Anna ha perfettamente ragione sulla poca utilità del letto in formato queensize. Stanotte, anche perché il termosifone era elettrico e non l'avevamo lasciato acceso, siamo rimasti a dormire uno stretto all'altra.
La partenza oggi era a un'ora finalmente civile: l'appuntamento era infatti alle 8:55, anche se poi - visto che noi eravamo in orario - il bus è arrivato con un quarto d'ora di ritardo. In compenso, vedendo che il nostro bus era in realtà diretto a Nelson, finalmente ho capito come funzionano le cose. In pratica ci sono queste società che fanno servizio bus più o meno come da noi, ma sanno che nelle loro linee ci sono punti turistici e quindi tengono conto delle pause per permettere ai passeggeri di dare un'occhiata. Oggi non c'erano molti punti scenici, e quindi le pause sono solo state nei luoghi dove si poteva mangiare oppure comprare qualche souvenir. In compenso l'autista è molto preciso: "partiremo da qui alle 10:10, cioè tra 19 minuti". Il chiaccherone di ieri si è seduto vicino a noi, speriamo bene.
Il viaggio, come detto, non è stato ricco
di eventi. Abbiamo superato un tour di ciclisti,
sparpagliati nella strada ciascuno con la
bandierina laterale per indicare l'ingombro e preceduti
dal pulmino dell'organizzazione. Degna di nota
la casetta dove al posto del cane nel giardino
faceva bella mostra di sé... una pecora, usata
immaginiamo come tosaerba, visto che non ci
pare sia un animale così da compagnia.
Ripartiti da una delle nostre soste, il tipo logorroico
si volta verso di noi e ci chiede se per caso
siamo italiani. Alla nostra risposta affermativa,
ci dice di essere un italoamericano, e che la
sua famiglia è originaria di San Benedetto del
Tronto. In questo modo abbiamo anche
risolto il piccolo mistero dell'altro cognome
italiano presente nella lista dei passeggeri.
Anna si è lamentata di come gli ho
risposto gelidamente: garantisco che non è
stato per cattiveria, ma per puro istinto di
sopravvivenza, pensando alle ore future.
Mentre arriviamo a Greymouth che è la nostra fermata, noto che l'autista
parla alla radio e poi fa un discorso chiedendo
se qualcuno avesse delle coincidenze di aerei a
Christchurch. Non ci faccio troppo caso. Mi
inquieto un po' di più quando non vedo il treno
fermo alla stazione: la mia idea è che doveva
essere lì ad aspettarci. Entriamo a far la coda
per il biglietto, e quando è il nostro turno
l'impiegata ci investe con un torrente di parole
incomprensibili. Dopo che all'unisono io e Anna le abbiamo
fatto cenno di ripetere con più calma, ci spiega
che oggi il Tranzalpine è parecchio in ritardo e
quindi abbiamo due opzioni: prendere un bus
che ci porti all'Arthur Pass, dove un treno ci
avrebbe fatto fare la seconda parte del
percorso arrivando più o meno in orario,
oppure aspettare con calma e trovarci di nuovo
in stazione alle 15 per prendere il treno "giusto" che a
questo punto ce l'avrebbe finalmente fatta ad arrivare. Come dire,
sembra quasi di avere a che fare con Trenitalia!
Non avendo niente di urgente da fare, scegliamo
la seconda ipotesi e lasciamo le'nostre valigie
in stile aereo, con tanto di nastro trasportatore
ed etichetta. Fatti due passi per la metropoli
di Greymouth, ci fermiamo per un veloce
pranzo al Jone's Bar and Cafe, che a dire il
vero stava per chiudere essendo già quasi le
14. Il sandwichione al salmone era però buono.
Torniamo in stazione per scoprire che, sempre
in stile italiano, il ritardo era stato
sottostimato di un bel po'. Il treno è infatti
arrivato alle 15:20, ma è immediatamente
ripartito "per le pulizie", non senza che prima vedessimo girare
i sedili della nostra carrozza nella direzione di
marcia (no, non è un'usanza sconosciuta in Italia. Mi è capitato una volta
di prendere una carrozza con poltrone sleeperette che potevano appunto
essere girate nella direzione di viaggio), e la partenza è stata alle
16:20, non senza che fosse intanto passato un treno
merci che portava forse granaglie: insomma,
la linea non è proprio solamente turistica. Ad
avere saputo quanta era l'attesa, forse avremmo preso anche noi
il bus fino ad Arthur Pass.
