Siamo andati a vederla ieri sera al Piccolo; lo spettacolo era della compagnia di Luca De Filippo per la regia di Francesco Rosi.
Iniziamo dal testo. Eduardo è stato un grande. La struttura è standard, ma il modo in cui ha rappresentato la vita napoletana durante la guerra è davvero unico, con uno spaccato di vita che pare assolutamente naturale. Non faccio fatica a credere all’immediato successo alla prima rappresentazione, a marzo 1945 nella Napoli liberata da pochi mesi. Da un lato ci si immedesima in Don Gennaro, che torna dalla prigionia e scopre che non solo la vita è andata avanti, ma anzi chi è rimasto e si è arricchito con la borsa nera e i furti agli alleati non vuole nemmeno sentire più parlare di guerra; ma non si può non comprendere anche quell’altro punto di vista.
Ma a me quello che ha spiazzato è il finale. Gennaro sembra completamente vinto, non trattiene il figlio Amedeo che pure sa che verrà arrestato dal brigadiere, non si scompone nemmeno davanti al ragioniere finito in rovina a causa dello strozzinaggio di sua moglie, non dice una sola parola al compare di lei nel contrabbando. Eppure così vince; la famiglia torna ad essere il cardine della loro vita. Un punto sempre presente in Eduardo, non so se perché era un figlio illegittimo.
Due sole parole sugli attori per segnalarne la loro qualità. Il testo a volte sceglie esplicitamente di non dire ma lasciare intuire, e io seduto in penultima fila in balconata capivo… tranne qualche volta, a causa delle troppe parole napoletane. Io non ho studiato le lingue, è un mio limite.
Pubblico molto variegato. Sarà che ero abituato a riuscire a trovare posti solo il sabato, con me e Anna che eravamo di gran lunga i più giovani, ma ho notato un gran numero di ventenni. Quelli che continuano a mancare sono i miei coetanei, boh.
Un’ultima segnalazione: al bar interno, una bottiglietta d’acqua costa un
euro e mezzo. La bottiglietta, oltre ad essere austriaca (?), è da 25
centilitri. Non è un po’ esagerato?
Ultimo aggiornamento: 2003-11-14 11:47