Martedì 25 novembre

Anna ha perfettamente ragione sulla poca utilità del letto in formato queensize. Stanotte, anche perché il termosifone era elettrico e non l'avevamo lasciato acceso, siamo rimasti a dormire uno stretto all'altra.

La partenza oggi era a un'ora finalmente civile: l'appuntamento era infatti alle 8:55, anche se poi - visto che noi eravamo in orario - il bus è arrivato con un quarto d'ora di ritardo. In compenso, vedendo che il nostro bus era in realtà diretto a Nelson, finalmente ho capito come funzionano le cose. In pratica ci sono queste società che fanno servizio bus più o meno come da noi, ma sanno che nelle loro linee ci sono punti turistici e quindi tengono conto delle pause per permettere ai passeggeri di dare un'occhiata. Oggi non c'erano molti punti scenici, e quindi le pause sono solo state nei luoghi dove si poteva mangiare oppure comprare qualche souvenir. In compenso l'autista è molto preciso: "partiremo da qui alle 10:10, cioè tra 19 minuti". Il chiaccherone di ieri si è seduto vicino a noi, speriamo bene.

Il viaggio, come detto, non è stato ricco di eventi. Abbiamo superato un tour di ciclisti, sparpagliati nella strada ciascuno con la bandierina laterale per indicare l'ingombro e preceduti dal pulmino dell'organizzazione. Degna di nota la casetta dove al posto del cane nel giardino faceva bella mostra di sé... una pecora, usata immaginiamo come tosaerba, visto che non ci pare sia un animale così da compagnia.
Ripartiti da una delle nostre soste, il tipo logorroico si volta verso di noi e ci chiede se per caso siamo italiani. Alla nostra risposta affermativa, ci dice di essere un italoamericano, e che la sua famiglia è originaria di San Benedetto del Tronto. In questo modo abbiamo anche risolto il piccolo mistero dell'altro cognome italiano presente nella lista dei passeggeri. Anna si è lamentata di come gli ho risposto gelidamente: garantisco che non è stato per cattiveria, ma per puro istinto di sopravvivenza, pensando alle ore future.

Mentre arriviamo a Greymouth che è la nostra fermata, noto che l'autista parla alla radio e poi fa un discorso chiedendo se qualcuno avesse delle coincidenze di aerei a Christchurch. Non ci faccio troppo caso. Mi inquieto un po' di più quando non vedo il treno fermo alla stazione: la mia idea è che doveva essere lì ad aspettarci. Entriamo a far la coda per il biglietto, e quando è il nostro turno l'impiegata ci investe con un torrente di parole incomprensibili. Dopo che all'unisono io e Anna le abbiamo fatto cenno di ripetere con più calma, ci spiega che oggi il Tranzalpine è parecchio in ritardo e quindi abbiamo due opzioni: prendere un bus che ci porti all'Arthur Pass, dove un treno ci avrebbe fatto fare la seconda parte del percorso arrivando più o meno in orario, oppure aspettare con calma e trovarci di nuovo in stazione alle 15 per prendere il treno "giusto" che a questo punto ce l'avrebbe finalmente fatta ad arrivare. Come dire, sembra quasi di avere a che fare con Trenitalia!
Non avendo niente di urgente da fare, scegliamo la seconda ipotesi e lasciamo le'nostre valigie in stile aereo, con tanto di nastro trasportatore ed etichetta. Fatti due passi per la metropoli di Greymouth, ci fermiamo per un veloce pranzo al Jone's Bar and Cafe, che a dire il vero stava per chiudere essendo già quasi le 14. Il sandwichione al salmone era però buono. Torniamo in stazione per scoprire che, sempre in stile italiano, il ritardo era stato sottostimato di un bel po'. Il treno è infatti arrivato alle 15:20, ma è immediatamente ripartito "per le pulizie", non senza che prima vedessimo girare i sedili della nostra carrozza nella direzione di marcia (no, non è un'usanza sconosciuta in Italia. Mi è capitato una volta di prendere una carrozza con poltrone sleeperette che potevano appunto essere girate nella direzione di viaggio), e la partenza è stata alle 16:20, non senza che fosse intanto passato un treno merci che portava forse granaglie: insomma, la linea non è proprio solamente turistica. Ad avere saputo quanta era l'attesa, forse avremmo preso anche noi il bus fino ad Arthur Pass.

La partenza non è stata a razzo. Occorre innanzitutto tenere presente che lo scartamento dei binari è davvero ridotto, direi addirittura inferiore a quello di un tram qui in Italia. Questo porta ovviamente ad avere una certa quale instabilità, che si traduce nell'avere molti scossoni. Inoltre, il treno è comunque scenico, quindi bisogna lasciare la possibilità di scattare delle foto magari nell'ultimo vagone, che è aperto e mi ha fatto venire in mente le ferrovie del Far West. Infine ci sono una quantità di passaggi a livello incustoditi e senza sbarre, e se va male anche senza segnalazioni luminose. Insomma, non credo si superino mai i 70 Km/h.
Naturalmente non ci sono in questo caso "marchette caffè", anche perché molte delle "stazioni" non sono niente altro che una specie di capanno degli attrezzi con dipinto sopra il nome. L'unica eccezione, subito dopo avere passato l'Otira tunnel con i suoi otto chilometri e mezzo di galleria, è Arthur Pass, che sembra quasi un centro smistamento di fama internazionale con una serie infinita di binari... vabbé, almeno sei o sette. Qui il treno si è fermato per una decina di minuti, per farci ammirare l'altipiano e notare come abbiamo passato lo spartiacque e siamo tornati sulla Costa Est.
Durante la discesa verso Christchurch, abbiamo visto un panorama che si direbbe più modellato rispetto a quello del Westside: le colline digradano infatti a "stile trampolino", con la pendenza che si ingentilisce man mano. Ma prima di arrivarci, occorre ancora scendere le montagne dove l'acqua ha scavato dei canyon che non saranno alti come quelli del Colorado, ma sono comunque simpatici, con una serie di ponti sospesi tra le varie vallate.
Il tutto è stato solamente rovinato dai vicini nel vagone che sono andati nella carrozza ristorante e si sono portati al loro posto una scodella di qualcosa dall'odore nauseabondo, che pure loro si mangiavano con gusto. Mah.

L'arrivo a Christchurch è stato alla fine alle 20:50, con tre ore di ritardo. La stazione, poi, è stranamente lontana dal centro della città, forse perché il treno non è mai stato considerato un mezzo di trasporto passeggeri quanto piuttosto di merci; recuperati così i nostri bagagli non c'è restato che prendere un taxi e andare all'albergo, che non era più quello del primo giorno ma il Camelot, che se ne sta bello bello in pieno centro su Cathedral Square... e ha di nuovo i doppi rubinetti.
Data l'ora e l'esserci riusciti persino a perderci cercando Oxford Terrace - e dire che c'eravamo passati attraverso meno di una settimana fa! - abbiamo alla fine deciso di fermarci al ristorante collegato all'albergo, l'Element, prima di trovare tutto chiuso. E ci siamo ordinati... una pizza. Per la precisione, abbiamo scelto quella ai frutti di mare che tanto non avremmo mai mangiato in Italia perché è un abominio. Il risultato? La pasta era completamente sciapa, e questo detto da due persone che usano pochissimo sale è una garanzia, e la cottura sembrava fatta sul forno di casa. Ma tutto sommato poteva andarci peggio.

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