Mercoledì 24 agosto 2005

È stata di nuovo una nottataccia. Faceva caldo, il bagno vicino al nostro - io sono convinto che qui in albergo ci siano stanze senza bagno - aveva lo scarico che funzionava male e quindi faceva un rumoraccio, Anna si è lamentata che io le stavo addosso, il che era anche abbastanza probabile perché se mi sdraiavo su un fianco ero costretto a mandare indietro il bacino per stare dentro il letto. Ci siamo svegliati che erano quasi le 9, e a colazione sono anche riuscito a versarmi addosso il tè.

Siamo comunque partiti poco dopo le 10, per tornare verso Arles, dato che era giorno di mercato e Anna voleva vedere com'era la versione francese di Porta Palazzo o Papiniano. Sono riuscito più o meno a sopravvivere per tutto il tempo di farcelo tutto dall'inizio alla fine. Anna si è comprata un po' di erbe e poi si è lamentata perché non le ho detto di comprarci un po' di frutta per pranzo: figuriamoci: io ero in apnea come sempre nei posti affollati, altro che stare a pensare cosa comprare! Abbiamo comunque notato che molti degli ambulanti sono di origine araba, non saprei dire se per scelta, per necessità o cos'altro. Dopo questo giro acculturato, siamo andati a vedere gli Alyscamps, i famosi "Campi Elisi" cantati anche da Dante nell'Inferno. Ad essere sinceri, c'erano un po' di sarcofaghi ai lati del viale di ingresso, una chiesa sconsacrata dalle forme molto austere e una torre che svettava dietro la chiesa ma non siamo riusciti a raggiungere; insomma il tutto non era poi chissà cosa.

Ripresa la macchina, non senza una serie di smadonnamenti da parte mia perché nel silos del parcheggio un cretino olandese che aveva parcheggiato nel posto vicino al mio non era andato fino in fondo del posto auto, e quindi non mi aveva lasciato spazio per uscire (risultato: una ventina di manovre della lunghezza di qualche centimetro, nel famoso stile "tocco davanti - tocco dietro") siamo andati verso il museo di arte antica di Arles, che si trova appena fuori dalla città. Arrivati, siamo subito ritornati in città: il museo, pur essendo recentissimo essendo stato costruito nel 1995, non ha infatti una caffetteria, e io senza avere almeno una baguette da sgranocchiare avrei urlato per la fame. Non che la cosa sia stata semplice: a quanto pare nella zona centrale di Arles le boulangerie ritengono di andare in ferie dopo ferragosto, e solo al terzo tentativo sono riuscito a prendere la mia bella pagnotta.

Dopo questa pausa tecnica siamo ritornati al museo. La struttura è molto moderna ma piacevole, anche se appunto non è fatta pensando alla necessità di mangiare: persino le macchinette del caffè erano sì accese ma non funzionavano. Perlomeno non accettavano i soldi, a differenza delle nostrane! Dalla nostra impressione, il museo non sembra essere molto frequentato né dagli arlesiani né dai turisti, il che è davvero un peccato. È infatti molto ben strutturato e pieno di reperti davvero interessanti: non solo la famosa statua di Augusto ma anche i sarcofaghi migliori recuperati dagli Alyscamps, e ad esempio i tubi di piombo presi dagli acquedotti, che né io né Anna avevamo mai visto. Diciamo che la parte fumettistica che spiegava le varie parti della città romana non mi sembrava il massimo della vita - un altro conto è la mostra fumettistica temporanea al piano superiore - ma le spiegazioni erano piuttosto chiare, e nel caso dei sarcofaghi persino anche in inglese!

Terminata la visita del museo, ci siamo diretti verso il Pont du Gard, passando da Tarascona senza nemmeno fermarci a vedere il castello del Tartarin (che ho intravisto mentre guidavo, e mi ha tanto ricordato il deposito di Zio Paperone...). I francesi sono davvero fieri del loro acquedotto romano, e ne hanno ben d'onde; ma questo non è che permetta loro di costruire un bel parcheggione dove lasciare la macchina costa cinque euro, e fare quasi un chilometro di spartitraffico centrale in modo che sia impossibile lasciare la macchina fuori dal parcheggione. Inutile dire che noi abbiamo lasciato la macchina ancora prima, facendo finta di non notare il segnale di divieto di sosta esattamente come altre decine di automobili per la maggior parte francesi: tanto c'era un bel bosco a fianco della strada e una passeggiatina non ci ha certo fatto male. Sul nostro lato (quello destro dell'Eure) ci sarebbe anche stato un edificio che era stato costruito come palazzo espositori e caffetteria: era tristemente chiuso, e funzionavano solo i bagni e la cassa automatica del parcheggio. Mah. Era anche chiuso il percorso più alto, quello del terzo anello... ehm, volevo dire della terza arcata, quella insomma dove passava l'acquedotto vero e proprio. Però anche il semplice passaggio sul ponte adibito nel medioevo a strada è stato molto suggestivo, ed era simpatico vedere la gente sulle rive dell'Eure che se ne stava amabilmente a prendere il sole.

