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DiCo: i Pacs all’italiana

Occhei, non si chiamano Pacs ma “DiCo”, DIchiarazioni di COnvivenza. Si sa, un bel nome è sempre la prima cosa da trovare. Ma veniamo al DDL (acronimo che ricordo stare per disegno di legge, il che vuol dire che quando verrà portato alle Camere ne vedremo delle belle) per capire quanto è stato un compromesso al ribasso, e se c’è da salvare qualcosa.
L’articolo 1, tendenzialmente, non è poi così male. C’è però la prima vera fregatura: la dichiarazione è resa contestualmente e non insieme. Tradotto dal politichese, io e il mio compagno non facciamo una dichiarazione in cui diciamo che conviviamo, ma ciascuno di noi fa una dichiarazione distinta in cui dice che convive con l’altro. Sembra una questione di lana caprina: però quella singola parola mostra come già un DDL così blando sia stato un casino immane da fare approvare, e l’unico sistema sia stato quello di evitare di dover fare un registro delle unioni civili. Altro che pensare a patti di convivenza a tre… Invece, nonostante ci sia chi ci ride dietro, non trovo che la raccomandata da spedire sia una cosa così assurda. In fin dei conti, se sto convivendo con qualcuno si può immaginare che generalmente ce la facciamo, a presentarci insieme in anagrafe. Poi ci saranno casi particolari, ma saranno appunto una minoranza, un po’ come il matrimonio per procura.
L’articolo 2 dice che se uno ha ammazzato il coniuge dell’altro per conviverci insieme forse è meglio evitare, e fin qua siamo tutti d’accordo. Né puoi convivere con la badante, ma se proprio vuoi te la devi sposare. Qui siamo un po’ più sessisti, ma può ancora andare abbastanza bene.
Gli articoli dal 3 al 6 parlano finalmente di diritti, come quello all’assistenza, alle decisioni in materia di salute e al pemesso di soggiorno: questi diritti non costano soldi allo Stato, e infatti valgono da subito :-) Spero che a nessuno venga in mente di cercare di emendarli, anche solo per fare un po’ di ostruzionismo. Quello che va male è il 7: anche se a prima vista sembra che venga dato il diritto di avere una casa popolare, se si legge bene viene scritto che le Regioni tengono conto della convivenza. Anche senza pensare a un “tenere conto in segno negativo” (sì, sono un matematico, per me la cosa sarebbe normale) mi sa tanto che Formigoni troverà un sistema per dire “se sei sposato conta per 10 punti nelle graduatorie, se convivi per 2”. A differenza della “contestualità” che era indubbiamente voluta, mi chiedo come mai abbiano usato una formulazione di questo tipo.
Gli articoli 8 e 9 cominciano a toccare temi più economici, e infatti si nota come ci vogliano tre anni di convivenza (o un figlio in comune… si sa che il “tengo famiglia” è principe) per subentrare nell’affitto, e lo stesso per chiedere l’avvicinamento del lavoratore per cause familiari. Di per sé questo ultimo punto lo capisco anche, e mi pare non sia poi troppo diverso da quello che succede nel matrimonio. Non capisco invece che significa che nel caso tu lavori per l’impresa del convivente puoi chiedere una partecipazione agli utili salvo che l’attività medesima si basi su di un diverso rapporto. Che vuol dire? Non credo si parli di rapporto “master-slave”…
Articolo 10, pensione: la risposta della legge è “boh”. Manco fosse una legge costituzionale, si afferma il diritto e si lascia ad altra legge l’attuazione.
Articolo 11, eredità: nove anni mi sembrano davvero tanti, ed è interessante notare come la tassa di successione abbia una franchigia molto più bassa che per i parenti “veri”. Però, come dicevo sopra, qui si cominciano a toccare i soldi, e si sa che sarebbe andata a finire così.
Articolo 12, alimenti: è l’unico articolo in cui ci sono dei doveri del convivente, e infatti è stato messo in fondo. Anche qua i diritti scattano dopo tre anni di convivenza e, a differenza di quanto immagino capiti in caso di divorzio, non sono di durata indefinita. Mi sembra relativamente equo, anche se migliorabile.
L’articolo 13, quello delle “varie ed eventuali”, introduce l’interessante possibilità che – tranne per la pensione, Dio non voglia… – quando la legge sarà promulgata si potrà dire che si era già conviventi da prima della legge. Servirà relativamente a poco, se non per l’eredità, ma da un certo punto di vista serve a suggellare il fatto che le convivenze non nascono con la legge: a me personalmente la cosa piace.
E infine la vera chicca: la copertura finanziaria. In Italia tutte le leggi devono indicare da dove prendono i soldi; nel DDL si parla dei costi per il 2008 e per il 2009. Nulla per il 2007, come se pensassero “tanto quest’anno non riusciremo certo ad approvarla”… E naturalmente nulla per il futuro più lontano, il che è abbastanza logico; ma ciò significa comunque che tutti i tempi sono stati studiati per evitare di dire “dove pigliamo i soldi”.
In definitiva? È un disegno di legge che non mi piace troppo, perché cerca disperatamente di negare il fatto che esista gente che vuole convivere (e gente che non può che convivere, visto che il matrimonio omosessuale non esiste). Però dà finalmente dei diritti a queste persone, e sono convinto che in casi come questo sia davvero meglio l’ovetto oggi piuttosto che la gallina che chissà se domani ci sarà.

