fatto presente in più occasioni, io ricordavo che Max Pezzali avesse una posizione piuttosto moderata riguardo agli Mp3, al Peer to peer e alla musica su internet in generale. Rammento, ad esempio, che il suo sito personale conteneva…

  7. Antani

    È una cosa che avevo notato. E sicuramente Massimo è nel giusto: gli autori hanno una posizione migliore, specie se sono anche acclamati interpreti, ma è una posizione tutt’altro che facile da raggiungere. Attraverso il lavoro “creativo” (spesso a stampino) degli autori le Major sfornano prodotti che definire musica è veramente troppo, ma che piace alla ggente e che quindi garantisce alte redditività. I pochi cavalli di razza si fanno strada a suon di concerti prima di diventare famosi (visto che in radio non ci arrivano).

    Le preview? Gli spot della Omnitel.

  8. FranCiskje

    Per quello che ne so il diritto d’autore è competenza SIAE che non concede anticipi. Tale diritto è suddiviso in parti uguali tra editore e autori: 12/24 all’editore e 12/24 da ripartire tra i vari autori (ma nel caso di più autori, legati da contratti di esclusiva a editori musicali, gli editori possono essere più di uno). In genere il proprietario dell’edizione non concede anticipi poiché non è il preposto alla liquidazione dei diritti. C’è poi il discografico (proprietario dell’incisione in quanto finanziatore) che riconosce all’artista una percentuale sulla vendita delle opere.
    Il discografico concede anticipi conteggiati in genere sul 90% del prezzo di vendita al rivenditore.
    Per ogni copia stampata il discografico versa alla SIAE una quota di diritti d’autore, in seguito ripartita tra gli aventi diritto. Ma sulla SIAE la polemica è sempre aperta per dei meccanismi di forfettizzazione. Al cosiddetto “calderone” si accede per importanza, se Mogol incassa per via nominale il 5%, gli spetta una uguale quota del “calderone”. Qui confluiscono i diritti pagati dalle emittenti private (versano in percentuale sul fatturato senza dover indicare i brani trasmessi): l’artista giovane al primo disco, grande successo trasmesso giorno e notte da ogni radio, di quei soldi non vede un centesimo. (O almeno, fino a qualche anno fa le cose stavano così, ma oggi non credo sia cambiato granché).

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