Mercoledì 3 dicembre

Ieri sera avevo detto ad Anna che se la mattinata fosse stata bella mi sarei finalmente indossato i bermuda, per potere finalmente dire che sì, sono andato apposta dall'altra parte del mondo solo per prendere un po' di sole. In effetti sembrava tutto bello azzurro mentre facevamo colazione: usciti, però, ci siamo trovati una serie di nuvoloni grigi. Perlomeno non faceva freddo.

Dopo avere dato un'occhiata a un paio di negozi che però non avevano nulla di interessante - ma è sempre meglio diffidare delle insegne "Original Maori", mi sa - ci siamo messi in strada, e per la prima volta in due giorni a Rotorua ho imboccato al primo colpo la via giusta.

Subito fuori città c'era un cartello di quelli del tipo "attenzione ai pedoni", che aveva sotto la scritta "aged people". In effetti, qualche decina di metri dopo c'era una trentina di anziani sul bordo della strada, che salutavano e mostravano cartelli scritti a mano con scritte del tipo "anche tu diventerai vecchio" e simili. Mi chiedo se sia un'iniziativa di un qualche ministero neozelandese per riempire le giornate dei pensionati, oppure una scelta personale di una casa di riposo nei paraggi.
Mentre eravamo per strada, abbiamo finalmente visto come facciano ad esserci così tanti alberi tagliati: siamo infatti passati in una zona di rimboschimento, con una sfilza di abeti di uno o due anni piantati ben ordinatamente. In effetti ci eravamo già accorti che spesso le foreste in cima ai monti avevano un'aria un po' troppo ordinata, ma avevamo creduto fosse solo frutto della nostra immaginazione: avevamo invece visto bene.
Tra l'altro, quando parlo di "abeti" intendo proprio quelli nostrani. Sembra infatti che le piante locali non crescano abbastanza in fretta per potere fare degli affari con il taglio programmato: i kauri, tagliati con tanta gioia nel diciannovesimo secolo, hanno bisogno di cent'anni per arrivare a una grandezza sufficiente, contro i trenta/quarant'anni delle nostre piante. Tanto per cambiare, qui sono tutti più lenti, anche gli alberi!

La pausa supermercato è stata fatta a Te Puke, che è la capitale del kiwi inteso come frutto. Ce n'eravamo accorti mentre arrivavamo. Sulla strada c'era infatti una specie di "kiwi center" che come insegna aveva una fetta di kiwi da qualche metro di diametro: buon gusto innanzitutto.
Ci siamo fermati per pranzo su una delle piazzole approntate all'uopo ai margini della strada, e abbiamo avuto un comitato di accoglienza. Cinque o sei tra galli e galline si sono subito avvicinati alla nostra auto, sperando in un po' di cibo. Il proverbio dice che non ci può esserci più di un gallo in un pollaio, ma quello non era un pollaio, quindi la cosa torna. Abbiamo comunque visto delle scene un cui due galli si fronteggiavano, quindi il proverbio ha un senso. Buttare qualche pezzetto di mollica risultava in un corri corri sul posto, tranne quando un passero li fregava sul tempo: alcuni non disdegnavano neppure delle foglie di lattuga.

Ripresa la strada e lasciata dopo un po' la statale 2, abbiamo capito perché la Lonely Planet suggerisce di non prendere affatto alla leggera le distanze nella penisola di Coromandel. La strada è tortuosissima, e non è possibile superare in genere i 50 all'ora; sorpassare poi è un sogno. Per fortuna i camion li abbiamo solo visti nell'altra direzione, seguiti da un breve codazzo di automobili rassegnate.
Arrivati a Whangamata, fortunatamente Anna ha visto una freccia per il Brenton Lodge, per una strada che se ne andava fuori dalla cittadina e verso l'interno, anche se formalmente era la provinciale. Dopo qualche chilometro abbiamo trovato il posto, e compreso perché la signora Valeria della Uvet ci aveva detto "Vi lascio questo anche se è un po' caro, perché merita davvero."

Il Brenton Lodge è formato da due cottage, più la casa dei proprietari John e Rosa con una stanza che ha anche un accesso separato. Appena arrivati, siamo subito stati accolti con un "Hi, I'm John", mentre la signora ci ha detto "Here there are the honeymooners!" Ci ha portati alla stanza, dove tra l'altro aveva lasciato delle rose sul letto; e ci ha portato due muffin da mangiare insieme al tè, e ci ha chiesto se volevano che ci prenotasse un ristorante per la cena...
Il giardino, oltre ad avere un arancio con i frutti ormai quasi maturi e un profluvio di rose, ha una piscina (l'acqua era a 24 gradi, e il cielo era tornato sereno: io ho provato anche a entrarci, non era impossibile ma ho preferito restare fuori a prendere un po' di sole) e una enorme spa (la vasca con idromassaggio) in un casotto, oltre a un cane che fa capire molto chiaramente che non rifiuta affatto un'ampia dose di coccole e un gatto che soffre di gelosia.
Il prezzo di tutto questo, almeno da brochure, è di 295 dollari a notte: sono poi 160 euro, che a Milano si spendono per stanze d'albergo quando va bene anonime. Ci sembra molto meglio stare qui.

Per domani, avevamo chiesto a John se poteva prenotarci una gita organizzata della penisola: costava 195 dollari a testa, ma ci sembrava interessante. Inizialmente sembrava non ci fossero problemi, ma poi è tornato a dirci che la gita era stata annullata (secondo noi, perché eravamo gli unici partecipanti!): la società che organizza le gite proponeva in alternativa un giro di mezza giornata nelle foreste. A questo punto abbiamo preferito lasciar perdere: ce ne andremo per conto nostro in auto.
La cena è stata da Oceana, in Ocean Road. Come si può immaginare dal nome, abbiamo mangiato pesce: molto buono sia quello del giorno che gli spiedini di salmone alla giapponese.

inizio | ieri | domani | notiziole | home page