Ultimo aggiornamento: 2007-02-09 16:03

che è successo alla free press?

Io non me n’ero accorto, ma Senera me l’ha fatto notare. In questi giorni, i giornali gratuiti sono più smilzi del solito. La triade milanese (Leggo, Metro e City) è composta di 24 pagine, mentre ad esempio City del 21 dicembre che è rimasto sulla mia ordinatissima scrivania di pagine ne aveva 36 e quello dell’8 gennaio (primo dopo la pausa) 28.
Ragione di questo calo della foliazione? immagino il calo della pubblicità. Ho fatto un conto spannometrico sui tre numeri di City che mi sono ritrovato per le mani, ed ecco i valori.
21 dicembre: 19.5 pagine su 36 (54%)
8 gennaio: 9.25 pagine su 28 (33%)
11 gennaio: 7.66 pagine su 24 (32%)
Resta da capire se il calo delle inserzioni pubblicitare è solo momentaneo, oppure è un indice che il mercato è stato saturato e quindi prima o poi ci troveremo qualche cadavere.

Ultimo aggiornamento: 2007-01-11 16:17

Beh, e il deficit?

Leggo che la stima del fabbisogno pubblico per il 2006 è di 35.2 miliardi, contro i 60 miliardi del 2005. Sono molto contento della cosa, ma c’è qualcosa che non mi torna.
Nel 2005 il PIL italiano è stato di 1417 miliardi di euro. Aggiungiamoci il 2% di inflazione e l’1.5% di crescita presunta, e l’anno appena passato sfioreremo i 1500 miliardi: inutile andare sul preciso, quello che conta è una stima spannometrica. Bene: 35 miliardi su 1500 sono un po’ meno del 2.4%, valore che quindi corrisponderebbe al rapporto deficit/PIL. Occhei, non è vero, perché così ad occhio dovremmo almeno sommarci l’IVA sulle auto aziendali che la UE ci ha imposto di restituire e un pacco di trasferimenti passati a ferrovie e simili che l’ineffabile Tremonti aveva nascosto sotto il tappeto della finanza creativa e adesso siamo costretti a rimettere come debiti effettivi. D’accordo. Avremo un deficit più alto, tanto il buon Silvio era riuscito a strappare il permesso di superare il 3% e quindi non ci bacchetteranno più.
Ma tutti questi aggravi aggiuntivi sono una tantum, quindi non li rivedremo negli anni a venire, e possiamo considerare quindi il 2.4% di cui sopra la base da cui partiamo. Bene: allora perché mai ci siamo trovati una finanziaria da 35 miliardi? Meglio: partendo dal presupposto che 20 miliardi servano effettivamente per rilanciare l’economia (non si sa bene perché togliere soldi a famiglie per darli alle imprese rilancerebbe l’economia, ma non sottilizziamo), perché mai ci sono 15 miliardi, vale a dire l’1% del PIL, “per risanare i conti pubblici“, come da relazione al Senato di Padoa Schioppa?
Mi piacerebbe tanto che qualcuno mi dimostrasse dove mi sono sbagliato: anche se ci sono tanti numeri, l’economia è tutto tranne che una scienza esatta e posso avere dimenticato chissà cosa. Purtroppo le mie notiziole sono troppo di nicchia, e posso solo sperare che ci sia qualche economista tra i miei ventitré lettori :-)