Ce ne siamo infine tornati in direzione di Nîmes. Attenzione al circonflesso! "La città con un accento", dice il sito ufficiale. È già tanto che lo sappia scrivere, quell'accento..., che però non abbiamo realmente visitato, visto che eravamo già nel tardo pomeriggio. Ci siamo limitati ad andare a vedere l'arena, grande più o meno come quella di Arles e come quell'altra utilizzata come recinto di abitazioni fino a metà del XIX secolo - e in questo caso ci stava dentro persino un castello! - ma conservata molto meglio, e la Maison Carrée, dove per la prima volta in questa vacanza abbiamo trovato un posto dove potevamo entrare gratis. Non che ci fosse dentro chissà che cosa, chiaro: ma quello che conta è il principio, che in Francia non sembra affatto facile da trovare. Cose da non crederci.

Usciti, Anna si è accorta di un bel negozio lì in piazza, e siamo subito entrati, uscendone dopo un po' con uno svuotatasche di dimensioni ridotte - quelli che avevamo trovato in giro erano tutti troppo grandi - e uno scampolo ideale per fare una tovaglia che stia bene con i nostri piatti. Dopo il nostro impegno a mantenere solida l'economia transalpina, siamo dovuti andare a caccia di un ottico, visto che Anna si è accorta di avere perso una vite dei suoi occhiali. Siamo stati fortunati, visto che ce n'era uno a cento metri di distanza: indubbiamente Nîmes ci vuole bene. La microvisita della città si è conclusa passando dalla cattedrale romanica, che a noi è piaciuta anche se la guida non ne parlava affatto. Come bonus, abbiamo anche avuto la possibilità di salire all'organo, che un giovane sacerdote o seminarista stava suonando divertendosi lui e rallegrando i suoi compagni.

L'uscita dalla città è stata invece un dramma. Sono partito, e non sapevo assolutamente da che parte devo andare per tornare verso Arles: alla fine ho tirato a indovinare, dando un'occhiata alle pochissime vie indicate dal navigatore, ma senza essere molto certo di quello che stavo facendo. Ma la cosa peggiore è che mi sono accorto che sul cruscotto la spia dell'airbag era accesa. Ho provato a usare il sistema informatico - spegni l'auto, e la riaccendi - ma niente da fare: all'inizio lampeggia la spia arancione, come del resto deve fare, ma dopo mezzo secondo si accende quella rossa e non si spegne più. Rapida consultazione del libretto di istruzioni: viene intimato di fermarci subito al primo meccanico e fare vedere l'auto. Di per sé avevamo visto un meccanico Alfa fuori Arles, ma questo vorrebbe dire - oltre che doverci spiegare in francese - perdere almeno una giornata. Che fare? abbiamo deciso di pensarci su stanotte.Alla fine abbiamo deciso che tanto l'airbag non sarebbe scoppiato, e quindi che non dovevamo preoccuparci più di tanto. In effetti, tornati in Italia e portata l'auto a lavare, la spia non si è più accesa. Probabilmente il sensore sul sedile era bloccato da un po' di sporco!

Arrivati all'albergo, abbiamo scoperto l'altra fregatura. Il ristorante era chiuso. Adesso abbiamo capito perché dopo colazione ci hanno detto "a domani". A questo punto abbiamo guardato di nuovo il foglietto con i ristoranti di cucina locale, e abbiamo scelto l'Hostellerie du Pont de Gau, che si trova sulla strada verso Saintes-Maries-de-la-Mer. Abbiamo mangiato abbastanza bene, ma continuiamo a pensare che saremmo stati meglio alla Flamant Rose.


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