La domenica mattina è iniziata con una colazione di gruppo – a un’ora relativamente civile, ma giusto perché con il passaggio all’ora solare si sono guadagnati sessanta minuti di sonno – e una foschia che non valeva nemmeno la pena considerare. Ci siamo così diretti a Palazzo Te per recuperare i biglietti prenotati per la mostra, di cui parlo in separata sede. Mentre aspettavamo il nostro turno di ingresso, si parlava di portachiavi e loro contenuto: Cristina tira fuori un mazzo che nemmeno san Pietro, con un lucchetto di quelli a combinazione che ci spiega di avere trovato per strada; se l’è tenuto perché le piaceva, anche se non sa assolutamente quale sia la combinazione per usarlo. Dov’è il problema? faccio io. Basta mettersi a provare tutte le combinazioni: un lavoretto metodico di un quarto d’ora o poco più. Naturalmente mi ero dimenticato della legge di Murphy: ho dovuto provare praticamente tutte le combinazioni prima di trovare quella giusta.
Finito il giro al palazzo, visto che il nostro biglietto comprendeva anche la visita al museo civico di san Sebastiano siamo passati a vedere anche quello, sul quale non è che abbia chissà cosa da dire. È pur vero che nonostante tutto sono uscito buon ultimo, tanto che l’impiegato all’ingresso mi fa “ah, lei è quello alto! i suoi amici hanno detto che l’aspettano alla pizzeria qui dall’altra parte della strada”. Altro che sindrome di Stendhal, qua! Quello che conta è il pranzo…
Terminato di mangiare, ci siamo diretti verso la casa del Mantegna, ma ci siamo subito fermati al Tempio di san Sebastiano, dove parecchi di noi hanno commesso l’errore di pagare due euro e mezzo per andare a vedere l’interno. Siamo infatti stati così fortunati da avere beccato l’ultimo giorno di una mostra… sul nulla. Sulle pareri erano infatti appese delle riproduzioni a grandezza naturale dei dipinti mantegneschi sui trionfi di Cesare – che a quanto pare fanno parte del tesoro della regina d’Inghilterra e per legge non possono lasciare il suolo britannico – e in mezzo veniva proiettato un video in cui Dario Fo, all’inaugurazione della mostra, spiegava le allegorie presenti nei vari quadri. Sarà stata la pizza alla salsiccia e uovo, ma ammetto di essermi abbioccato un attimo, anche se ero ben sveglio quando la bigliettaia-factotum ha provato a dire “beh, visto che è arrivata dell’altra gente, non avete problemi se rimetto il video dall’inizio, vero?” Lascio immaginare quale sia stata la nostra risposta.
Essendoci alla fine scocciati di spendere soldi in cultura, abbiamo soprasseduto all’ingresso nella casa del Mantegna e siamo tornati in centro… a comprare il latte. In piazza Sordello hanno infatti messo un distributore automatico di latte fresco “appena munto”, che sembra riscuotere un successo straordinario tra i turisti. Il latte costa un euro al litro, piu 20 centesimi se uno non si è portato dietro la bottiglia di plastica e se la deve procurare. A dire il vero, mentre sabato non c’era nessuno stavolta dovevano avere appena fatto il pieno, e c’era quello che immagino sia il proprietario che spiegava la rava e la fava ai tanti presenti, dall’alto del suo baffo d’ordinanza. Visto che lì davanti c’era anche un pastificio, la parte femminile della nostra comitiva si è fermata anche là a comprare tortellini e sbrisolone…
Finalmente siamo riusciti a metterci in viaggio verso casa, con solamente un’ora di coda tra Grumello e Trezzo, coda assolutamente negletta da Isoradio che continuava a comunicarci di rallentamenti intorno a Desenzano. I rallentamenti in effetti c’erano stati, ma erano nulla rispetto al resto. Siamo rimasti a chiederci se a Isoradio lo facciano apposta, oppure ritengano che tanto i casini in quel tratto siano il default e quindi non valga neppure la pena accennarne… a voi la sentenza!
Ultimo aggiornamento: 2006-10-31 12:51
Un pastificio? Era per caso un posto piccoletto sotto il “voltone” che collega piazza Sordello con piazza delle Erbe? Lì hanno la srisolona buona (e nche la torta di tagliatelle). Ma il meglio per me è Freddi, davanti al Teatro Sociale. Freddi fa anche il pane più buono di Mantova.
Era tra piazza Sordello e piazza delle Erbe, ma non sotto il voltone. Non chiedermi il nome, ho solo mangiato i tortellini comprati là :-)
Se è quello (e lo è: ce n’è uno solo!), non ha nome. È noto come “al vultun”. E quelli mantovani sono caplét, non tortellini! ^_^ La differenza sta nel ripieno ma anche enlla forma, che a prima vitsa è la stessa, ma non lo è (i caplét non hanno il buco e hanno i “pizzi” più lunghi). Se vuoi ti insegno a farli, che risparmi la prossima volta che hai voglia. (Ma li hai fatti bolliti nel brodo buono e poi sorbiti con un mezzo bicchiere di lambrusco aggoiunto al brodo, vero?!)
per me i cappelletti li facevano a Torino… e no, non sono stati fatti secondo i crismi. Perlomeno non avevano panna :-)
La panna non eiste e i cappelletti o anolini si mangaino SOLO in brodo!