Venerdì 31 dicembre 2004

Il Piano A prevedeva di comprare la Carta Musei, spendendoci i nostri 18 euro a testa, andare al Louvre e se ci restava tempo alla Villette, più verso la Città della Musica che quella della Scienza e Tecnica. Non l'abbiamo seguito. Usciti infatti dall'albergo verso le 10 e fatta colazione in un'altra brasserie - sempre spendendo una barca di soldi, dobbiamo trovare i posti giusti - ci siamo avviati a piedi verso il Pompidou. Per strada, ci siamo imbattuti in un palazzo dall'aria interessante, con una bella scritta "Conservatoire des Arts et Métiers" o giù di lì. Ci siamo ricordati che Maurizio e Lucia ce l'avevano consigliato (solo in un secondo tempo abbiamo scoperto che non ci erano andati dopo la sua ristrutturazione...) e ci siamo fiondati dentro. Non solo non c'era nessuno in coda: ma addirittura in tutto il nostro giro, che tra una storia e l'altra è durato tre ore, non abbiamo sentito nessuno parlare in italiano. Sembra incredibile, ma basta spostarsi dai pochi musei parigini più noti e succede così. Anche due anni fa al Marmottan è stata la stessa cosa.

Il museo è molto interessante: rispetto all'omologo milanese lo ritengo meglio presentato, anche se forse con un po' meno materiale. Io ho apprezzato moltissimo la sezione con gli strumenti, dove ho visto per la prima volta i bastoncini di Nepero e la pascalina. Degno di nota l'avere una serie di postazioni video: magari non tutte funzionavano e alcuni dei filmati erano francamente banalotti e lenti, però c'era l'enorme valore aggiunto delle comode poltrone dove potevamo sederci e riposarci. Di quello che doveva essere stato l'allestimento vecchio, mi manca il trenino che passava tra le varie sale: o almeno mi è parso di aver visto per terra qualcosa che assomigliava a due rotaie, e a un certo punto c'era anche uno scambio. Altro punto interessante della visita è stata la ex cappella, dove oltre a una copia ridotta della Statua della Libertà si trova... il pendolo di Foucault. Beh, originariamente l'esperimento si era tenuto al Pantheon, ma poi una copia del pendolo è stata collocata qui. Ci sarebbero anche stati i birillini da far cadere per mostrare la rotazione terrestre dal vivo, ma gli inservienti non mi hanno permesso di rimetterli su. Cattivoni.

Ci siamo fermati a mangiare al ristorante interno, che fa piatti - non proprio economici ma buoni - cotti al vapore, e abbiamo poi proseguito con la visita all'esposizione temporanea, dedicata a Bartholdi e alla sua costruzione della Statua della Libertà, che come ricorderete è stata regalata dai francesi agli statunitensi (con nove anni di ritardo...) per il centenario della rivoluzione americana. Interessante scoprire come il modello sia stato fatto a grandezza umana e poi ingrandito in scala per due volte, e che la struttura portante della statua è stata definita da nientemeno che Gustave Eiffel. Tipico poi degli USA il non essersi preoccupati di fare il basamento quando già i pezzi della statua erano arrivati a New York... e mettersi di fretta e furia a raccogliere i fondi necessari.

Proseguendo poi la camminata, arrivati finalmente al Beauborg ci siamo guardati in faccia, e abbiamo deciso che non valeva affatto la pena di infilarci di nuovo al chiuso per vedere il museo di arte contemporanea al Pompidou. Abbiamo così proseguito per il Marais, passando inizialmente per il vecchio quartiere ebraico, che conserva ancora una serie di negozi con nomi come Finkelstein, e l'attestazione in bella vista di un qualche rabbino che garantiva come la pasticceria Tal dei Tali fosse rigorosamente kosher. Arrivati a piazza Vosgi siamo passati davanti alla casa di Victor Hugo e alla sezione staccata del Jeux des Paumes, e ci siamo sentiti un quartetto jazz che suonava sotto i portici e i cui componenti avevano un'età media ben superiore ai 50 anni.

Tornando indietro, invece che rue St. Martin abbiamo percorso rue St. Denis: come quella era la sede di innumerevoli negozi all'ingrosso di abbigliamento per l'infanzia, questa era un pullulare di sex shop, anzi privé dai nomi molto fantasiosi come Club 88, Club 117, Club 121. Almeno si sapeva il numero civico. Abbiamo poi comprato un po' di bottiglie di vino da Ronalba, in Faubourg St. Denis 54; la charcouterie era strapiena, ma per fortuna quasi tutti i clienti stavano comprandosi il formaggio per il cenone, e la sezione enoteca era vivibile.

In albergo abbiamo scoperto che nella stanza vicina alla nostro c'erano degli italiani, direi toscani dall'accento. Mi sa tanto che fossero convinti che le linee telefoniche francesi fossero malfatte, perché urlavano in maniera impossibile, raccontando a tutti i loro parenti le disavventure patite, tipo essere andati a un ristorante italiano che era gestito da un turco (nostro commento: ben vi sta). Dopo avere ascoltato come conviene a dei Veri Italiani il discorso di Carl'Azeglio, ed esserci arrabbiati perché l'inno di Mameli è stato biecamente tagliato, ci siamo incamminati verso casa di Maurizio e Lucia. La serata è stata come i soliti Mariodanni: molto cibo e alcool; lato musicale a iosa con Vito alla chitarra e io al piano che ci alternavamo e cose incredibili come le canzoni dello Zecchino d'Oro fine anni '60 cantate a squarciagola; fuochi d'artificio e bengala al balcone intorno a mezzanotte. Ah, sì: altra peculiarità è che qua nessuno si preoccupa di spaccare il secondo. Prima delle due, Anna ha però avuto un abbiocco, e ce ne siamo tornati in albergo assieme a Clelia, con il padrone di casa che ci ha guardati con aria dolorosamente stupita: "Come? niente fonduta di cioccolata?" Ogni tanto bisogna fare delle dure scelte, lo so.


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