La partenza non è stata a razzo. Occorre
innanzitutto tenere presente che lo
scartamento dei binari è davvero ridotto, direi
addirittura inferiore a quello di un tram qui in
Italia. Questo porta ovviamente ad avere una
certa quale instabilità, che si traduce nell'avere
molti scossoni. Inoltre, il treno è comunque
scenico, quindi bisogna lasciare la possibilità
di scattare delle foto magari nell'ultimo vagone,
che è aperto e mi ha fatto venire in mente le
ferrovie del Far West. Infine ci sono una quantità di passaggi a livello
incustoditi e senza sbarre, e se va male anche senza segnalazioni luminose.
Insomma, non credo si superino mai i 70 Km/h.
Naturalmente non ci sono in questo caso
"marchette caffè", anche perché molte delle
"stazioni" non sono niente altro che una
specie di capanno degli attrezzi con dipinto
sopra il nome. L'unica eccezione, subito dopo avere
passato l'Otira tunnel con i suoi otto chilometri
e mezzo di galleria, è Arthur Pass, che sembra
quasi un centro smistamento di fama internazionale
con una serie infinita di binari... vabbé, almeno
sei o sette. Qui il treno si è fermato per una
decina di minuti, per farci ammirare l'altipiano
e notare come abbiamo passato lo
spartiacque e siamo tornati sulla Costa Est.
Durante la discesa verso Christchurch, abbiamo
visto un panorama che si direbbe più modellato
rispetto a quello del Westside: le colline digradano infatti
a "stile trampolino", con la pendenza che si
ingentilisce man mano. Ma prima di arrivarci,
occorre ancora scendere le montagne dove
l'acqua ha scavato dei canyon che non saranno
alti come quelli del Colorado, ma sono comunque
simpatici, con una serie di ponti sospesi tra le
varie vallate.
Il tutto è stato solamente rovinato dai vicini
nel vagone che sono andati nella carrozza
ristorante e si sono portati al loro posto una
scodella di qualcosa dall'odore nauseabondo,
che pure loro si mangiavano con gusto. Mah.
L'arrivo a Christchurch è stato alla fine
alle 20:50, con tre ore di ritardo. La stazione,
poi, è stranamente lontana dal centro della
città, forse perché il treno non è mai stato
considerato un mezzo di trasporto passeggeri
quanto piuttosto di merci; recuperati così i
nostri bagagli non c'è restato che prendere
un taxi e andare all'albergo, che non era più
quello del primo giorno ma il Camelot, che se
ne sta bello bello in pieno centro su Cathedral
Square... e ha di nuovo i doppi rubinetti.
Data l'ora e l'esserci riusciti persino a perderci
cercando Oxford Terrace - e dire che c'eravamo
passati attraverso meno di una settimana fa! -
abbiamo alla fine deciso di fermarci al ristorante
collegato all'albergo, l'Element, prima di trovare
tutto chiuso. E ci siamo ordinati... una pizza.
Per la precisione, abbiamo scelto quella ai
frutti di mare che tanto non avremmo mai
mangiato in Italia perché è un abominio. Il
risultato? La pasta era completamente sciapa,
e questo detto da due persone che usano
pochissimo sale è una garanzia, e la cottura
sembrava fatta sul forno di casa. Ma tutto
sommato poteva andarci peggio.