Ultimo aggiornamento: 2007-01-02 22:33

parliamo un po’ di Codacons

[il numero codacons]
Riassunto delle puntate precedenti. Giovedì scorso, mentre cercavo un link da aggiungere a una mia notiziola, mi sono accorto che il Codacons pubblicizzava nella sua home page un “numero unico Codacons”. Questo numero è l’892-007: se uno si mette a leggere il testo molto in piccolo sotto l’immagine, scopre che per avere il privilegio di parlare con l’associazione usando un telefono fisso pagherà un euro e mezzo al minuto, più dieci centesimi di scatto alla risposta. Il tutto più IVA. Finisco il mio post, e ne preparo subito un altro facendo notare la cosa.
Il guaio è che il mio è un blog di nicchia: dopo che i miei ventitré lettori sono passati a leggere, in genere tutto finisce qua. Però stavolta è capitato che una Vera Blogstar abbia ripreso la mia notiziola il giorno dopo. Potenza della comunicazione mediatica, oggi pomeriggio Mantellini ed io riceviamo nei commenti un Comunicato Stampa (le maiuscole sono mie) da parte di Stefano Zerbi, dell’UFFICIO STAMPA CODACONS (maiuscole loro): lo potete leggere nei commenti al mio post, oppure direttamente da Massimo. A questo punto, pur non sentendomi degno, credo che mi tocchi usare una mezz’oretta del mio tempo e preparare una disamina del testo del messaggio.
Premetto che al Codacons dimostrano di sapere usare Internet, il che non è affatto cosa banale. Sono infatti passati da Mantellini a me senza problemi. Ma questo era intuibile anche dando un’occhiata alla loro home page: il testo con i costi della chiamata al loro numero è infatti visualizzato mediante un elemento di stile che si chiama testoMoltoPiccoloMaroon. In effetti il carattere è molto piccolo, e di un marroncino che sul portatile da cui sto scrivendo non è che spicchi così tanto.
Titolo: SIETE PREGATI DI LEGGERE ATTENTAMENTE (maiuscolo loro). Non c’è dubbio che l’ho fatto.
Primo paragrafo: (purtroppo devo metterlo tutto) Quando abbiamo deciso di munire la nostra associazione di uno strumento efficace per dare aiuto ai consumatori e che ci consentisse di aprire alla gente moltissime sedi nella impossibilità di farlo, lo sapevamo che avremmo ricevuto critiche.
E così abbiamo preparato una piccola bufala ai giornali e le critiche ce le siamo fatte da soli mandano noi stessi una lettera di protesta alla stampa.

