Inizia il nostro tour dell'Isola del Sud, quello che abbiamo preso organizzato per iniziare in maniera un po' soffice. Arriviamo con i nostri valigioni al punto di incontro, dove troviamo il bus e l'incaricato che, alla mia timida domanda "abbiamo dieci minuti di tempo per fare colazione?" risponde "sì, ma non osate mangiare nel bus!". Palle. Poi mangiavano tutti.
Mentre usciamo dalla città, Anna mi fa
notare la quantità abnorme di negozi di
parrucchiere che ci sono in città.
Effettivamente non ci avevo fatto caso, ma
sembra davvero che qui vadano tutte le
settimane a rimettersi in sesto la chioma.
Usciti dalla città, l'impressione che domina
è quella di spazio. Il panorama non è poi
così diverso dalle zone del nord Italia
vicino alle montagne, se non che il verde
dell'erba e l'azzurro del cielo sono più
vivaci; però mancano del tutto le case, o cascine, o roba simile. Ci sono
distese di campi, tutti recintati, e nessuna
persona.
In compenso non mancano le bestie. Greggi di
pecore a sinistra e mandrie di mucche a
destra, oppure mandrie a sinistra e greggi a
destra. La massima varietà si aveva con un
branco di cervi che spuntava qua e là. I
recinti penso servano a delimitare i pascoli,
in effetti: mi chiedo solo quanti ettari di
terreno abbiano gli agricoltori.
Abbiamo in compenso scoperto non solo che
il nostro bus fa anche servizio interurbano
per quei pochi abitanti locali, e fin qua non ci sarebbe nulla
di male, ma che tutto il mondo è paese. Altro
che "pausa pipì" ogni due orette: qua ogni
ora avevamo una decina di minuti di pausa,
chissà come mai sempre presso un negozio di
souvenir vari. A un certo punto abbiamo
temuto che ci volessero presentare una
bellissima batteria di pentole a un prezzo da
Vero Affare.
Una delle rare pause senza secondi fini è
stata quella alla chiesetta del Buon Pastore,
comprensiva a lato della statua al
cane da pastore che tanto ha aiutato
lo sviluppo della Nuova Zelanda. La chiesa,
"non denominational" (insomma, una joint
venture tra le varie confessioni cristiane
della zona) non è un gran che, se non fosse
che al posto dell'abside ha dei finestroni con
una stupenda vista sul lago Tekapo sulle cui
rive si trova. E' chiaro come mai la gente
faccia la fila per andare a sposarsi.
Il lago ha l'acqua di un azzurro intensissimo,
dovuto alle particelle di roccia che sono
state portate dall'acqua di fusione glaciale.
Sembra proprio tutta un'altra cosa rispetto
ai nostri laghi glaciali, bisogna dirlo.
Il tempo purtroppo è peggiorato, e quando
siamo arrivati al National Park del monte
Cook pioveva e tirava vento forte. Il vento
tra l'altro dev'essere una costante, qua:
abbiamo infatti visto nelle Canterbury Planes
una sfilza di filari d'alberi uno attaccato
all'altro e potati come fossero gigantesche
siepi. Con ogni probabilità fanno da
frangivento.
Stante il tempaccio, non abbiamo potuto vedere il
monte Cook, e siamo stati costretti a stare
dentro il complesso dell'Hermitage, che tra
l'altro è di una bruttura che fa ricordare
certi scempi architettonici italiani.
Il resto del viaggio non ha dato grossi punti di interesse, anche se l'ultima sosta per una volta non è stata in uno dei soliti negozi da souvenir, ma in un posto che vende frutta e verdura, il che ha migliorato la qualità della nostra vita... a parte le enormi pigne che erano in vendita non si sa bene a quale scopo.
L'arrivo a Queenstown vede il cielo
plumbeo, e noi piazzati in questo albergone,
della catena Rydges, che dà una sensazione di
americanata. Dopo essere riusciti a farci
strada in mezzo a un tour di giapponesi, ci
danno la chiave della nostra stanza che a
dire il vero non ci sembra troppo "deluxe"
come da coupon, anche se effettivamente ha
una bella vista sul lago. La recezionista se
ne deve essere accorta, visto che ci ha dato
i buoni per la colazione (che tanto per
cambiare era esclusa), affermando che era
"perché siete in luna di miele".
Abbiamo fatto due passi per il centro della
cittadina, notando che a differenza di
Christchurch qui i negozi sono aperti fino a
tardi - bisogna pure spennare i turisti, no?
- e abbiamo cenato a un ristorante
giapponese, il Minami Jujisei (sta per "Croce
del sud"). La Lonely Planet afferma che è
stato premiato più volte come il miglior
ristorante giapponese della Nuova Zelanda:
noi possiamo dire di aver mangiato davvero
bene e nemmeno troppo caro, anche se il
prezzo delle bevande è sempre esagerato.