il Tar del Lazio

Non è che il ministro della Cultura Franceschini stia brillando. Per esempio, stiamo ancora aspettando una circolare interpretativa che riprenda il testo della circolare interpretativa di vent’anni fa, la quale permetteva di fotografare i monumenti sulla pubblica strada una volta che il copyright degli artisti è scaduto. Però bisogna dire che una cosa bella l’aveva fatta: aprire i concorsi per i grandi musei agli stranieri.
Ma non ci crederete! Il Tar del Lazio ha annullato questi concorsi, cominciando ad affermare che i criteri da cui erano scaturite le terne dei candidati erano “magmatici” (evidentemente non hanno mai visto un concorso universitario), che alcuni colloqui siano stati fatti via Skype perché i candidati erano dall’altra parte del pianeta, ma soprattutto perché «Il bando “non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani”, perché nessuna norma derogatoria consente al ministero di reclutare dirigenti pubblici Oltralpe.». Qualcuno lo va a dire a Bruxelles, per favore?

11 pensieri su “il Tar del Lazio

  1. un cattolico

    Insomma non solo devono cambiare la legge per consentire la partecipazione ai concorsi a dirigenti esteri (e questo ci sta), ma devono anche evitare le porte chiuse negli orali (e questo lo sanno anche i sassi!), oltre che definire meglio i parametri di giudizio per l’assegnazione dei punteggi (ma su questo hai ragione: nell’università si vede sicuramente regolarmente di peggio, con veri e propri concorsi ad personam).

    Com’è possibile che abbiano avuto la tracotanza di fare gli orali privati ad alcuni candidati? Che risposta ti dai?

  2. un cattolico

    Ti riporto i punti 23, 24 e 25 della sentenza 6171/2017 (la più estesa delle due) che chiariscono i tre concetti chiave per l’accoglimento del ricorso:

    23. – Colgono invece nel segno il penultimo motivo di censura e i profili ad esso riconducibili, “spalmati” sugli altri motivi di doglianza dedotti con il mezzo di impugnazione, attraverso i quali la ricorrente contesta lo svolgimento del colloquio e il metodo di valutazione dei candidati, nel corso di tale prova, da parte della commissione di valutazione.

    Si legge nel verbale conclusivo dei lavori della commissione approvato in via telematica il 29 luglio 2015 che:

    – la commissione decise di suddividere in tre classi di giudizio la valutazione dei candidati ammessi al colloquio, assegnando la valutazione contraddistinta con la lettera “A” ai candidati meritevoli di un punteggio tra 15 e 20 punti, con la lettera “B” ai candidati meritevoli di un punteggio tra 11 e 14 punti e con la lettera “C” ai candidati meritevoli di un punteggio di 10 punti;

    – i candidati meritevoli della lettera “A” sarebbero stati “i tre candidati risultati più idonei, rispetto agli altri, per dirigere un determinato istituto”, quelli meritevoli della lettera “B” i candidati che “non individuati nella terna, presentino, con riferimento alle specifiche caratteristiche del museo oggetto di domanda, ottime capacità gestionali e comprovata qualificazione professionale”, quelli meritevoli della lettera “C” gli “altri candidati che, con riferimento alle specifiche caratteristiche del museo oggetto di domanda e ai criteri indicati nel decreto ministeriale 7 gennaio 2015, risultino relativamente meno idonei per svolgere l’incarico di direttore di un determinato istituto”;

    – all’esito del colloquio dei candidati inseriti nelle “decine”, “la Commissione ha ritenuto i tre nominativi indicati per ogni struttura come i candidati più idonei a ricoprire l’incarico rispetto agli altri, con particolare riguardo alla specifica esperienza in relazione a ciascun istituto, nonché alla comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e nella gestione dei musei”;

    – inoltre la commissione precisava che “la terna esprime semplicemente la candidabilità di grado più elevato alla direzione del Museo, offerta al Ministro o al Direttore generale, sostenuta da motivazioni che offrano elementi di giudizio arricchiti rispetto a quelli già forniti con la valutazione dei titoli”.

    Come è noto, in punto di diritto, il voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove scritte od orali di un concorso pubblico o di un esame esprime e sintetizza il giudizio tecnico-discrezionale della commissione stessa, contenendo in sé la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni o chiarimenti, e ciò in quanto la motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla commissione nell’àmbito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato, sempreché siano stati puntualmente predeterminati dalla commissione esaminatrice i criteri in base ai quali essa procederà alla valutazione delle prove (cfr., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 22 dicembre 2014 n. 6306).