“Giornali”? di che sta parlando il signor Zerbi? Mah, sta’ a vedere che ci hanno riciclato qualcosa fatto per altri scopi. Mai che siamo considerati. Ma soprattutto: “bufala”? cosa sarebbe la bufala? forse che quando fai il numero scopri che in realtà non paghi un centesimo? Non so, non ho voglia di fare la prova.
Secondo paragrafo: a differenza di altre associazioni di consumatori che hanno la loro sede spesso presso sedi sindacali o addirittura ospedali, il CODACONS non ha regalie di alcun genere e se vuole dare la possibilità ai propri avvocati consulenti sparsi in tutto il paese, tutti volontari non pagati che non possono spesso, essendo giovani e non ricchi, avere una segretaria dedicata a ricevere le telefonate della gente che chiama per il CODACONS, deve apprestare almeno uno strumento di coordinamento per gli appuntamenti. Con questo telefono unico ora un cittadino può prendere appuntamento con oltre 100 sedi in Italia chiamando tutti i giorni e tutte le ore del servizio laddove prima spesso non rispondeva il consulente o la sede specie le più piccole e disorganizzate;.
La sintassi è un po’ machiavellica (nel senso che con tutte queste subordinate ci si perde), e manda un “di” prima di “avere”. Però se uno LEGGE ATTENTAMENTE si accorge che non si sta parlando di avere un consulto, ma di parlare con una segretaria. E in effetti, se uno va a leggere la pagina apposta, c’è scritto bello in grande che “L’892-007 è un numero telefonico a pagamento per conoscere le iniziative del Codacons e prendere appuntamento con un consulente in tutta Italia per aiutarti a risolvere un problema”. Un centralino, insomma. Qualcosa che si poteva tranquillamente fare per posta elettronica, anche se era effettivamente difficile farsi pagare un euro e mezzo più IVA al minuto.
Terzo paragrafo: (prendete un respirone) con il telefono a pagamento si elimina anche il malvezzo di chiedere le consulenze per telefono che, trattandosi spessissimo di avvocati, sono vietate dal codice deontologico e pericolose per i danni che possono provocare, ma soprattutto facevano sì che la maggior parte dei consumatori “per non spendere la enorme…quota associativa di 50 euro l’anno…” provavano a risolvere il loro problema per telefono, alimentando vieppiù quella cultura non consumerista che determina che solo il 10% degli iscritti ad una associazione di consumatori rinnovi spontaneamente l’iscrizione dopo il primo anno, e dopo aver risolto il problema concreto che lo portò nell’associazione la prima volta;
Intendiamoci: non ho nulla in contrario al fatto che una consulenza sia pagata il giusto. Il Codacons avrebbe potuto rendere obbligatoria l’iscrizione e non avrei detto nulla; avrebbe potuto fare pagare il giusto (chessò, 40-50 centesimi il minuto) la consulenza e non avrei di nuovo detto nulla. Messa così, sembra tanto una excusatio non petita, e si sa che a pensare male si fa peccato ma… Ah, il De Mauro non contiene la parola “consumerista”, ma credo stia per “consumeristica”, che tutela cioè i diritti del consumatore.
Quarto paragrafo: (il clou)
chi non vuole spendere l’euro per telefonare può sempre recarsi gratis, personalmente, nelle sedi CODACONS dove la consulenza è quotidiana (come a Roma e Milano), e dove si riceve la gente anche senza appuntamento ma, naturalmente, si deve sobbarcare ad attese a volte anche di ore, fastidiose e davvero sconvenienti, attese che abbiamo voluto cancellare proprio con il nuovo sistema;

Questa frase vi suona familiare? Forse ve ne accorgete meglio se modifico leggermente il campo d’azione. Pensate a quando siete andati a chiedere una visita da uno specialista, e vi siete sentiti dire “con il SSN deve attendere sei mesi… però se va privatamente, c’è posto venerdì alle 15:15”.
Ultimo paragrafo:
con il ricavato della telefonata siamo addirittura riusciti a finanziare, non noi stessi, ma un progetto sociale (che attualmente è l’assistenza ai bambini malati di cancro del Policlinico Umberto I di Roma) e chiunque voglia segnalarne un altro altrettanto meritevole lo può fare.

Pensate come siamo fortunati: con i nostri soldi (beh, con dieci centesimi al minuto, per la precisione) abbiamo fatto una buona azione. Se non ci fosse stato il Codacons, come avremmo potuto fare?
L’unica cosa che mi sento di aggiungere è che questi nostri amici hanno sicuramente delle ottime capacità, se riescono a scrivere queste cose senza doverci pensare su.
P.S.: se avete letto attentamente, il prezzo della chiamata è IVA esclusa. Sono sicuro che l’anno scorso sia passata una legge che imponeva a tutti coloro che offrivano servizi al pubblico di indicare il prezzo finale, quindi IVA compresa. Qualcuno può consigliarmi un’associazione di consumatori per segnalare l’illegalità commessa?

Ultimo aggiornamento: 2006-12-20 00:17

ma che ha detto il papa?

