Ieri sera avevo detto ad Anna che se la mattinata fosse stata bella mi sarei finalmente indossato i bermuda, per potere finalmente dire che sì, sono andato apposta dall'altra parte del mondo solo per prendere un po' di sole. In effetti sembrava tutto bello azzurro mentre facevamo colazione: usciti, però, ci siamo trovati una serie di nuvoloni grigi. Perlomeno non faceva freddo.
Dopo avere dato un'occhiata a un paio di negozi che però non avevano nulla di interessante - ma è sempre meglio diffidare delle insegne "Original Maori", mi sa - ci siamo messi in strada, e per la prima volta in due giorni a Rotorua ho imboccato al primo colpo la via giusta.
Subito fuori città c'era un cartello di quelli del tipo "attenzione
ai pedoni", che aveva sotto la scritta "aged people". In effetti, qualche
decina di metri dopo c'era una trentina di anziani sul bordo della strada,
che salutavano e mostravano cartelli scritti a mano con scritte del tipo
"anche tu diventerai vecchio" e simili. Mi chiedo se sia un'iniziativa di
un qualche ministero neozelandese per riempire le giornate dei pensionati,
oppure una scelta personale di una casa di riposo nei paraggi.
Mentre eravamo per strada, abbiamo finalmente visto come facciano ad
esserci così tanti alberi tagliati: siamo infatti passati in una zona
di rimboschimento, con una sfilza di abeti di uno o due anni piantati
ben ordinatamente. In effetti ci eravamo già accorti che spesso le
foreste in cima ai monti avevano un'aria un po' troppo ordinata, ma
avevamo creduto fosse solo frutto della nostra immaginazione: avevamo
invece visto bene.
Tra l'altro, quando parlo di "abeti" intendo proprio quelli nostrani.
Sembra infatti che le piante locali non crescano abbastanza in fretta per
potere fare degli affari con il taglio programmato: i kauri, tagliati
con tanta gioia nel diciannovesimo secolo, hanno bisogno di cent'anni
per arrivare a una grandezza sufficiente, contro i trenta/quarant'anni
delle nostre piante. Tanto per cambiare, qui sono tutti più lenti,
anche gli alberi!
La pausa supermercato è stata fatta a Te Puke, che è la capitale
del kiwi inteso come frutto. Ce n'eravamo accorti mentre arrivavamo.
Sulla strada c'era infatti una specie di "kiwi center" che come insegna
aveva una fetta di kiwi da qualche metro di diametro: buon gusto
innanzitutto.
Ci siamo fermati per pranzo su una delle piazzole approntate all'uopo ai
margini della strada, e abbiamo avuto un comitato di accoglienza. Cinque
o sei tra galli e galline si sono subito avvicinati alla nostra auto,
sperando in un po' di cibo. Il proverbio dice che non ci può esserci
più di un gallo in un pollaio, ma quello non era un pollaio, quindi
la cosa torna. Abbiamo comunque visto delle scene un cui due galli
si fronteggiavano, quindi il proverbio ha un senso. Buttare qualche
pezzetto di mollica risultava in un corri corri sul posto, tranne quando
un passero li fregava sul tempo: alcuni non disdegnavano neppure delle
foglie di lattuga.
Ripresa la strada e lasciata dopo un po' la statale 2, abbiamo capito
perché la Lonely Planet suggerisce di non prendere affatto alla leggera
le distanze nella penisola di Coromandel. La strada è tortuosissima,
e non è possibile superare in genere i 50 all'ora; sorpassare poi è un
sogno. Per fortuna i camion li abbiamo solo visti nell'altra direzione,
seguiti da un breve codazzo di automobili rassegnate.
Arrivati a Whangamata, fortunatamente Anna ha visto una freccia per il
Brenton Lodge, per una strada che se ne andava fuori dalla cittadina e
verso l'interno, anche se formalmente era la provinciale. Dopo qualche
chilometro abbiamo trovato il posto, e compreso perché la signora
Valeria della Uvet ci aveva detto "Vi lascio questo anche se è un po'
caro, perché merita davvero."
Il Brenton Lodge è formato da due cottage,
più la casa dei proprietari John e Rosa con una stanza che ha anche un
accesso separato. Appena
arrivati, siamo subito stati accolti con un "Hi,
I'm John", mentre la signora ci ha detto "Here
there are the honeymooners!" Ci ha portati
alla stanza, dove tra l'altro aveva lasciato delle rose sul
letto; e ci ha portato due muffin da mangiare
insieme al tè, e ci ha chiesto se volevano che
ci prenotasse un ristorante per la cena...
Il giardino, oltre ad avere un arancio con i frutti ormai quasi maturi e
un profluvio di rose, ha una piscina (l'acqua era a 24 gradi, e il cielo
era tornato sereno: io ho provato anche a entrarci, non era impossibile
ma ho preferito restare fuori a prendere un po' di sole) e una enorme spa
(la vasca con idromassaggio) in un casotto, oltre a un cane che fa capire
molto chiaramente che non rifiuta affatto un'ampia dose di coccole e un
gatto che soffre di gelosia.
Il prezzo di tutto questo, almeno da brochure,
è di 295 dollari a notte: sono poi 160 euro, che
a Milano si spendono per stanze d'albergo
quando va bene anonime. Ci sembra molto
meglio stare qui.
Per domani, avevamo chiesto a John se
poteva prenotarci una gita organizzata della penisola:
costava 195 dollari a testa, ma ci sembrava
interessante. Inizialmente sembrava non ci
fossero problemi, ma poi è tornato a dirci che
la gita era stata annullata (secondo noi, perché
eravamo gli unici partecipanti!): la società che organizza le gite proponeva
in alternativa un giro di mezza giornata nelle
foreste. A questo punto abbiamo preferito
lasciar perdere: ce ne andremo per conto
nostro in auto.
La cena è stata da Oceana, in Ocean Road.
Come si può immaginare dal nome, abbiamo
mangiato pesce: molto buono sia quello del
giorno che gli spiedini di salmone alla
giapponese.