    Ed infatti, più specificamente, tale punteggio, già nella varietà della graduazione con la quale si manifesta, esterna una sintetica valutazione che si traduce in un giudizio di sufficienza o di insufficienza, a sua volta variamente graduato a seconda del parametro numerico attribuito al candidato, che non solo stabilisce se quest’ultimo ha superato o meno la soglia necessaria per accedere alla fase successiva del procedimento valutativo, ma dà anche conto della misura dell’apprezzamento riservato dalla commissione esaminatrice all’elaborato e, quindi, del grado di idoneità o inidoneità riscontrato (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 novembre 2015 n. 5407).

    Nel caso di specie tuttavia la magmatica riconduzione, dei 20 punti di massima assegnazione ai candidati della “decina” ammessi al colloquio con la commissione, a tre sottosettori contraddistinti con le prime lettere dell’alfabeto, idonei a cumulare i punteggi fino a 10, da 11 a 14 e da 15 a 20, non consente di comprendere il reale punteggio attribuito a ciascun candidato, anche in ordine al criterio di graduazione di ogni singolo punto dei 20 da assegnare all’andamento della prova orale, a conclusione del colloquio sostenuto.

    Ed infatti, in punto di fatto ed a leggere la documentazione prodotta in atti e nella quale sono state cristallizzate le operazioni selettive, nella specie si è creata una situazione in virtù della quale, rispetto alla odierna ricorrente, alcuni candidati che avevano conseguito punteggi identici o inferiori a quest’ultima nella verifica dei titoli che aveva dato luogo alla formazione della “decina”, sono stati ammessi all’ultima fase di valutazione e quindi nella “terna”: così è accaduto ai candidati Andreina Conte e Stefano L’Occaso, per il posto di direttore al Palazzo ducale di Mantova, entrati nella terna nonostante avessero conseguito per i titoli una valutazione inferiore rispetto alla ricorrente di 1 punto ed al candidato Marco Pierini, entrato nella terna per il posto di direttore della Galleria estense di Modena nonostante avesse conseguito per i titoli lo stesso punteggio della ricorrente.

    Lo scarto minimo dei punteggi tra i candidati meritava dunque una più puntuale e più incisiva manifestazione espressa di giudizio da parte della commissione nella valutazione dei colloqui e nell’attribuzione dei relativi punteggi, piuttosto che motivazioni criptiche ed involute, come possono considerarsi quelle più sopra trascritte, proprio perché l’ingresso nella “terna”, per come si è poi dimostrato nei fatti, era condizionato anche da un apprezzamento minimo della commissione in favore dell’uno o dell’altro concorrente, tanto da imporsi, in questo caso e stante la specificità del meccanismo prescelto per la formazione della “terna”, una puntuale ed analitica giustificazione in ordine all’assegnazione di ciascun punto con riferimento ai dieci candidati ammessi al colloquio.

    Tali riflessioni, accompagnate dalla oscura circostanza che l’accorpamento con suddivisione in tre sottoclassi del punteggio previsto per il colloquio dei candidati ammessi alla “decina” è avvenuto ben dopo la individuazione, da parte della commissione di valutazione, dei criteri di assegnazione dei punteggi per le singole voci valutative nelle quali ripartire i 100 punti a disposizione: infatti, mentre (come si è già più volte ricordato) il meccanismo di assegnazione dei punteggi ai titoli presentati dai candidati è stato definito nella seduta della commissione tenutasi il 5 maggio 2015, i criteri di distribuzione dei 20 punti (al massimo), da assegnare nel corso dei colloqui a coloro che erano stati selezionati per avere ingresso nella “decina”, sono stati definiti nella seduta dell’11 luglio 2015 quando già erano noti i nomi dei candidati scrutinandi nell’ambito del colloquio.

    24. – Inoltre coglie nel segno il profilo di censura, sottolineato dalla odierna parte ricorrente, anche a rafforzare la sostenuta illegittimità dello svolgimento della c.d. prova orale, la circostanza che quest’ultima sia avvenuta “a porte chiuse”.

    Nel verbale delle operazioni di concorso nulla si dice sullo svolgimento della prova in forma pubblica, anzi se ne dovrebbe dedurre il contrario visto che alcuni candidati sono stati ammessi a sostenere detta prova “da remoto”, attraverso l’uso della modalità comunicativa Skype (Stefano Carboni e Flaminia Gennari Santori, risiedendo rispettivamente in Australia e negli Stati Uniti d’America) [Nota di un cattolico: interessante! Quindi i vincitori non sono coloro che sono stati colloquiati su Skype!], senza che sia stato verbalizzato nulla circa la presenza di uditori estranei ai membri della commissione durante lo svolgimento del colloquio. Né l’Avvocatura erariale sul punto ha contestato le prospettazioni di parte ricorrente.

    Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, al fine di assicurare il rispetto dei principi di trasparenza e parità di trattamento tra i candidati di una selezione pubblica (sintetizzato peraltro nell’art. 12 del D.P.R 9 maggio 1994, n. 487 costituente disposizione di portata generale per l’espletamento dei concorsi pubblici) occorre che durante le prove orali sia assicurato il libero ingresso al locale, ove esse si tengono, a chiunque voglia assistervi e, quindi, non soltanto a terzi estranei, ma anche e soprattutto ai candidati, sia che abbiano già sostenuto il colloquio, sia che non vi siano stati ancora sottoposti, atteso che ciascun candidato è titolare di un interesse qualificato a presenziare alle prove degli altri candidati, al fine di verificare di persona il corretto operare della commissione (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2015 n. 1626, nonché T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, 7 dicembre 2016 n. 543 e T.A.R. Toscana, Sez. I, 5 maggio 2016 n. 805).

    Anche tale prospetto impugnativo è dunque fondato, tenuto altresì conto dell’assenza di motivazione specifica, con riferimento a ciascun candidato scrutinato, circa la collocabilità della prova orale sostenuta nelle tre sottocategorie di valutazione A, B o C.

    25. – Resta da ultimo da scrutinare la censura sulla base della quale la ricorrente ha contestato l’ammissione, sia al colloquio nella “decina” che all’ultima fase di valutazione nella “terna”, di candidati che non siano cittadini italiani.

    La censura, a differenza di quanto sostiene la difesa erariale è ammissibile, in quanto taluni dei candidati non cittadini italiani hanno conteso alla ricorrente, partecipando al colloquio, la possibilità di ingresso alla “terna” di concorrenti ammessi alla valutazione finale.

    In argomento si è già detto al punto 5 della presente decisione, rammentando come le disposizioni speciali introdotte dall’art. 14, comma 2-bis, del d.l. 84/2014, convertito in l. 106/2014, non si sono spinte fino a modificare o derogare l’art. 38 d.lgs. 165/2001. Infatti, solo tale operazione avrebbe potuto consentire, in disparte ogni valutazione di compatibilità costituzionale, l’ammissibilità di cittadini non italiani di partecipare alle selezioni per l’assegnazione di un incarico di funzioni dirigenziali in una struttura amministrativa nel nostro Paese (posto che l’incarico in questione è caratterizzato – per quanto si è più sopra approfondito e verificato con riferimento al contenuto della lex specialis di concorso – proprio dall’esercizio di tali funzioni dirigenziali, peraltro puntualmente ed inequivocabilmente esemplificate nell’art. 1, comma 2, del bando).

    Deve quindi affermarsi che il bando della selezione qui oggetto di contenzioso non poteva ammettere la partecipazione al concorso di cittadini non italiani in quanto nessuna norma derogatoria consentiva al MIBACT di reclutare dirigenti pubblici al di fuori delle indicazioni, tassative, espresse dall’art. 38 d.lgs. 165/2001.

    D’altra parte, il chiaro tenore letterale della stessa disposizione speciale di cui all’art. 14, comma 2-bis, qui più volte citata, come appare evidente dal semplice confronto tra il primo ed il secondo periodo, non consente diverse interpretazioni.

    Il carattere “internazionale” è previsto dal primo periodo solo in relazione agli “standard” che devono essere perseguiti dal MIBACT in materia di musei (nell’esercizio della relativa potestà regolamentare a tal fine espressamente attribuitagli dalla norma stessa), ma non anche in relazione alle “procedure di selezione pubblica”, previste dal secondo periodo per il conferimento degli incarichi di direzione dei poli museali e degli istituti di cultura statali di rilevante interesse nazionale.

    Il perseguimento di tali obiettivi deve dunque essere realizzato con procedure di selezione pubblica che non sono “internazionali”. Se infatti il legislatore avesse voluto estendere la platea degli aspiranti alla posizione dirigenziale in esame ricomprendendo anche cittadini non italiani lo avrebbe detto chiaramente, per come è dimostrato dal chiaro tenore di cui al primo periodo della citata previsione.

    Il perseguimento degli “standard internazionali”, secondo le chiare intenzioni del legislatore (che non possono essere derogate dalla normativa sottordinata), si ottiene evidentemente migliorando gli aspetti sostanziali e contenutistici dell’offerta museale italiana, appunto rapportandola e adeguandola agli analoghi servizi offerti dai migliori istituti di altri Paesi (in termini, ad esempio, di ampia fruibilità anche nei giorni festivi o nelle ore serali, di efficienza e rapidità di accesso da parte della platea dei visitatori, di miglioramento del rapporto costi/ricavi, di adeguamento delle strutture e delle risorse umane, ecc.), non certamente con interventi formali e di immagine.

    Ciò che invece è coerente con le finalità delineate dal legislatore è il carattere “internazionale” dell’esperienza maturata dal cittadino all’estero e che giustamente è stata valorizzata nell’odierna procedura concorsuale (si veda sul punto il contenuto dell’art. 2 del bando).