La scorsa settimana sono stato troppo impegnato a guardarmi l’ombelico Telecom per accorgermi che stava montando una polemica contro quanto pronunciato da papa Benedetto XVI a Ratisbona a proposito dell’Islam e della jihad. Certo che se perfino il New York Times si è messo a bacchettare Ratzinger, e il papa nell’Angelus di ieri ha detto di essere stato frainteso esattamente come un Berlusconi qualunque, ci dev’essere stato qualcosa di incredibile, ho pensato io. Così sono andato a leggermi il discorso che aveva tenuto all’Universität Regensburges: in italiano, perché già di queste cose ci capisco poco, ma in tedesco arriverei più o meno a “Eminenzen” prima di perdermi.
Prima del mio pippone, riassumo l’intervento: chi vuole può saltare questo paragrafo, a meno che non voglia poi sbertucciarmi :-) Ratzinger afferma che a Ratisbona ci sono sempre state discussioni teologiche, e che i teologi cercano di capire Dio con la ragione. Gli sovviene un commento su quanto disse un imperatore bizantino del 1400: mentre Manuele II Paleologo parlava con un notabile musulmano gli disse, in modo sorprendentemente brusco [1] «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava». Continua raccontando quanto scrisse il commentatore: “per l’imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest’affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente”.
Il testo papale poi riprende l’inizio del vangelo di Giovanni, “In principio era il λόγος”, e giunge a dire che si ha la “necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l’interrogarsi greco.”, avvicinamento che nasce addirittura dall’affermazione del Nome di Dio rivolta a Mosè dal roveto ardente, e che è continuato nei secoli, arrivando a un punto chiave con la versione della Bibbia dei Settanta ma proseguendo ancora in seguito: tanto che il Manuele di cui sopra non riusciva a immaginare nulla di diverso. In Europa, però, i pensieri erano un po’ diversi, tanto che il dualismo Agostino/Tommaso è stato superato da Duns Scoto in maniera molto simile al pensiero arabo. Ma, dice Ratzinger, “Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi”, e in realtà il cristianesimo non poteva essere così com’è senza il pensiero occidentale in genere. Peccato che a quanto pare la teologia degli ultimi secoli voglia disellenizzare il cristianesimo, secondo tre direttrici: la Riforma, che non voleva che la fede derivasse dalla filosofia e ha portato al pensiero kantiano che la elimina addirittura dalla realtà; la “teologia naturale” del XIX e XX secolo, che partendo dalla considerazione di Gesù come un grande uomo e limitandolo per così dire ad essere fondamentalmente un esempio morale, porta a una via di mezzo tra platonismo ed empirismo (io avrei detto quasi riduzionismo) dove la teologia non ha più posto perché “non dimostrabile”, così come gran parte della metafisica stessa: non possiamo più domandarci “da dove veniamo”. Ancora, «l’ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell’ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l’umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione». Infine, l’ultima corrente afferma che il “cristianesimo ellenista” è solo uno dei possibili tipi di manifestazione del pensiero cristiano, e bisognerebbe ritornare al nucleo. Ma questo per il papa non è vero, per la ragione stessa che il Nuovo Testamento è stato scritto in greco. Il tutto termina affermando che senza una ragione della fede non si può portare avanti un dialogo con le varie religioni, e che il modo attuale di pensare dell’Occidente può solo portare a un’involuzione; come disse Manuele II, «”Non agire secondo ragione (con il logos) è contrario alla natura di Dio”». Fine (whew!).
Sulla parte filosofica io non è che ci abbia poi capito molto, o meglio non sono riuscito a capire i passaggi logici. Per il resto:
(a) la citazione iniziale di Manuele II sembra serva semplicemente per tirare fuori quella finale.
(b) il punto che secondo me gli premeva di più riguardo all’Islam è fare notare come per gli islamici Allah è intrinsecamente trascendente, e su questo credo che tutti siano d’accordo.
(c) quanto GP2 era fondalmentalmente un mistico, tanto Ratzi è indubbamente un filosofo. È vero che parlava a fior di teologi, ma garantisco che un discorso così richiede una faticaccia per essere compreso.
(d) è però incredibile come non abbia pensato che un passo come quello iniziale, per quanto assolutamente irrilevante nel contesto, verrebbe immediatamente preso, a ragione o a torto, come un attacco all’Islam; non basta quel “sorprendentemente” messo giù quasi per caso. E dire che non ci sarebbe voluto nulla ad aggiungere una frasetta, mentre parlava di Duns Scoto e simili, sui mali che i cattolici hanno fatto seguendo quel tipo di pensiero; a questo punto sarebbe stato chiaro che il discorso non era “Islam=cattivoni”, ma “fede senza ragione=cattivoni”. Occhei, per completare il tutto poteva anche recuperare quanto scritto da altri teologi islamici.
(e) visto che Ratzinger non è stupido, mi chiedo perché mai non ci abbia pensato.
(f) secondo me è molto più grave, anche se ammetto che è una cosa interna al cristianesimo, l’idea che “visto che i testi sacri sono stati scritti in greco, allora l’ellenismo (purificato, mi raccomando!) è fondamentale per essere cristiani”.
(g) vorrei sapere chi sono stati quegli idioti di giornalisti e articolisti che hanno creato il caso senza chiaramente avere letto il testo, e sicuramente senza capirlo.
Infine ribadisco: la matematica è molto più semplice!
[1] questo neretto è il mio. Però il testo nel sito del Vaticano è stato emendato, e adesso fa in modo sorprendentemente brusco che ci stupisce, brusco al punto da stupirci; e stavolta il neretto è loro. Altro che 1984… secondo me questi tentativi di coprire sono le peggiori cose che si possono fare.
Aggiornamento: (22 ottobre) Il Bubbo Grasso fa notare che la frase è ancora cambiata, e adesso fa egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile.

