Martedì 23 agosto 2005

La sveglia è stata relativamente mattutina, visto che avevamo deciso di fare un giro in barca alle bocche del Rodano e la nave che avevamo visto ampiamente pubblicizzata, il Tiki III, faceva il suo primo giro alle 9:30. Beh, siamo arrivati alle 9:29 e trenta secondi. Fortunatamente quelli della barca hanno pensato che era meglio prendere due clienti paganti anche se arrivati all'ultimo momento, così ci siamo fiondati su. Il giro è stato naturalmente turistico esattamente come ci si può aspettare da questi tour: piccolo cabotaggio con il capitano che spiega rigorosamente in francese cosa stiamo vedendo e foglio plastificato in un italiano improbabile elargitoci, intermezzo bucolico con le balle di fieno buttate sulla spiaggia in modo che i cavalli della Camargue, doverosamente spronati da una buttera per mostrare che qui si è anche politically correct, si avvicinassero e venissero fotografati dai turisti a bocca aperta - soprattutto gli italiani; vista del traghetto che unisce le due sponde del Rodano nel momento in cui traghettava. L'unica cosa strana è che anche gli uccelli marini se ne stavano belli in posa, e non riesco a capire come siano riusciti a convincerli!

La scelta di prendere il primo giro è stata molto intelligente, comunque: è bastato vedere cosa stava succedendo all'imbarco mentre noi uscivamo. Lo spazio vitale non era contemplato nella corsa successiva, insomma. Visto che non era un problema nostro, ce ne siamo usciti belli belli e siamo andati verso Aigues-Mortes. Il traghetto non l'abbiamo preso, visto che avremmo dovuto aspettare un quarto d'ora buono: in realtà sono abbastanza convinto che lo tengano in funzione semplicemente come attrazione turistica, visto che c'è un ponte a pochi chilometri di distanza. La città è ancora tutta cintata. Non sono bene riuscito a capire la logica che ha portato alla recinzione di quello che originariamente era il porto da cui i crociati erano partiti per la Terra Santa, rendendo insomma la visita fatta dalle Tre Marie, ma il risultato è sicuramente imponente, anche se abbiamo deciso di non fare il giro dei bastioni né ci siamo fermati a vedere più di tanto l'interno. Degno di nota il fatto che, con la scusa che gli ingressi sono facilmente controllabili, sia praticamente impossibile per un turista entrarci con l'auto: le poche porte sono infatti sbarrate, e occorre una tesserina che presumo sia acquistabile a ben caro prezzo se uno non è residente locale. Presumo che sia anche interessante notare l'esistenza di un museo della tortura e del suo equivalente moderno, un enorme negozio di dolci vari, che però siamo riusciti a schivare.

Mentre il cielo si stava rannuvolando pesantemente, ci siamo diretti verso Arles: le distanze non sono certo grandi, quindi ci siamo giunti nel primo pomeriggio, ritrovandoci nei viali di circonvallazione con un traffico assolutamente mediterraneo. Parcheggiata l'auto in un silos, ci siamo addentrati nella città vecchia, iniziando dall'anfiteatro romano. Una parte dell'esterno è attualmente in restauro, ma questo non impedisce di comprare il biglietto per entrare a vedere l'interno. D'altra parte, un po' come l'Arena di Verona, il monumento continua ad essere usato: non per le opere liriche, ma per le corride alla camarguense, quelle dove il toro non viene ammazzato ma si cerca semplicemente di prendergli i nastri che gli vengono attaccati all'inizio, e che nel foglietto che ci avevano dato sul Tiki III venivano chiamati "gli attributi". Per la precisione, abbiamo preso il biglietto cumulativo che ci permetteva di visitare una serie di monumenti e musei: esso ha il gran vantaggio di avere una durata di ben tre mesi, il che ci ha fatto un po' perdonare il fatto che da luglio il Criptoportico è chiuso per motivi di sicurezza senza che il costo del biglietto cumulativo sia stato conseguentemente ridotto. Per la precisione, l'anfiteatro adesso lo usano per le corride, ma fino alla metà del diciannovesimo secolo era semplicemente utilizzato come muro molto robusto per farci le case intorno. Quando hanno fatto il censimento prima di radere al suolo tutto, all'interno ci stavano 212 case e 2 chiese: mica male, no? In compenso il teatro non è stato certo usato in quel modo, ma al limite come cava. Diciamo che di originale rimangono due colonne due e un tratto di muro, il che non impedisce - oltre che fare pagare il biglietto di ingresso - di mettere tutta una serie di seggiole per "fare spettacoli in un suggestivo ambiente".

La cattedrale, dedicata a Saint Trophime, è la quintessenza del gotico: alta e stretta come non mai. Il chiostro, in compenso, ha un isolamento perfetto: standoci dentro non si sentiva nulla dei rumori della piazza, era davvero un'oasi di pace... comprese le foto di Joan Fontcuberta (l'opera complessiva si chiamava ) che facevano parte di una mostra fotografica davvero grande, con 28 esposizioni sparse qua e là per la città. In questo caso, l'artista catalano mostrava immagini di un improbabile monastero di Valhamonde, nascosto in un'isola (chiamata più o meno Knossojärvi) in un labirinto tra i laghi finlandesi, dove tutti i santoni vanno a imparare le tecniche tipo il camminare sulle acque o la bilocazione.

Ma bisogna dire che Arles ha fatto grandi sforzi per la gioia dei turisti vicini e lontani. C'era tutta una serie di comparse vestite come antichi romani, che si facevano amabilmente fotografare presso la propria biga oppure che si mettevano a fare combattimenti di gladiatori. Più tardi ce li siamo anche trovati a sfilare fuori dalla parte pedonalizzata della città, formando una bella coda di automobilisti non esattamente felici della situazione. Altro folto gruppo di persone, anche se non credo invitate dall'ufficio turistico locale, erano i punkabbestia. Ne abbiamo visto davvero tanti, roba che qui in Italia, anche lontano dalle amministrazioni leghiste, non c'è mica... Misteri provenzali.

Un altro mistero è il ristorante che Anna si ricordava esserci una quindicina di anni fa: rammentava il nome ma non la sua locazione. Io, in un impeto di pragmatismo legato al pensiero "qui non si mangia..." sono anche andato all'ufficio del turismo a chiedere lumi, ma a quanto sembra non esiste più. Siamo così tornati a Saintes-Maries-de-la-Mer a provare Le brûleur de loups, che faceva parte del circuito di presidii della cucina locale come il nostro albergo. Dobbiamo dire che non si è mangiato male, ma la cucina della Flamant Rose era di un'altra categoria, senza contare che qui se la tirano ben di più e si fanno pagare anche abbastanza cari.


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