    1. .mau. Autore articolo

      Vediamo. Il punto 23 dice che erano stati fatti dei raggruppamenti dopo gli scritti ma con i colloqui i raggruppamenti sono cambiati. Questo mi pare significhi che sono comunque stati dati dei punteggi anche per i colloqui, no? Il 24 non dice che i colloqui sono stati tenuti a porte chiuse, ma che nel verbale non è stato scritto che c’erano altre persone. Onestamente, non ricordo se l’indicare gli uditori preenti sia un obbligo nei concorsi. Resta il 25, su cui non posso dire nulla per mancata conoscenza di tutta la legislazione, e lì si andrà in punta di diritto. Occorre per esempio vedere se il bando di concorso prevedeva esplicitamente la possibilità di candidarsi per cittadini non italiani; se lo faceva, e nessuno aveva presentato domanda di sospensiva prima o almeno quando la lista dei candidati era pronta, potrebbe essere difficile fare passare anche al Consiglio di Stato la tesi del Tar.

      1. un cattolico

        I punteggi per i colloqui sono stati dati tardivamente il punto li dice espressamente.

        Quanto alle porte chiuse: lo stesso fatto che “[n]é l’Avvocatura erariale sul punto ha contestato le prospettazioni di parte ricorrente” lascia ragionevolmente presupporre che il monitor lo stessero guardando solo i membri giudicanti, e nessun estraneo (men che meno candidati). Altrimenti vuoi che non contestava l’Avvocatura?

  3. uzzi

    io ho avuto una zia (defunta nel 2009) che era passata a fare il direttore amministrativo di Brera con le vecchie leggi di Veltroni per colmare uno spazio vuoto.. almeno nel 1998 quelli delle direzioni dei musei erano posti da 2000 euro al mese (per parlare di una cifra concreta e senza giudizi) che molti non volevano per le responsabilità e venivano riempiti da persone in “comando” da altre amministrazioni – mia zia era quadro della Regione Lombardia. la soluzione dei direttori non era male.. magari un tedesco che è veramente formato per fare il direttore del museo e a cui vanno bene i 2000 euro al mese è meglio di un italiano che si interroga se la paga sia giusta (devo dire che c’erano questioni come impiegati che avevano anche le armi come guardie giurate e.. giuravano di sparare al direttore perché non erano state messe a posto certe loro vertenze con l’amministrazione), che cosa voglia dire avere magari tempo per consulenze etc.. magari il direttore straniero risolve ‘sti problemi. Non lo so. Ma mi sembra un terreno dove fanno un sacco di cavolate anche i politici di sinistra e non solo il tar. (anche se effettivamente pare una gara a fare più cavolate).

  4. Pensieri Oziosi

    Putroppo qui ci troviamo di fronte a due grossi problemi del sistema Italia:

    1. Il bizantinismo di regole, codici e codicilli.
    2. I tempi grottescamente lunghi della giustizia amministrativa.

    I direttori la cui nomina nell’agosto 2015 è stata annullata dal TAR sono al lavoro da almeno un anno e mezzo ed il lavoro iniziato corre il rischio di venire vanificato. Tempo che si esauriscano i ricorsi potrebbero passare in tutto quattro anni dalle nomine.

  5. Giuseppe

    @mau: ci sono eccezioni alle regole europee di non discriminare in base alla nazionalità. Ad esempio: forze armate e pubblica sicurezza; posizioni di rilievo di sicurezza nazionale; nonché posizioni dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni. Questo è fondamentalmente il motivo per cui l’Italia (ed altri paesi) possono avere leggi che prevedono solo italiani per certe posizioni (cf. art. 38 d.lgs. 165/2001).

    Ora, ovviamente, si poteva fare una legge ad-hoc che derogasse l’articolo in questione in merito ai direttori di museo, e quindi poi procedere con le assunzioni internazionali. Ma l’iter di una legge è lungo e palloso; vuoi mettere il piacere di fare una porcata, avere un TAR che _applica la legge vigente_ e dichiara quelle nomine illegittime, e poi prendersela coi TAR perché sono il freno dell’Italia?

    1. .mau. Autore articolo

      @giuseppe: tu sopravvaluti le capacità del governo (di un qualunque governo italiano).

      1. Marco Antoniotti

        Soprattutto di Ministri come Franceschini che la norma del 2001 l’avevano controfirmata.

          1. un cattolico

            Dubito che Franceschini abbia anche solo lontanamente letto il bando di gara… quindi a prescindere dalla sua memoria non è direttamente colpevole.

            Ciò non toglie che tra i suoi collaboratori ci sono parecchi colpevoli e che si è ministri anche perché si paga al posto dei propri collaboratori (mica solo i meriti vanno al ministro!).

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