Quanti giorni ha la quaresima?

Oggi è la prima domenica di quaresima. La quaresima si chiama così perché dura quaranta giorni, questo lo sanno tutti. Ma sono molto pochi quelli che si sono messi a fare i conti… anche perché i conti non tornano. Vediamo.

La quaresima è il periodo tra il mercoledì delle Ceneri e Pasqua: se apriamo un calendario, scopriamo che però dura sei settimane e quattro giorni, per un totale di 46 giorni (Pasqua esclusa). Anche se prendiamo la quaresima ambrosiana, che è iniziata oggi, i giorni sono comunque 42: un numero interessante, ma nondimeno maggiore di 40. Cos’è, Santa Romana Chiesa fa la furba e cerca di barare sulle date?

Beh, non è proprio così. Nel rito romano non si considerano le sei domeniche di quaresima, nelle quali la penitenza veniva mitigata: quarantasei meno sei fa giusto quaranta. Nel rito ambrosiano le domeniche contano per il periodo, ma i quaranta giorni terminano con il giovedì santo (per la precisione con l’ora nona), perché i riti del triduo pasquale vanno per conto loro. Il totale rimane così sempre quaranta.

Resta ora la domanda: perché proprio 40 giorni? Qui la risposta è più semplice: la Bibbia è piena di riferimenti al numero 40, basta fare una ricerca «meaning 40 Bible» per trovare risposte a pacchi. I 40 giorni del diluvio, i 40 anni in cui gli israeliti hanno vagato su e giù per il Sinai prima di raggiungere la terra promessa… insomma il 40 è il numero che indica un tempo di penitenza e purificazione. A questo punto è ovvio che si è partiti dal 40 e poi si è ricavato all’indietro il periodo da considerare… tanto che per gli ambrosiani l’avvento dura appunto 40 giorni.

Ultimo aggiornamento: 2015-02-22 21:50

19 pensieri su “Quanti giorni ha la quaresima?

  1. M.Fisk

    Detta così però sembra che la quaresima ambrosiana sia più severa di quella romana, in quanto non mitigata la domenica, mentre invece, come Lei ben sa, è il contrario, essendo quella ambroziana una quaresima di penitenza e preparazione (caratteristiche compatibili con la festività domenicale), e quella romana invece di digiuno in senso stretto, in quanto tale non ammissibile la domenica.

    1. .mau. Autore articolo

      @layos: i quaranta giorni di Gesù nel deserto erano facili, e li ricordano in tanti. Quello che non sanno è che il numero aveva una lunga tradizione. (poi intendiamoci, non lo sapevo nemmeno io prima di mettermi a cercare informazioni per scrivere questo post)
      @Gian Carlo: in questo caso più che di calcolatrice parlerei di simbolismo.
      @m.fisk: beh, digiuni e astinenze ci sono anche nella quaresima ambrosiana, AFAIK. Poi è vero che le cose le fanno diverse, tipo il venerdì aliturgico.

      1. Barbara

        “non lo sapevo nemmeno io prima di mettermi a cercare informazioni per scrivere questo post” come si vede che non hai mai fatto catechismo.

          1. Barbara

            Però che io sappia non è mai stato catechista. È la tipica cosa che insegni tutti gli anni (in Quaresima, per l’appunto).

      2. M.Fisk

        Certo che ci sono, ma è proprio l’essenza della quaresima che è differente. Nella tradizione ambrosiana la quaresima ha mantenuto intatto il significato battesimale dei primi secoli (e in tal quadro i digiuni e le penitenze hanno funzione rafforzativa di tale percorso di purificazione), mentre in quella posttridentina essa diviene essenzialmente pentimento ed espiazione.

        1. mestesso

          Corretto. In questa ed altre occasioni il rito ambrosiano è da un punto di vista teologico molto più vicino alle comunità protocristiane che non alla teologia attuale.

          @GianCarlo: fosse vero il tuo assunto, la vita di chiunque è appesa ad una calcolatrice, pensi di vivere al di fuori di qualsiasi calendario? Pensi che un calendario del tutto laico non imporrebbe ritmi, sia pur diversi?

          1. Gian Carlo

            Quindi il monolito nero altro non sarebbe che una calcolatrice Texas vista da dietro?

        2. un cattolico

          @ M.Fisk: nota la differente prospettiva delle due Quaresime nei due riti latini è chiaro che le opere di carità, l’intensificazione della preghiera, i digiuni e le astinenze proposte nel rito romano sono tutte rivolte alla conversione del fedele.
          Ma anche nel rito romano si è conservata (in misura minore) la bella tradizione del battesimo dei catecumeni adulti nella Veglia pasquale.
          Ricordo a tal proposito con piacere la Veglia di tre anni fa, con una neo-parrocchiana ventenne che ha ricevuto nella tipica veste bianca battesimo, prima comunione e cresima (senza “doppi fini”… Non “doveva sposarsi”, né doveva “far da madrina” a qualcuno, come in teoria dovrebbe essere sempre…).

  2. Gian Carlo

    Un altra dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che le religioni sono scritte più con la calcolatrice che con la fede.

    1. un cattolico

      E qualche volta si inceppano pure…

      Come spiegare altrimenti la Trinitas (il termine coniato da Tertulliano per spiegare l’unità di Dio in tre Persone: uno, in tre, ma uno)?

