Una gita in… val d’Aveto

La Liguria non è solo mare e spiaggia. Occhei, diciamo che non è solo mare, visto che di spiaggia non c’è. Così giovedì 22 agosto ce ne siamo andati a fare una passeggiata in val d’Aveto, per vedere l’Appennino ligure. Siamo così arrivati a Rezzoaglio a velocità ridotta, visto che non è possibile sorpassare in nessun punto della statale, e i due vecchietti nella Panda davanti a noi non solo stavano abbondantemente sotto i sia pur bassi limiti di velocità, ma tendevano anche ad allargare le curve (cieche) a destra: inutile dire che stavo molto attento a rispettare le distanze di sicurezza. Da lì abbiamo preso la deviazione verso Magnasco e il lago delle Lame, dove abbiamo lasciato l’auto per iniziare la nostra passeggiata.
Quello delle Lame è un laghetto di origine glaciale, a 1060 metri di altezza, e segna il confine nordoccidentale del parco regionale dell’Aveto, che arriva fino ai 1701 metri del monte Aiona. Il parco è una “riserva naturale orientata”, il che dovrebbe significare che non si può costruire né modificare l’ambiente. Sicuramente hanno fatto le cose in grande, con due “percorsi didattici autoguidati”: sentieri, ma spesso sono strade sterrate, pensati per le passeggiate dei cittadini come noi. Il PNO (Percorso Naturalistico Orientato) che abbiamo preso, ha cartelli a ogni bivio, e pannelli esplicativi di cosa stavamo guardando. Non è che in realtà si riuscisse a vedere molto: il sentiero è quasi tutto in mezzo al bosco e quindi si vedono generalmente solo alberi. Si aggiunga che le parti più interessanti sono recintate, per evitare contaminazione umana: così ad esempio lo Stagno del Lagastro, che a dire il vero sembrava una semplice distesa di erba spianata. In effetti, i 2550 mq dello stagno contengono acqua solo in primavera, con lo sciogliersi delle nevi; uno deve fidarsi, come deve fidarsi che il primo pezzo di strada sterrata ci aveva fatto salire fino a quota 1330.
Da lì, dopo aver fatto tutto il giro della parte recintata, i cartelli in effetti latitano, e in compenso tutti i massi hanno i due puntoni blu simbolo dell’Alta Via dei monti liguri, che si fa praticamente tutto il Levante ligure[*]. In effetti la nostra cartina, che opportunamente avevamo con noi, diceva che i due percorsi coincidevano per un tratto: quando però abbiamo ritrovato un cartello PNO, l’abbiamo gioiosamente seguito, anche se la nostra idea originaria era di passare al PNX che appunto sarebbe partito da lì ma non era indicato. Io me ne sono accorto solo ben dopo aver passato la Pozza della Polenta – altro stagno teorico, anche se un goccio d’acqua gli arrivava – ed essere arrivati all’altra zona più protetta, quella del Lago delle Agoraie, che non si vede per nulla. Qui ho commesso il mio piu grave errore della giornata, guardando la cartina sul percorso (che era il PNX al rovescio) e dicendo ad Anna: “Beh, invece che tornare per la strada iniziale possiamo prendere questo sentiero qua. Vedi? È facile, fasta seguire la doppia riga gialla!” La tapina mi chiese solo “Ma non ci sono troppi saliscendi?” al che risposi “Bah, solo -scendi, visto che dobbiamo ritornare a quota 1000”. Ci siamo così incamminati. Il primo pezzetto era comodo, probabilmente raggiungibile anche con motocarri o simili perché c’era tutta la legna ordinatamente accatastata a ogni angolo. Dopo aver passato il torrente Rezzoaglio, però, sono iniziati i dolori. Il sentiero era indicato in maniera chiarissima, anzi fin ridondante; però non dev’essere molto usato, e in certi punti sembrava più che altro il corso di un ruscello primaverile. C’era poi uno spesso strato di foglie che non ci faceva capire se il fondo – in discesa, appunto – fosse solido, e il percoso ci è sembrato interminabile, tanto che Anna diceva che saremmo arrivati al paese sotto e avremmo dovuto aspettare la corriera per risalire. Invece, per mia fortuna, alla fine c’era il bivio che cercavo e che ci ha riportati al lago. In tutto un po’ più di due ore e mezzo di camminata, nulla di trascendentale insomma.
Al ritorno, a parte trovarmi dietro uno con la Yaris che era più giovane dei vecchietti in Panda dell’andata ma in compendo prendeva tutte le curve larghe – ma secondo me hanno un radar, perché le rare volte che non l’ha fatto poi ci siamo trovati le auto in senso opposto – siamo passati dall’abbazia di Borzone, visto che io non me la ricordavo più. Se non fosse per l’altare e l’abside barocche che mi sono rifiutato di fotografare, l’abbazia sarebbe meravigliosa. Hanno infatti tolto tutto l’intonaco settecentesco nel resto della chiesa, lasciando i muri al naturale, con la loro struttura a trifore strette riempite, in stile romanico se non addirittura preromanico. C’è questa impressione di solidità e direi quasi di grandiosità che lascia almeno in me una sensazione di pace che è difficile da trovare altrove; con gli anni sarò diventato un romanticone, mi sa.
L’unico inconveniente dei posti è che sono davvero in capo al mondo, da qualunque parte li si voglia raggiungere: peccato, perché è difficile trovare bei sentieri a quote relativamente basse.
[*] e anche il Ponente, mi dicono

Ultimo aggiornamento: 2008-09-06 06:00

Un pensiero su “Una gita in… val d’Aveto

  1. luca

    ci vorrei proprio andare in val d’aveto..ovviamente in bici…conosco un pò le valli dall’altra parte del crinale (Nure e Trebbia): molto molto belle

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