Essendoché oggi era una bella giornata di sole d’aprile che seguiva vari giorni di pioggia, e quindi senza grande possibilità di gite fuoriporta, il centro di Milano era gremito anche a quella che dal mio punto di vista piemontese sarebbe ora di pranzo. Essendoché c’era tanta gente, per la nota legge della domanda e dell’offerta c’erano anche tanti venditori più o meno improbabili. Nulla di strano nel trovare svariati venditori di quei braccialettini in filo da legarsi al posto, né ci si può stupire che ci fossero almeno sei venditori di libri – tutti senegalesi, a giudicare dal colore della pelle – nella piazzetta reale. In fin dei conti, se uno passa di là si suppone sia interessato alla cultura, e magari gli scappa anche di comperare un libro.
Quello che però mi ha basito è stato trovare in poco piu di trecento metri di corso Vittorio Emanuele ben cinque venditori di ombrelli. Attenzione: non i soliti ombrellini tascabili, quelli che spuntano come funghi sui pavimenti dei mezzanini della metropolitana non appena inizia a piovere. Proprio ombrelli veri e propri, con i tizi (pakistani? Perché anche in questo caso c’è una rigida divisione etnica) che mostravano come funzionava bene il meccanismo di apertura. Sono abituato alle mode di oggetti in vendita per strada, o per meglio dire al concetto di qualcuno che decide cosa far vendere agli ambulanti; però l’ombrello mi pare un accessorio troppo low-tech rispetto a quello che generalmente fanno vendere. Misteri markettari.
Ultimo aggiornamento: 2008-04-20 19:31