Ultimo aggiornamento: 2016-03-24 16:53

Il referendum di domenica

Mi dicono che l’informazione televisiva sul prossimo referendum è nulla (Rai) o fuorviante (Mediaset): insomma, mi tocca di nuovo fare un po’ di spiegoni. Per chi ha fretta, metto in grassetto i titoli, così non deve perdere troppo tempo.
1. Il referendum non ha quorum: infatti non è abrogativo (articolo 75 della Costituzione), ma confermativo (articolo 138). In pratica, la legge c’è, ma non è ancora in vigore perché si chiede al popolo, cioè a noi, se ci va bene oppure no; e la scelta dei costituenti, proprio perché si tocca la legge fondamentale, è stata che in questo caso non ci si può chiamare fuori. Se per assurdo votasse una sola persona, il referendum sarebbe comunque valido.
2. Si vota al rovescio: chi vuole cambiare deve scrivere SÌ. Proprio perché non è abrogativo ma confermativo, il voto è diverso da quello dei soliti referendum: in pratica la domanda è “vuoi cambiare il testo della Costituzione”? Chi vota SÌ chiede che la nuova versione entri in vigore, chi vota NO dice che gli va bene quella che c’è adesso.
3. Riforme della Costituzione ce ne sono state tante. Di molte non ce ne siamo accorti perché approvate con una maggioranza qualificata che le rendeva immediatamente esecutive: nel 2001 c’è stato però un referendum per la riforma federale votata dal centrosinistra. Beh, per la precisione in prima e seconda lettura (le leggi costituzionali prevedono quattro passaggi, due per ciascun ramo del parlamento, in modo da dare il tempo per rifletterci su) c’era stata una maggioranza qualificata: ma poi si avvicinavano le elezioni e così la Lega ha convinto il resto del centrodestra a cambiare il proprio voto. In quel caso il referendum fu chiesto sia dalla maggioranza che dall’opposizione, e finì con l’approvazione della riforma.
4. Il cambiamento è “o tutto o nulla”. Questo è un punto importante, e per nulla reso noto. Tanto per fare un esempio, la modifica del 2001 in realtà era composta da tre leggi distinte: le modifiche (più o meno) federali che sono andate a referendum, ma anche il diritto di voto e di elezione per gli italiani all’estero e l’elezione diretta dei governatori delle regioni. Questa volta la legge è un blocco unico, quindi non si può scegliere quali parti approvare e quali no.
5. La riduzione di deputati e senatori è uno specchietto per allodole. Non certo casualmente, gli spot Mediaset pongono fortemente l’accenno sul fatto che ci saranno molti meno parlamentari. Ma c’è un ma. Innanzitutto, come si può leggere nell’articolo 53 comma 2 della legge costituzionale, avverrà “per la successiva formazione della Camera dei deputati” (quindi non si ritorna a votare, checché ne pensi Silvio) e addirittura “trascorsi cinque anni dalle prime elezioni del Senato medesimo”, e qua non si capisce se ci toccherebbe votare ad aprile 2011 per Camera nuova e Senato vecchio, e a giugno 2011 per il Senato nuovo. Inoltre il Senato sarebbe sì ridotto nei membri con diritto di voto, ma visto che ci sarebbero due rappresentanti per regione senza diritto di voto (ma con diritto di prebenda, immagino) il numero totale dei senatori non cambierebbe di molto.
