Belpoliti, accenti e apostrofi

Pur essendo d’accordo con la tesi che Marco Belpoliti sostiene nel suo articolo di oggi – la scrittura è la forma stessa della nostra comunicazione visiva – non concordo sulla ragione per cui sta sparendo la distinzione tra accento e apostrofo nella “letteratura grigia” dei testi stampati al calcolatore.
In effetti, oggi la maggior parte dei PC che si acquistano posseggono regolarmente le lettere accentate, costringendomi a ricordare a memoria la posizione dei simboli della tastiera USA che mi serve per lavoro, ma rendendo banale scrivere “cioè”, “perché”, e così via.
I guai dell’ASCII sono molto peggiori. Sono nati con la volontà di limitarsi a 128 segni diversi “che tanto sarebbero bastati”, si mischiano ai “codici estesi” di microsoftiana tristezza, e al proliferare di standard (solo per le lingue occidentali abbiamo ISO-8859-1, ISO-8859-15 per avere il glifo dell’euro, UTF-8 che fa fine e non impegna…) Non per niente nell’ambiente informatico circola la battuta “il bello degli standard è che ce ne sono tanti tra cui scegliere”…
In pratica, non è affatto detto che tutti riescano a leggere un testo con le lettere accentate, e quindi si preferisce usare l’apostrofo, salvo i pazzoidi come me che usano l’accento “`” tanto per visualizzare il segno in maniera diversa. Si perde comunque la differenza tra “cioe`” e “perche`”, ma non si può avere tutto dalla vita.

Ultimo aggiornamento: 2002-10-31 18:53