Giovedì 25 agosto 2005

È arrivato il momento di lasciare Albaron e soprattutto le sue zanzare, che anche alle dieci del mattino sono lì belle pronte a succhiarci il nostro bel sangue. La partenza come al solito è stata lenta, e ancora più rallentata perché ci siamo fermati al negozio bio all'innesto della superstrada, giusto per prendere due pacchetti di riso e lasciare vedere tutto il vedibile ad Anna. Quando le ho chiesto se si poteva andare via, ci siamo trovati subito dietro una famiglia belga che aveva fatto grandi spese e pagava col Bancomat: ma naturalmente in quel momento l'unica linea telefonica che avevano, e che quindi serviva per il pagamento, era occupata da una telefonata interminabile, e così dopo i cinque minuti di attesa perché i belgi facessero passasse tutto in cassa ne ho dovuti aspettare altri cinque perché finalmente potessi pagare i miei sei scarsi euro. Il fatto che ci fosse un'altra cassa non è stato considerato utile per migliorare la soddisfazione del cliente.

Riusciti finalmente a metterci sulla strada, l'idea iniziale era di passare da St-Rèmy-de-Provence a dare un'occhiata alla città e poi andare a comprare un po' di vino in un'azienda vinicola che Anna aveva annotato da una rivista. Con una decisione subitanea (tanto, cosa sono venti chilometri in più?) abbiamo deciso di deviare verso Avignone, a vedere il palazzo dei papi e il ponte d'Avignone immortalato dalla canzone. Lasciata la macchina al multipiano della stazione abbiamo attraversato tutta la parte storica, passando dalla piazza dell'orologio esattamente a mezzogiorno: peccato che sembra che il meccanismo delle figure animate non sia funzionante. Credo che sopravviveremo alla ferale notizia.

Il palazzo dei papi è davvero impressionante, sia a vederlo da fuori che passando nelle varie stanze - dopo avere pagato 11 euro e mezzo a testa per il biglietto cumulativo, voglio ancora vedere! D'altra parte, ogni papa cercava di abbellirselo e ampliarselo un po', e Clemente VI è persino arrivato a buttare giù parte delle edificazioni del suo predecessore per rifarle più grandi e piu belle che pria. Peccato che in realtà gli interni siano tutti rifatti: le piastrelle dei pavimenti sono state ricreate su modelli trovati qua e là, i mobili che si vedono a volte sono d'epoca ma messi solo per fare figura, e così via. È anche vero che tanto per cambiare, a parte gli assedi che i francesi gli portarono durante lo Scisma di Occidente, sono stati i rivoluzionari a combinare i peggio danni. Nel 1791 Avignone e la sua contea vennero "riunite alla Francia" (prima erano territorio papale), e il palazzo venne adibito a caserma, con tutto quello che si può immaginare: alcuni affreschi si sono sicuramente persi nel diciannovesimo secolo. Se devo essere sincero, mi chiedo anche quale fosse l'odore che si respirava a quei tempi: già oggi io percepivo un distinto afrore nelle stanze di dimensioni normali.

Due buffe cose: nel biglietto erano anche comprese delle audioguide, che abbiamo provato a usare scoprendo che proprio non ce la facciamo; inoltre siamo riusciti a fare il giro al rovescio. Un addetto ci ha infatti sollevato una corda divisoria, e ci siamo trovati nell'ultima sala. La guida Touring diceva che a volte il giro viene capovolto, quindi non ci siamo preoccupati più di tanto, almeno fino a quando non abbiamo visto masse di persone in senso contrario; però arivati all'ingresso abbiamo scoperto che non si poteva uscire dai tornelli che avremmo dovuto passare all'ingresso, e quindi ci siamo rifatti a passo di carriera tutte le sale, immagino tra gli sguardi stupiti di addetti e visitatori. In questo modo siamo anche stati costretti a passare non solo dalla solita libreria, ma anche dalla vineria del castello, in vero stile "mercanti del tempio". E casualmente in quella sala, "dove c'erano le cantine dei papi", l'avevano messa l'aria condizionata...

Siamo così arrivati al ponte d'Avignone, che in realtà è solo mezzo ponte: un paio di secoli dopo la sua costruzione, infatti, una piena del Rodano più violenta del solito distrusse la metà opposta alla riva della città. Probabilmente avevano capito che forse era meglio lasciar perdere: solo che non si poteva buttare giù anche il resto, perché su uno dei piloni avevano costruito una cappelletta che non poteva restare certo isolata. Poi già che c'erano ne costruirono un'altra sopra la prima, a livello della strada che così si è ridotta a un passaggio pedonale o poco più, ma non certo sufficiente per un carro. O forse l'hanno fatto apposta per evitare che qualcuno provasse a ricostruire l'altro mezzo ponte? Chi lo può sapere. Non credo che la cosa venisse nemmeno spiegata dalle audioguide, onnipresenti come al solito e che facevano sembrare i loro proprietari dei docili zombie che passeggiavano con espressione vacua sul ponte. In effetti, sembravano personaggi di un film di fantascienza di quelli anni '50: "Gli schiavi della Voce".

Anche senza audioguida, ho però commesso il mio solito errore non volendo fermarmi a mangiare prima della visita al ponte, anche se avremmo dovuto aspettare un po'; così dopo che siamo usciti il posto che Anna avrebbe gradito per farsi un'insalata era ormai chiuso, la sfilza di ristoranti in piazza dell'Orologio non dava una grande idea e ci siamo dovuti limitare a una crèpe presa per la strada, mentre tornavamo verso l'auto. Ah, un'annotazione: ci sono tantissimi trompe-l'oeil, che a quanto pare sono considerati un arredamento urbano accettabile. Già ad Arles ne avevamo visti, ma qua ce ne sono davvero tanti.

Siccome erano già le 15, Anna ha preferito evitare di tornare verso St. Remy e il vino, e quindi ci siamo lanciati direttamente in direzione del nostro nuovo albergo. Per strada siamo passati per Apt, e visto che mi era venuto un colpo di sonno pomeridiano ne abbiamo approfittato per fermarci a dare un'occhiata alla città. Apt si autodefinisce capitale dell'ocra, intesa sia come terra che come colori, e della frutta candita. Abbiamo anche visto un negozio che esponeva fieramente le sue produzioni, con delle composizioni che onestamente mi facevano più che altro pensare a qualcosa di funebre: ma questo potrebbe essere dovuto in parte al mio noto disgusto per l'articolo. Il centro storico è anche simpatico, a parte la sfilza di negozietti che vendono tutti più o meno articoli per turisti; meno simpatico è l'attraversamento della cittadina, con una coda che non finiva più. Nella piazza della sottoprefettura stavano anche preparando i banchetti per il mercatino straordinario notturno: non si fanno mancare nulla, qua!

Ripreso il cammino, siamo arrivati finalmente a Mane e abbiamo trovato subito il Mas du Pont Roman, una bella struttura in cui poi soprattutto ci hanno dato una bellissima stanza (la cigale, per la precisione, visto che qui le stanze non sono numerate ma chiamate per nome). Rispetto a quanto avuto finora, sia la stanza che il bagno sono davvero una piazza d'armi: il letto è poi finamente di una lunghezza umana, anche se non si può avere tutto dalla vita e quindi i materassi sono divisi. Dopo esserci rinfrescati e riposati un attimo, era già quasi ora di cena: non avendo voglia di fare ancora strada, ci siamo limitati ad andare in paese, che dista un chilometro, e avere un'ottima cena al Jardin de Provence, mangiando nel giardino assieme a vari commensali e tre gatti speranzosi di un po' di cibo.


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