Flessibilità e contributi

Il nostro ministro del Welfare (anzi no, del Lavoro e Previdenza sociale… d’altra parte, checché tanti ne pensino, la lingua ufficiale qui da noi è l’italiano) Cesare Damiano è uscito con una proposta sconcertante: portare al 33 per cento i contributi previdenziali dei lavoratori flessibili, «incentivando così indirettamente i contratti a tempo indeterminato».
Giusto per mettere le cose in chiaro: i lavoratori dipendenti pagano già il 33% del loro stipendio in contributi previdenziali: il 9.19% lo si vede direttamente in busta paga, il resto è silenziosamente messo dall’azienda, e fa parte del famigerato “costo del lavoro”. Ora, è molto bello che dopo un anno abbondante un ministro in carica si sia accorto che è molto più conveniente per un’azienda prendersi un precario e pagare meno contributi, piuttosto che assumere qualcuno e pagarne di più. (Ovviamente nel governo prima questo lo sapevano perfettamente, ma questa è un’altra storia). Però mi stupisce che Damiano sia riuscito a fare 33 ma non 34, anzi 40. Insomma, se si vogliono incentivare le assunzioni allora all’azienda il co.co.pro deve costare di più, non lo stesso di un assunto a tempo indeterminato. Senza contare che la parte in più di contributi potrebbe essere utilizzata come figurativa per i periodi in cui un precario non trova lavoro. Epperò ho come il sospetto che una proposta del genere potrebbe fare cadere davvero il governo…

Ultimo aggiornamento: 2007-09-17 14:46

9 pensieri su “Flessibilità e contributi

  1. gp

    Cose da non credere. Noi diamo il sangue per pagare l’unico dipendente della nostra start-up.

  2. gp

    Eh no, noi siamo bravi e assumiamo :)
    I costi però ci costringono a tenere lo stipendio basso: aggiungi la carenza cronica di sviluppatori, ecco che il costo del lavoro ci impedisce di crescere e produrre nuovi posti di lavoro. Se vogliono incentivare i contratti a tempo indeterminato devono abbassare i costi: mi vergogno a dire una ovvietà simile.

  3. .mau.

    il costo del lavoro è alto soprattutto perché ci sono una serie di “redditi differiti” pagati al dipendente (non solo i contributi pensionistici, ma anche il TFR), oltre naturalmente al fatto che il datore di lavoro sta già pagando le tasse del dipendente. Tagliare questi costi significa trasferire sulla nazione tutta (e quindi sulla fiscalità generale) il costo del mantenimento del lavoratore quando sarà in pensione. La cosa non è un tabù, ma deve essere chiara fin dal principio.
    Oppure non è tanto diverso il punto di vista USA, dove lo stipendio te lo danno tutto e sei tu a pagarti tasse e contributi. A te sembra di avere tanti soldi in più, ma prima o poi scopri che non è vero…

  4. mestesso

    Oggi un consulente (nella azienda dove presto consulenza) costa mediamente quasi quanto un dipendente, ed abbastanza spesso, di più.
    Eh sì, perché per la grande azienda non è un problema di soldi (nel senso che una volta che il budget è deciso, quello è). Il “problema” è che non possono, o non vogliono, fare programmazione a lungo termine.
    Se il prodotto X non mi serve più, io grande azienda voglio togliermi tutti gli oneri associati nel minor tempo possibile. Soluzione: consulenti che mandi via entro un trimestre. Un dipendente per mandarlo via, ci metti 2 anni, grosso modo.
    Non è proprio esatto, almeno nel mio caso, quello che tu dici. Non costano meno (al datore). Prendono molto meno (in “busta paga”, alias fattura).
    Il fatto che si voglia far pagare i contributi come ai dipendenti è sacrosanto: lavorano come i dipendenti, sono subordinati come loro. E che li paghino uguali, allora. Perché di fatto, lo sono!
    In più, li mandi via quando vuoi…e questo onere viene riconosciuto alle aziende di consulenza, che si pappano il delta tra la paga da fame dei consulenti ragazzini e i 300 EUR al giorno che costano all’azienda…

  5. Cima

    Ne parlavano da tempo molti economisti, anche se non ricordo le percentuali.
    Nell’articolo, però, c’è un cenno a “sconti” per i contratti a tempo indeterminato, e in questo modo le cose quadrerebbero, no?

  6. Annarella

    @mestesso il consulente lo mandi via non appena non ne hai piu’ bisogno :) D’altronde non e’ li per stare 20 anni come succedeva un tempo ma per lavorare su un progetto o una ben specifica attivita’.
    All’estero, nei posti dove c’e’ molta flessibilita’ in fase di licenziamento, stanno invece assumendo a raffica perche’ un dipendente costa molte volte di meno di un consulente.
    Da noi e’ diventata una figura a meta’ strada tra il precario ed il dipendente fisso con paradossali situazioni di consulente che stanno per decenni nello stesso posto.
    Cosa che fa malissimo a lui e costa macellate al cliente.

  7. vb

    Mi sembra molto indicativo, il fatto che l’unica manovra che venga in mente a questo governo per raggiungere un qualsivoglia scopo sociale sia aumentare le tasse a qualcuno…

  8. mestesso

    > ma per lavorare su un progetto o una ben specifica attivita’.
    E’ una mezza verità. E’ vero che il consulente lavora a progetto. Ma questo ruolo esiste per coprire la (mancata) flessibilità dei dipendenti. La realtà è molto cruda: esistiamo solo ed esclusivamente perché i dipendenti sono difficili da mandare via!
    I consulenti che lavorano 20 anni nello stesso posto continuano ad esistere, ed esisteranno ancora: perché (se serve) ci si manda via. Altrimenti, veniamo riciclati, perché al piano sopra *pretendono* di avere *per qualsiasi lavoro* il 30-40% di forza lavoro flessibile. Perché non si sa mai, e se serve, ci trombano facile.
    Altrimenti perché dove lavoro io (e tu;)) i consulenti sono al 30-40% della forza lavoro?

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