6. Qualcosa di buono c’è, ma all’atto pratico? L’idea di eliminare il bicameralismo perfetto che abbiamo adesso non mi dispiacerebbe, almeno in teoria. Con la riforma, ci sono leggi della Camera (interesse nazionale) e leggi del Senato Federale (interesse regionale); una legge può avere al più tre passaggi, con la camera “non interessata” che la discute solamente una volta. Però bisogna capire come si deciderà, con il comitato “quattro+quattro” di cui all’articolo 14 della legge, e sarà molto divertente per chi non sta in Italia. L’abbassamento del limite di età per fare il Presidente della Repubblica, visto cosa capita oggi, è quasi una burla.
7. Il controllo politico aumenta. La Corte Costituzionale avrà quasi metà dei membri nominati dalle Camere; in compenso, sarà il Premier (che a oggi non esiste nella Costituzione, si parla infatti di Presidente del Consiglio dei Ministri) a decidere quando si scioglie la Camera, il che gli dà un potere mica male. Di per sé, la Camera potrebbe da sola trovarsi una maggioranza con un altro primo ministro (articolo 27), ma è una finta, visto che deve anche dichiarare “di voler continuare nell’attuazione del programma”. In pratica il premier è l’unico a decidere di cambiare.
8. La “devolution” è preoccupante. Secondo la nuova Costituzione, le regioni avrebbero competenza totale su scuola, polizia locale e salute (anche se le “norme generali sulla tutela della salute” sono di competenza dello Stato). A me il pensiero di scoprire che il programma scolastico lombardo è diverso da quello pugliese preoccupa anzichenò, per non parlare delle Guardie Padane istituzionalizzate.
9. E i soldi? Il “federalismo fiscale” (che c’è già in Costituzione, vedi l’articolo 119; semplicemente, come capita spesso, non è mai stato messo in pratica) è liquidato con due frasette nell’ultimo articolo di legge: “Entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, le leggi dello Stato assicurano l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. In nessun caso l’attribuzione dell’autonomia impositiva ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni può determinare un incremento della pressione fiscale complessiva”. Sì, ci dovrebbe (già) essere un fondo perequativo, ma andrà a finire ancora peggio di adesso, che non appena si alza l’IRAP per le regioni che sfondano il tetto di spesa si alzano gli scudi. Non credo alle stime di un maggior costo di 250 miliardi di euro portato dalla riforma, ma già un decimo di quella somma implica che qui al nord non ci preoccuperemo più di tanto, ma al sud sarà una tragedia.
Per concludere, alcuni collegamenti di approfondimento:
– l’iter della riforma, a partire dalla “Bozza di Lorenzago” che detta così sembrerebbe chissà quale cosa ma è il risultato di un weekend tra amiconi, guidati dal Sommo Calderoli.
– lo schemino delle differenze (pdf, dal sito del governo)
– il sito del Comitato per il Sì (gestito da Forza Italia, come si può vedere cliccando qua e scrivendo “Cancella” alla richiesta di password)
– il sito del comitato per il No (compreso il “Comitato Scientifico“, perché questa è scienza, non fantascienza!)
P.S.: se a qualcuno non fosse ancora chiaro, io voterò NO.
P.P.S: come mi fa notare nei commenti Apis958 – ammetto che la chicca mi era sfuggita – non solo la Camera può eleggere un primo ministro solo se giura di continuare il programma, ma solo la maggioranza espressa dalle elezioni può deciderlo. Insomma, qualcosa che può capitare solo se il premier dà di matto e lo si vuole far fuori… pensate, Minimo D’Alema non sarebbe nemmeno riuscito a soppiantare Prodi, perché si era imbarcato l’UDEUR!

