Il mio amico Zop ha da poco approntato un sito, AAA Alternative Agli Anglicismi, dove troverete un dizionario con 3500 parole e locuzioni inglesi (ab)usate, insieme ai possibili equivalenti in italiano.
La cosa bella, come avrete capito, è che chi come me è pigro può controllare al volo se può cambiare una parola inglese e metterne al suo posto una italiana. Io non sono un talebano, credo che una quota ridotta di anglicismi sia accettabile, però a volte me ne scappa qualcuno di troppo…
Grazie per la dritta, lo aggiungo immediatamente ai miei bookmarks, ops, volevo dire segnalibri.
Anche io sono uno di quelli a cui di recuperare la purezza dell’idioma patrio non gliene può fregar di meno, però è da un po’ di tempo che ho seri problemi a parlare in italiano, essendo che ormai mi capita di rado di comunicare nella lingua nativa. Ok, il mio problema è più che altro legato a rendere correttamente in italiano costrutti e idiomi stranieri, ma anche il vocabolario vuole la sua parte.
Una mole di lavoro davvero enorme, utile sicuramente per far riflettere sull’uso e sull’abuso degli anglicismi. Colpisce però il significato attribuito ad alternativa: non sempre le voci presentano parole italiane che possono sostituire efficacemente l’anglicismo ma in vari casi si tratta di descrizioni – ad es. (servizio di) ristorazione o approvvigionamento alimentare per catering – oppure di iperonimi – ad es. formaggio inglese per cheddar o gioco di pazienza per puzzle – che sono una conferma che parecchi anglicismi sono ormai davvero insostituibili.
in certi casi o si crea un neologismo o ci si accontenta. Però “ristorazione in sede” per “catering” si potrebbe usare. Il caso di cheddar è diverso, perché è come dire “mozzarella” in un paese anglofono: al più si potrebbe tentare una traslitterazione tipo “parmesan”. Puzzle è ancora una cosa diversa, un po’ come flipper: in inglese “puzzle” è molto più generico, e il nostro puzzle è il jigsaw puzzle.
Non si può però ignorare l’aspetto diacronico, soprattutto per parole che fanno parte del lessico di base e ormai vivono di vita propria da decenni come appunto flipper (1959) e puzzle (1919!!!). Sono così integrate nel nostro lessico che il significato originale inglese ormai non è più molto rilevante, se non per curiosità etimologica: nonostante l’aspetto “straniero” vanno ormai considerate parole italiane a tutti gli effetti.
In questi casi, secondo me, non sono molto realistiche le opzioni “creare un neologismo” e “accontentarsi” pur di non usare l’anglicismo: non tengono conto di aspetti diacronici e altri meccanismi e aspetti sociolinguistici e pragmatici che regolano l’uso del lessico nella comunicazione, non solo in italiano ma in qualsiasi lingua (e questo secondo me è uno dei limiti del lavoro di Zoppetti).
Completamente d’accordo invece nel dare grande rilievo ai prestiti recenti che non sono ancora entrati stabilmente nell’uso (e proporre alternative credibili) e agli anglicismi che tentano di scalzare parole italiane già esistenti, come food per cibo o alimenti – il famigerato itanglese!
l’aspetto diacronico non c’entra proprio nulla in una raccolta degli anglicismi non adattati che circolano nella nostra lingua. questo dizionario non è prescrittivo/normativo, e non propone (al contrario di chi spaccia certi anglicismi per “insostituibili” o “necessari”) di sostituire le parole inglesi, nuove o vecchie poco importa, con alternative italiane, è bensì descrittivo: oltre a spiegare il significato degli anglicismi oscuri si raccolgono le alternative e i sinonimi possibili attraverso esempi d’uso contestualizzati e in circolazione. gli iperonimi fanno parte dei sinonimi in tutti i dizionari e si possono usare come alterntive a seconda dei contesti, ma la scelta di come e quando usarli è lasciata al lettore.