La parola “ordine” è onnipresente nella lingua italiana: la possiamo trovare in politica, con gli “uomini d'ordine”, l'“ordine pubblico”; tra le casalinghe, che vogliono avere “la casa in ordine”; nei teatri, che si tengono gli ordini di poltrone; in botanica e zoologia per definire un essere vivente, e in architettura per indicare il tipo di colonne. Riesce persino a mettere d'accordo fanti e santi, rispettivamente con l'ordine cui ubbidire e l'ordine religioso cui appartenere, o con gli ordini che un prete prende. Insomma, una parola davvero per tutti gli usi. Eppure non se ne conosce l'origine. Sì, deriva dal latino ordo, ordinis, e fin qua ci si arriva. Ma la parola latina è di incerta origine: il DELI pensa derivi da un termine tecnico per indicare i fili dell'ordito, che poi è passato a “fila”, “posizione nella fila”, “posizione nella battaglia”, “comando”. Si vede che già i latini la usavano molto. Per etimo.it, invece, la radice or- è la stessa di “iniziare” (origine, oriente…), e quindi starebbe per “modo di procedere”. Vabbè. In ogni caso è chiaro che sono stati i matematici a rubare la voce al linguaggio comune, visto che il significato di “disposizione armonica” è attestato addirittura prima del Trecento e quello di “ordine religioso” si trova nel Boccaccio.
In matematica si usa direttamente la parola “ordine” in vari contesti. L'ordine di un gruppo è il numero di elementi del gruppo stesso; una relazione d'ordine, parziale o totale, è quella dove dati due elementi di un insieme puoi generalmente dire se uno è “prima” o “dopo” l'altro, e quindi metterli in ordine (magari non completo, se la relazione è parziale); la logica del primo ordine è quella ad esempio dei sillogismi, dove “se ogni uomo è mortale, e Socrate è un uomo, allora Socrate è mortale”. Ma tutti questi sono esempi dalla seconda metà dell'Ottocento in poi. Più interessante vedere che già intorno al 1750 venivano usati dei derivati del termine. Abbiamo infatti l'ordinata, che è la sorella dell'ascissa, quindi l'asse verticale quando facciamo il grafico cartesiano; e soprattutto l'ordinale, che è “il numero che indica la posizione di un elemento in un insieme ben ordinato”; il numerino romano dopo il nome dei re e dei papi nel linguaggio comune, e uno dei due modi di contare i numeri interi assieme ai cardinali. I modi sono due perché appunto negli ordinali li si mette tutti in ordine, mentre nei cardinali si fa il mucchio e ci si accontenta che siano distinti. Non è un problema di pignoleria, perché non appena si arriva agli insiemi infiniti si scopre che infiniti numeri ordinali corrispondono allo stesso numero cardinale. Ah, sì: a proposito di numeri infiniti, un'altra frase moderna è il buon ordinamento, dove si riesce a mettere un insieme in ordine in modo che ogni suo sottinsieme abbia un elemento “primo della fila”. Teoricamente va benissimo, in pratica nessuno è mai riuscito a trovare un buon ordinamento dei numeri reali tra 0 e 1, il che fa capire che non dev'essere un concetto così banale.
Abbiamo insomma una parola davvero versatile, non solo nella lingua comune ma anche in quella dei matematici! E dulcis in fundo, una chicca straniera. In francese il calcolatore (che per me dovrebbe essere un elaboratore, ma tant'è) si dice ordinateur. È sempre il nostro ordine! Ehm… non quello ufficiale, visto che la persona che mette in ordine sarebbe al più un ordonnateur: al limite ordinateur potrebbe essere stato un vescovo. Ma non sottilizziamo.
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