(Ugo mi ha detto che beppegrillo™ ha fatto proprio oggi la sua regolare filippica contro Tronchetti Provera: non credo sia probabile che ci siano molti punti in comune con quello che scriverò, ma mi scuso in anticipo)
In queste settimane abbiamo sentito una ridda di voci sul futuro di Telecom Italia: prima i contatti con Telefónica, poi il Telecom Day dove non è che sia successo chissà che (dire che l’anno prossimo la quota di utili destinati a dividendo scenderà dal 90% all’80-85% non è chissà quale notizia), al mandato che Pirelli ha dato a Tronchetti di valutare l’uscita da Olimpia e quindi da Telecom stessa, a possibili acquirenti russi, al pool di banche che prenderebbe la maggioranza e reinstallerebbe Bernabé come presidente (dopo Rossi… il buonanima di Vico è lì che si sta preparando a commentare “ve l’avevo detto, io!”). Il tutto mentre il titolo perdeva un buon 10%, il che non è bello (soprattutto per me).
Ma invece che parlare di voci e boatos, vorrei commentare alcuni numeri, presentati una decina di giorni fa al convegno “Il futuro di Telecom” promosso dalla SLC-CGIL e recensito da Stefano Quintarelli. All’interno del convegno è stata fatta un’analisi dei principali indicatori dei bilanci Telecom dal 1999 al 2006 (per quest’ultimo anno sui dati del primo semestre), per vedere come le cose sono cambiate da quando il ragionier Colaninno inventò l’OPA fatta coi soldi di chi viene comprato. Concordo solo in parte con l’analisi di Quintarelli, ma indubbiamente ci sono punti davvero preoccupanti.
Il “capitale immateriale” è triplicato in valore dal 2000 al 2006 (in questo caso lascio da parte il 1999, dove praticamente non ce n’erano ma l’azienda comunque aveva un diverso core business): è vero che ormai questi asset sono importanti, ma vedere che contemporaneamente il “capitale materiale” si è ridotto di un quarto è preoccupante. Ma come qualcuno sa abbastanza bene, ad esempio le centrali sono state vendute (a Pirelli Re, e a prezzi di favore…) e gli investimenti sull’ultimo miglio sono stati bloccati. Il MOL è crollato nel 2005, ma resta comunque di tutto rispetto; addirittura negli ultimi due anni la percentuale di utile sui ricavi è cresciuta, il che prova che Tremonti a qualcuno ha fatto bene.
Dell’indebitamento si sa quasi tutto: è da notare come quello diretto con le banche sia però rimasto relativamente costante in valore assoluto, mentre quello sotto forma di obbligazioni è letteralmente esploso. Almeno uno dei miei lettori sa bene cosa significa la cosa: le obbligazioni vengono amabilmente collocate dalle banche, che poi se ne lavano le mani. Nemmeno questo è bello.
Il fatto è che però l’azienda di per sé continuerebbe ad essere un carrarmato: ha fatto fuori il 40% dei dipendenti, e il MOL per dipendente è cresciuto del 50%. In pratica, oggi bastano due dipendenti per fare guadagnare a Tronchetti quello che tre dipendenti facevano guadagnare a Colaninno. Peccato che questi soldi servano per pagare i debiti che Telecom si è dovuta sobbarcare per ripagare chi l’aveva (per due volte!) comperata.
Qual è il risultato finale di tutto questo? Beh, è semplice: se la controllante (ieri Bell, oggi Olimpia) verrà venduta ancora una volta a un finanziere, il debito crescerà ancora per definizione. Se qualcuno invece rastrellasse azioni Telecom sul mercato, quello fregato sarebbe Tronchetti che si troverebbe sul gobbo le sue azioni a un prezzo ben superiore a quello di mercato: ma a giudicare dalle quotazioni attuali, questo non capiterà. L’unica possibilità sembrerebbe essere l’avvento di investitori istituzionali che non abbiano fretta di avere un ritorno monetario immediato e quindi possano finalmente aumentare gli investimenti sulla rete. L’alternativa sarebbe la rinazionalizzazione della rete stessa, che però mi sa tanto verrebbe vista dalla UE come aiuto di Stato a Telecom. Insomma, un bel casino.
Ultimo aggiornamento: 2007-03-14 16:34