Lasciamo finalmente Queenstown, con un
bus di un'altra società: non più Newmans, ma
Intercity. L'autista di oggi è un
chiacchierone, e soprattutto ci sa che abbia
anche delle marchette con i (rari)
locali che si trovano nel percorso. Non si
capirebbe altrimenti come mai viaggi sempre
a velocità incredibili per le strade, e poi
si fermi per un quarto d'ora in posti dove
sono prontissimi a venderti un piatto di
roba calda e qualche souvenir puro neozelandese, di solito made in
India. Credo che il massimo sia stato il
posto dove abbiamo sostato per pranzo: aveva
un allevamento di salmoni, che infatti erano ben presenti nel
menu. Ma pagando un simpatico dollaro
neozelandese potevamo acquistare del mangime
da dare ai pesci. Cosa può volere di più un
commerciante dalla vita?
Anche se nel bus ci sono parecchie persone che
abbiamo già visto nei giorni passati, tutti se ne
stanno isolati. L'unica eccezione è un tipo con
una pelata alla Verdone che per tutto il viaggio
è stato a parlare con una coppia di pensionati.
"È stato a parlare" significa che ha sempre
parlato lui...
Mentre il tempo stava cominciando a
rannuvolarsi, siamo arrivati finalmente a
Franz Josef Glacier, la tappa del giorno.
C'è subito stata una fregatura: del ghiacciaio
di Cecco Beppe - è intitolato proprio a lui, sì - non se ne
vede traccia. Che si sia ritirato così tanto? No,
spiega un simpatico depliant alla hall dell'albergo.
Semplicemente non se ne sta sul paese, ma a
cinque chilometri di distanza, e occorre prendere
una stradina per arrivarci ai suoi piedi. Questo
non è esattamente bello, visto che il bus ci
porta agli alberghi e arriva anche tarduccio,
alle 16.20.
Bene. Che fare a questo punto?
Abbiamo pensato che non sarebbe stato poi
male andare al Visitor's Centre a chiedere se
per caso ci fosse una navetta che portasse su
per la strada, pagando chiaramente il giusto. Entriamo,
aspettiamo che quelli prima di noi abbiano le loro
informazioni su praticamente tutta la Nuova
Zelanda, e finalmente riusciamo a porre la
nostra domanda. Risposta: "Do you have a
car?" E allora che veniamo a chiederti la
navetta, scusa! Alla fine ci spiega "uscite e
andate to the lift (sembra che qui
la pronuncia ufficiale di left sia
questa) fino all'Alpine Center. Le navette
partono di là". Torniamo indietro, io vedo
muoversi un pulmino e ho un presentimento.
Entrati nel centro, cerchiamo invano di trovare
qualche informazione che non sia a proposito di voli in
elicottero e simili; mentre io sono pazientemente
in coda a quello che sembra il banco più
promettente, Anna mi fa "ecco qua!" e mi
porta a vedere un foglio dove erano indicati
gli orari delle navette (10$ andata e ritorno).
Ce n'era stata una alle 16.45, cioè cinque minuti
prima; quella successiva sarebbe stata alle
18.45, il che non era esattamente quello che
volevamo. Dopo una serie di insulti all'autista
che poteva anche ridurre le pause tra un giro e l'altro, e all'albergo
che a sua volta poteva indicare bello chiaro
a che ora ci sono le navette, la nostra scelta
diventa tra pagare 50 dollari a testa per un giro
guidato di tre ore che inizia alle 17.30, oppure
mettersi gambe in spalla a farci la strada.
Alla fine abbiamo deciso per quest'ultima
possibilità, e ci siamo incamminati.
Purtroppo la strada in questione è una
carrozzabile non asfaltata, e a quell'ora c'era
un traffico non indifferente almeno per gli
standard neozelandesi, con auto camper e
bus che sollevavano polvere che poi ci
toccava respirare. Nel tratto della strada che
scorre vicino al fiume abbiamo anche finalmente
scoperto che cosa erano le pietre colorate di
un rosso cupo che avevamo già adocchiato
a volte. Non erano ossidate, ma ricoperte di
un lichene che probabilmente non è amante
del verde.
Alla fine della carrozzabile, che abbiamo percorso
in un tempo rimarchevolmente breve, abbiamo
scelto di non andare ai piedi del ghiacciaio ma
salire verso il Sentinel Point dal quale lo si
poteva vedere, e dove probabilmente scattano
tutte le fotografie delle cartoline. Purtroppo - ma c'era da
immaginarselo - il ghiacciaio non è nella sua
forma migliore, soprattutto lì nel fondo dove
ormai è sporco. Il colpo d'occhio però non è
affatto male, ed è indubbiamente preferibile
al camminare ancora per mezz'ora per vedere
non si sa bene che cosa.
Al ritorno abbiamo fatto la deviazione per il
Douglas Walk, che si infila all'interno della
foresta pluviale: qualcosa che non ci si aspetta
così vicino a un ghiacciaio! Siamo arrivati anche
a un bellissimo ponte sospeso sul fiume Waiho,
che ho voluto attraversare anche se per una persona come me che soffre di
vertigini e non ha un grosso senso dell'equilibrio
è già un'avventura. Non abbiamo
proseguito su quel sentiero perchè i cartelli
davano ancora un'ora e tre quarti di marcia,
anche se credo la stima del tempo fosse parecchio esagerata;
siamo così tornati sulla strada e rientrati in
albergo.
A questo proposito, devo dire che il
personale alla reception dell'albergo, che è
della catena Scenic Circle, non mi è piaciuto
affatto. La camera però era molto bella, con
tetto a vista, il solito letto queensize che Anna
continua a trovare eccessivo, e soprattutto...
i rubinetti con un unico miscelatore! Sia a
Christchurch che a Queenstown avevamo
infatti non solo due manopole per l'acqua, ma
anche due rubinetti separati, il che va benissimo
come risparmio idrico per lavarsi la faccia, ma
molto meno per farsi il bidet.
Già che c'eravamo, abbiamo anche effettuato
uno di quei famosi esperimenti scientifici per
verificare quello che tutti i ragazzini che non si
addormentavano nell'ora di scienze volevano
scoprire. Bene, dopo avere fatto più prove per
eliminare errori sperimentali sempre in agguato,
posso affermare a ragion veduta che i gorghi si formano
in senso antiorario. Potete tutti dormire
tranquilli, adesso.
Per la cena, non è che questa metropoli offra
chissà quali possibilità. Dopo una breve occhiata
facilitata dalle dimensioni minuscole del posto,
ci siamo decisi per il Blue Eyes Cafe, che aveva
un'aria più familiare. Il guaio è che forse era
fin troppo familiare: dopo che ci hanno
mandato al piano di sopra per una decina di
minuti nell'attesa si liberasse un posto e nella
speranza nemmeno troppo segreta che intanto
ci bevessimo qualcosa, abbiamo ordinato
dell'agnello al forno, visto che con 39 milioni
di pecore non l'avevamo ancora provato.
Peccato fosse terminato. La nostra seconda
scelta è arrivata dopo ben tre quarti d'ora,
cosa che non mi rende mai felice.
Durante la lunga attesa ci è capitato di udire
distintamente delle parti di frase in italiano.
Per la prima volta nel viaggio abbiamo così
incontrato dei compatrioti, almeno immagino.
Ho provato a camminare con fare ingenuo
verso la tavolata dove si trovava il gruppo,
ma non hanno alzato la voce. In compenso,
quando loro sono andati a pagare una tipa
si è avvicinata con fare ingenuo verso il
nostro tavolo, direi per la stessa
ragione!