Benito li avrebbe apprezzati

Quando pensereste possa essere stato pubblicato un articolo intitolato “Persone Down e orientali condividono vari comportamenti e caratteristiche specifiche”? Ai tempi di Lombroso, o magari negli anni ’30? Sbagliato. L’articolo (di cui trovate l’abstract qua è stato “ricevuto il 28 novembre 2006, accettato il 18 dicembre 2006, pubblicato online il 28 febbraio 2007”. Il tutto su Medical Hypotheses; una rivista Elsevier, mica “Medicina in val Brembana”, insomma. Il tutto per le firme di
Federica Mafrica e Vincenzo Fodale, del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Messina (il secondo ha anche un “sito ufficiale”, http://www.fodale.it/ in italiano e http://www.fodale.com/ in inglese, dal quale ho scoperto un suo altro bellissimo articolo: “Viagra, operazioni chirurgiche e anestesia: cocktail pericoloso con rischio di cecità”. Un po’ come quando ti dicevano di non farti le pugnette perché saresti diventato cieco… fine della parentesi).
Leggendo l’abstract (via Bad Science, uno di quei blog da leggere e far leggere a tutti quelli avvezzi a TgCom e Dagospia), quello che mi pare di capire è che la “ricerca” sia nata dalla constatazione che le persone Down hanno gli occhi a mandorla, ed è continuata cercando tutte le possibili caratteristiche “similari”: una metodologia che chiunque abbia studiato un minimo di statistica sa essere completamente fallace, visto che basta scartare tutto quello contro la propria tesi e tenere solo quello a favore. Un ottimo lavoro, che ci fa sentire fieri di essere italiani.

Ultimo aggiornamento: 2007-09-05 10:33

12 pensieri su “Benito li avrebbe apprezzati

  1. mestesso

    Dunque, il tuo assunto è “se lo pubblica elsevier vuol dire che è roba buona”.
    Il mercato delle riviste scientifiche, no non parlo di Focus, parlo di quelle destinate al mercato “universitario” è assai variegato ed amplissimo (alias: migliaia di riviste diverse).
    La qualità media è molto, ma molto, variabile. Tutto questo è riconosciuto dalla stessa accademia, tanto da definire il Citation Index per “far venir fuori” le riviste che pubblicano i risultati più affidabili.
    Se si fa un sort del CI/articoli, viene fuori che i 3/4 degli articoli pubblicati “affidabili” vengono pubblicati da 1/100 delle riviste disponibili.
    Come dire, che le altre sono spesso, robaccia.
    Non dimentichiamo che anche all’estero, non solo in Italia, c’è il problema “publish or perish” e le riviste più sgrause esistono solamente per far sopravvivere ricercatori in posti meno qualificati di altri. E che all’estero non tutto è più bello che qua ;).

  2. .mau.

    Dunque, il tuo assunto è “se lo pubblica elsevier vuol dire che è roba buona”.
    No, quello è il tuo assunto di quello che sia il mio assunto. L’altra settimana avevo giusto parlato del mercato delle riviste scientifiche, tra l’altro :-)
    Il punto è il rovescio: se l’articolo non fosse stato pubblicato su una rivista scientifica, uno se ne sarebbe fatto una ragione a priori.

  3. dario

    In una vita precedente, mi occupavo di scienza (ehm… di scienza-scienza, non di medicina) e di riviste ne ho viste passare parecchie.
    Come rileva il primo commentatore su Bad Science (BS – appropriato), la rivista in questione non è soggetta a peer review (si vede anche sul sito di Elsevier). Magari i ricercatori messinesi la usano per contrabbandare qualche lavoro in più nel curriculum?
    (Non che la peer review sia il migliore dei sistemi possibili, ma direi che per ora è il migliore che abbiamo. Per un’analisi approfondita dei pregi e difetti della peer review, ti raccomdando – se già non lo conosci – “Le Bugie della Scienza”, di Piergiorgio Odifreddi. Prima di mettersi a fare l’opinionista, ha scritto anche cose interessanti).