Ultimo aggiornamento: 2006-06-19 12:20

Altro che Holding Italia 1-22!

Forse qualcuno si ricorda della strana suddivisione delle azioni Mediaset, divise inizialmente tra Holding Italiana 1, Holding Italiana 2, e così via fino a Holding Italiana 22. Bene. All’estero però sono stati capaci di fare cose molto “migliori”.
Massimo Morelli riprende un articolo dell’Economist che racconta come funziona il controllo dell’IKEA, la produttrice di mobili con design svedese e fabbricazione nel sudest asiatico. In breve, si scopre che nel 1982 il controllo dell’IKEA è passato a una fondazione olandese, la Stichting Ingka Foundation (“Stichting” dovrebbe significare “fondazione” e quindi il nome è un po’ ridondante, come “deserto del Sahara”, ma la chiarezza innanzitutto). Questa fondazione ha le azioni della Ingka Holding, ed è stimata valere 28 miliardi di euro. Una fondazione di diritto olandese non deve esplicitare cosa fa dei suoi soldi, se non genericamente; la Ingka afferma che si occupa di finanziare il design di architettura e di mobili, mandando i fondi alla Stichting Ingka Foundation, altra fondazione di diritto olandese. Questa a sua volta fa donazioni e “investimenti a lungo termine, nel caso che l’IKEA abbia bisogno di capitale”. Diciamo che nel 2004 gli introiti sono stati di circa 1.6 miliardi di euro, mentre le uscite in donazioni ammontano a circa 1.5 milioni di euro. La fondazione è guidata da un board di cinque persone, tra cui il fondatore di IKEA Ingvar Kamprad, sua moglie e un avvocato svizzero; le decisioni devono essere prese a maggioranza semplice. Il bello è che nemmeno gli eredi di Kamprad potranno modificare la destinazione d’uso della fondazione, che così blinda l’IKEA.
Ma c’è una via d’uscita per avere un po’ di contante. Il marchio IKEA è infatti posseduto dalla Inter IKEA Systems, altra azienda privata olandese che non fa però parte della Ingka Holding. A sua volta quest’azienda è controllata dalal lussemburghese Inter IKEA Holding gestita a sua volta da un’azienda con lo stesso nome nelle Antille Olandesi, guidata da un trust in Curaçao. I negozi IKEA vendono bene, e il 3% dei ricavi arriva alla Inter IKEA Systems; nel 2004 la società, insieme alla I.I. Holding che sembra ricevere molti soldi da essa, avevano un patrimonio che sfiora i 12 miliardi di euro, ha distribuito 800 milioni di dividendo e fatto nonostante tutto un utile di più di mezzo miliardo. Il tutto pagando in tasse… 19 milioni.
In Italia siamo dei dilettanti.

Ultimo aggiornamento: 2006-05-25 14:50

L’euro a 1500 lire…

Avevo promesso che avrei parlato delle dichiarazioni berlusconiane secondo cui – se ci fosse stato lui al posto di Prodi – avrebbe messo il cambio euro-lira a quota 1500, e non 1936.27 come è poi stato.
Prima però un paio di note. Innanzitutto, il Cav è sempre stato molto attento a non metterlo mai per iscritto: anche nell’ormai noto libro La Vera Storia Italiana si scrive che “la gente” avrebbe voluto un cambio di questo tipo. In secondo luogo, rivalutare una moneta – quello che sarebbe appunto capitato se un euro fosse costato di meno – porta a un costo minore dei beni importati, ma anche ad una maggiore difficoltà di esportare i beni prodotti localmente; non per nulla gli industriali hanno sempre visto con favore (e questo è un eufemismo) la cosiddetta “svalutazione competitiva”. Quindi le cose sarebbero costate di meno, ma magari saremmo stati tutti licenziati. Ma tutte queste sono chiacchiere: passiamo ai fatti.
Abbiamo avuto negli ultimi anni della lira il governo Berlusconi I (10 maggio 1994 – 17 gennaio 1995) e il governo Prodi (17 maggio 1996 – 9 ottobre 1998), inframmezzati dal governo Dini. Sono andato sul sito dell’Ufficio Cambi per vedere il valore medio della lira in quel periodo: ovviamente non rispetto all’euro che non esisteva ancora, ma rispetto all’ECU, che per i nostri scopi pratici è esattamente la stessa cosa. (Il percorso per chi vuole provarlo per conto suo è Cambi -> Cambi medi -> Serie storica mensile -> da gennaio 1994 a dicembre 1998, valuta ECU, valore in lire). Si può così vedere come nel periodo da maggio 1996 a ottobre 1998 la lira si è effettivamente svalutata ; il cambio medio da 1912.913 è passato a 1946.029, perdendo quasi il 2%. In compenso, però, nel periodo da maggio 1994 a gennaio 1995 il cambio medio è passato da 1850.643 a 1992.399; più del 7% di svalutazione in otto mesi. A dicembre il cambio medio è stato di 1979.909, giusto per evitare discussioni sul fatto che Berlusconi non è stato PresDelCons per tutto il mese di gennaio. Per la cronaca, il picco si è avuto ad aprile 1995 con un cambio medio di 2273.770 lire per un euro, scendendo poi lentamente al valore indicato sopra.
Ora pensateci un po’: secondo voi che avrebbe fatto Silvio al posto di Romano?

Ultimo aggiornamento: 2006-04-07 10:50