Lunedì 24 novembre

Lasciamo finalmente Queenstown, con un bus di un'altra società: non più Newmans, ma Intercity. L'autista di oggi è un chiacchierone, e soprattutto ci sa che abbia anche delle marchette con i (rari) locali che si trovano nel percorso. Non si capirebbe altrimenti come mai viaggi sempre a velocità incredibili per le strade, e poi si fermi per un quarto d'ora in posti dove sono prontissimi a venderti un piatto di roba calda e qualche souvenir puro neozelandese, di solito made in India. Credo che il massimo sia stato il posto dove abbiamo sostato per pranzo: aveva un allevamento di salmoni, che infatti erano ben presenti nel menu. Ma pagando un simpatico dollaro neozelandese potevamo acquistare del mangime da dare ai pesci. Cosa può volere di più un commerciante dalla vita?
Anche se nel bus ci sono parecchie persone che abbiamo già visto nei giorni passati, tutti se ne stanno isolati. L'unica eccezione è un tipo con una pelata alla Verdone che per tutto il viaggio è stato a parlare con una coppia di pensionati. "È stato a parlare" significa che ha sempre parlato lui...

Mentre il tempo stava cominciando a rannuvolarsi, siamo arrivati finalmente a Franz Josef Glacier, la tappa del giorno. C'è subito stata una fregatura: del ghiacciaio di Cecco Beppe - è intitolato proprio a lui, sì - non se ne vede traccia. Che si sia ritirato così tanto? No, spiega un simpatico depliant alla hall dell'albergo. Semplicemente non se ne sta sul paese, ma a cinque chilometri di distanza, e occorre prendere una stradina per arrivarci ai suoi piedi. Questo non è esattamente bello, visto che il bus ci porta agli alberghi e arriva anche tarduccio, alle 16.20.
Bene. Che fare a questo punto? Abbiamo pensato che non sarebbe stato poi male andare al Visitor's Centre a chiedere se per caso ci fosse una navetta che portasse su per la strada, pagando chiaramente il giusto. Entriamo, aspettiamo che quelli prima di noi abbiano le loro informazioni su praticamente tutta la Nuova Zelanda, e finalmente riusciamo a porre la nostra domanda. Risposta: "Do you have a car?" E allora che veniamo a chiederti la navetta, scusa! Alla fine ci spiega "uscite e andate to the lift (sembra che qui la pronuncia ufficiale di left sia questa) fino all'Alpine Center. Le navette partono di là". Torniamo indietro, io vedo muoversi un pulmino e ho un presentimento. Entrati nel centro, cerchiamo invano di trovare qualche informazione che non sia a proposito di voli in elicottero e simili; mentre io sono pazientemente in coda a quello che sembra il banco più promettente, Anna mi fa "ecco qua!" e mi porta a vedere un foglio dove erano indicati gli orari delle navette (10$ andata e ritorno). Ce n'era stata una alle 16.45, cioè cinque minuti prima; quella successiva sarebbe stata alle 18.45, il che non era esattamente quello che volevamo. Dopo una serie di insulti all'autista che poteva anche ridurre le pause tra un giro e l'altro, e all'albergo che a sua volta poteva indicare bello chiaro a che ora ci sono le navette, la nostra scelta diventa tra pagare 50 dollari a testa per un giro guidato di tre ore che inizia alle 17.30, oppure mettersi gambe in spalla a farci la strada. Alla fine abbiamo deciso per quest'ultima possibilità, e ci siamo incamminati.

Purtroppo la strada in questione è una carrozzabile non asfaltata, e a quell'ora c'era un traffico non indifferente almeno per gli standard neozelandesi, con auto camper e bus che sollevavano polvere che poi ci toccava respirare. Nel tratto della strada che scorre vicino al fiume abbiamo anche finalmente scoperto che cosa erano le pietre colorate di un rosso cupo che avevamo già adocchiato a volte. Non erano ossidate, ma ricoperte di un lichene che probabilmente non è amante del verde.
Alla fine della carrozzabile, che abbiamo percorso in un tempo rimarchevolmente breve, abbiamo scelto di non andare ai piedi del ghiacciaio ma salire verso il Sentinel Point dal quale lo si poteva vedere, e dove probabilmente scattano tutte le fotografie delle cartoline. Purtroppo - ma c'era da immaginarselo - il ghiacciaio non è nella sua forma migliore, soprattutto lì nel fondo dove ormai è sporco. Il colpo d'occhio però non è affatto male, ed è indubbiamente preferibile al camminare ancora per mezz'ora per vedere non si sa bene che cosa.
Al ritorno abbiamo fatto la deviazione per il Douglas Walk, che si infila all'interno della foresta pluviale: qualcosa che non ci si aspetta così vicino a un ghiacciaio! Siamo arrivati anche a un bellissimo ponte sospeso sul fiume Waiho, che ho voluto attraversare anche se per una persona come me che soffre di vertigini e non ha un grosso senso dell'equilibrio è già un'avventura. Non abbiamo proseguito su quel sentiero perchè i cartelli davano ancora un'ora e tre quarti di marcia, anche se credo la stima del tempo fosse parecchio esagerata; siamo così tornati sulla strada e rientrati in albergo.

A questo proposito, devo dire che il personale alla reception dell'albergo, che è della catena Scenic Circle, non mi è piaciuto affatto. La camera però era molto bella, con tetto a vista, il solito letto queensize che Anna continua a trovare eccessivo, e soprattutto... i rubinetti con un unico miscelatore! Sia a Christchurch che a Queenstown avevamo infatti non solo due manopole per l'acqua, ma anche due rubinetti separati, il che va benissimo come risparmio idrico per lavarsi la faccia, ma molto meno per farsi il bidet.
Già che c'eravamo, abbiamo anche effettuato uno di quei famosi esperimenti scientifici per verificare quello che tutti i ragazzini che non si addormentavano nell'ora di scienze volevano scoprire. Bene, dopo avere fatto più prove per eliminare errori sperimentali sempre in agguato, posso affermare a ragion veduta che i gorghi si formano in senso antiorario. Potete tutti dormire tranquilli, adesso.

Per la cena, non è che questa metropoli offra chissà quali possibilità. Dopo una breve occhiata facilitata dalle dimensioni minuscole del posto, ci siamo decisi per il Blue Eyes Cafe, che aveva un'aria più familiare. Il guaio è che forse era fin troppo familiare: dopo che ci hanno mandato al piano di sopra per una decina di minuti nell'attesa si liberasse un posto e nella speranza nemmeno troppo segreta che intanto ci bevessimo qualcosa, abbiamo ordinato dell'agnello al forno, visto che con 39 milioni di pecore non l'avevamo ancora provato. Peccato fosse terminato. La nostra seconda scelta è arrivata dopo ben tre quarti d'ora, cosa che non mi rende mai felice.
Durante la lunga attesa ci è capitato di udire distintamente delle parti di frase in italiano. Per la prima volta nel viaggio abbiamo così incontrato dei compatrioti, almeno immagino. Ho provato a camminare con fare ingenuo verso la tavolata dove si trovava il gruppo, ma non hanno alzato la voce. In compenso, quando loro sono andati a pagare una tipa si è avvicinata con fare ingenuo verso il nostro tavolo, direi per la stessa ragione!

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