  4. Fabio Forno

    Io faccio sempre la parte del non politically correct, quindi non posso esimermi ;) Tutte giuste le osservazioni sulle riviste e sulla loro qualità (essendoci dovuto passare anch’io posso dire che ora sono contento di non *dover* pubblicare per dimostare di fare bene il mio lavoro, perché vedi di quelle cose…), ma ho un dubbio di fondo: avendolo appena letto io sono molto più preoccupato per la faciloneria dell’analisi che per il presunto razzismo. Di per sé se ci fossero dei legami tra trisomia 21 e certi tratti asiatici non ci vedrei nulla di male: magari si può imparare qualcosa per trattare meglio la trisomia o curare delle malattie genetiche che incidono di più in Asia. Per dirla più direttamente: credo anch’io che ci sia un fondo razzista, ma solo perché ho letto le conlusioni dell’articolo; quanti sono invece che si scandalizzano solo leggendo il titolo? Una buona scienza non dovrebbe cadere in pregiudizi di nessun tipo, neppure se questi sono dettati dal politically correct, altrimenti si tratta solo di ipocrisia

  5. mestesso

    Allora non trovo molto coerente dire “una rivista Elsevier, mica “Medicina in val Brembana””.
    Così facendo, dai implicitamente valore ad una rivista che non ne ha. Anzi, l’hai implicitamente definita come rivista scientifica (che non è, visto che non ha le garanzie minime per esserlo).
    Cmq una tristezza sia la rivista che il tipo di Messina…chissà cosa insegna agli studenti :(

  6. .mau.

    continui ad avere problemi in logica, mi sa.
    Io dico che l’editore di Medicina in Val Brembana non è un editore scientifico, quindi i suoi articoli non sono scientifici. (esattamente come non sono scientifici i miei articoli sul blog :-) )
    In logica, (NOT A → NOT B) equivale a (B → A), non ad (A → B).

  7. Typesetter

    Aspetta, provo a riformulare in maniera meno sintetica e vediamo se ci siamo capiti. Elsevier è una casa editrice prestigiosa nel campo dell’editoria scientifica. Il prestigio edioriale si conquista non solo ma soprattutto con una grande cura nello scegliere accuratamente gli articoli per la pubblicazione. Questo fa sì che il materiale prodotto dalla casa editrice giustifichi il suo alto grado di prestigio. Se una casa editrice di prestigio pubblica (pardòn) minkiate, il suo prestigio ci rimette.
    Ok, adesso contesto. Una casa editrice di tipo scientifico è comunque un’impresa capitalistica, che punta al soldo. Per puntare al soldo è comunque disposta anche a bassezze varie ed assortite (proprio in quanto capitalistica). Le case editrici guadagnano in due modi: il primo è vendendo pubblicazioni di qualità che il pubblico compra. Il secondo è producendo pubblicazioni di infima qualità su cui gli autori pagano per pubblicare un po’ quello che vogliono. Gli autori pagano per pubblicare o perché hanno bisogno di “fare numero di pubblicazioni” a scopo carrieristico (soprattutto in Italia) o perché sono degli esaltati e si credono dei geni. A volte tutte e due le opzioni insieme. Siccome nel malcostume della lettura escolusiva della bibliografia non si va MAI a consultare la pubblicazione né il suo abstract ma solo la casa editrice, più è prestigiosa questa più fai scena. Naturalmente, le case editrici si parano il culo pubblicando i testi a pagamento su riviste o in collane a parte, che poi non vengono messe in commercio.

  8. mestesso

    Scusa, ho sempre avuto problemi con la logica negata , per me NOT(a) -> NOT(b) HARDER THAN a -> b :).
    Parentesi: ma hai letto i titoli degli altri articoli sulla rivista? Sono tutti abbastanza inquietanti.

  9. Corax

    Oltretutto (scusate se esulo dal discorso riviste scientifiche) proprio Down, nello studiare la malattia, parlava di “mongoloidismo” basandosi su aspetti morfologici del volto.
    Insomma: brutte figure, e con 150 anni di ritardo.

  10. messina

    non ho letto l’articolo ma solo i commenti che ha scatenato.Conosco sia il prof. fodale che la dr.ssa mafrica e posso assicurare che non sono razzisti. la sorella o il fratello della dr.ssa mafrica è down !

  11. .mau.

    bene, quindi resterebbe soltanto il fatto che l’articolo (che ho letto tutto, giusto per la cronaca) comprende semplicemente una serie di osservazioni qualitative senza nemmeno un tentativo di un’analisi scientifica quantitativa.
    Sono felice per il mancato razzismo, ma non certo per l’avanzamento scientifico.

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