  3. un cattolico

    @ .mau.: se ho capito bene, leggendo qua e là, i giorni aliturgici [1] nella Grande Quaresima [2] delle Chiese orientali (cattoliche od ortodosse che siano) sono molti di più che non nel rito romano (che ha solo il Venerdì Santo) o nel rito ambrosiano (a proposito: quanti sono i giorni “aliturgici” nel rito ambrosiano?? Non l’ho mai cercato!).

    [1] che poi dovrebbe essere improprio parlare di “giorni aliturgici”, almeno per quanto riguarda il Venerdì Santo del rito romano, che al più è un giorno aneucaristico, essendo celebrata in quel giorno l’Azione liturgica della Passione del Signore (con l’adorazione della Croce e la suggestiva immagine dei sacerdoti prostrati a lungo a terra davanti all’altare, all’inizio dell’atto liturgico).
    [2] gli orientali adorano le maiuscole! :D La loro messa è infatti chiamata “Divina Liturgia”, cattolici od ortodossi che siano :)

      1. un cattolico

        Ehm feria si potrà sposare bene con tutti i venerdì quaresimali, ma non certo col Venerdì Santo (che ha il grado di solennità, e la più alta in assoluto, insieme agli altri due giorni del Triduo Pasquale della Settimana Santa)…

        Ma parlo per il rito romano, cui appartengo. Non so se nel rito ambrosiano quella che per voi (sei/saresti ambrosiano?) è la Settimana Autentica prevede un Venerdì Santo (sempre che si chiami così anche da voi) come feria e non solennità.

    1. .mau. Autore articolo

      che io sappia, i giorni aliturgici nel rito ambrosiano sono i cinque venerdì di quaresima, più il Venerdì Santo (che come nel rito romano ha però una sua liturgia; durante i venerdì di quaresima invece ci si limita a fare la Via Crucis)

  4. laperfidanera

    Sì, è curioso questo ripetersi dei 40 giorni, evidentemente di antica tradizione, probabilmente da prima del cristianesimo.
    Non dimentichiamo che hanno anche dato nome alla “quarantena” (magari per certe possibili infezioni dura meno di 40 giorni) e che lo stesso nome viene dato al periodo di puerperio (periodo di 6-8 settimane dopo il parto), ora visto come un periodo di ripresa fisica della madre, ma un tempo legato a pratiche anche scaramantiche o pseudoreligiose.

  5. un cattolico

    Passi tratti da una delle belle catechesi del Papa emerito.

    http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2012/documents/hf_ben-xvi_aud_20120222.html

    «Con una espressione diventata tipica nella Liturgia, la Chiesa denomina il periodo nel quale siamo entrati oggi «Quadragesima», cioè tempo di quaranta giorni e, con un chiaro riferimento alla Sacra Scrittura ci introduce così in un preciso contesto spirituale.

    Quaranta è infatti il numero simbolico con cui l’Antico e il Nuovo Testamento rappresentano i momenti salienti dell’esperienza della fede del Popolo di Dio. È una cifra che esprime il tempo dell’attesa, della purificazione, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle sue promesse.

    Questo numero non rappresenta un tempo cronologico esatto, scandito dalla somma dei giorni. Indica piuttosto una paziente perseveranza, una lunga prova, un periodo sufficiente per vedere le opere di Dio, un tempo entro cui occorre decidersi ad assumere le proprie responsabilità senza ulteriori rimandi. È il tempo delle decisioni mature.

    Il numero quaranta appare anzitutto nella storia di Noè.
    Quest’uomo giusto, a causa del diluvio trascorre quaranta giorni e quaranta notti nell’arca, insieme alla sua famiglia e agli animali che Dio gli aveva detto di portare con sé. E attende altri quaranta giorni, dopo il diluvio, prima di toccare la terraferma, salvata dalla distruzione (cfr Gen 7,4.12; 8,6).

    Poi, la prossima tappa: Mosè rimane sul monte Sinai, alla presenza del Signore, quaranta giorni e quaranta notti, per accogliere la Legge. In tutto questo tempo digiuna (cfr Es 24,18).

    Quaranta sono gli anni di viaggio del popolo ebraico dall’Egitto alla Terra promessa, tempo adatto per sperimentare la fedeltà di Dio. «Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni… Il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni», dice Mosè nel Deuteronomio alla fine di questi quarant’anni di migrazione (Dt 8,2.4).

    Gli anni di pace di cui gode Israele sotto i Giudici sono quaranta (cfr Gdc 3,11.30), ma, trascorso questo tempo, inizia la dimenticanza dei doni di Dio e il ritorno al peccato.

    Il profeta Elia impiega quaranta giorni per raggiungere l’Oreb, il monte dove incontra Dio (cfr 1 Re 19,8).

    Quaranta sono i giorni durante i quali i cittadini di Ninive fanno penitenza per ottenere il perdono di Dio (cfr Gn 3,4).

    Quaranta sono anche gli anni dei regni di Saul (cfr At 13,21), di Davide (cfr 2 Sam 5,4-5) e di Salomone (cfr 1 Re 11,41), i tre primi re d’Israele.

    Anche i Salmi riflettono sul significato biblico dei quaranta anni, come ad esempio il Salmo 95, del quale abbiamo sentito un brano: «Se ascoltaste oggi la sua voce! “Non indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere. Per quarant’anni mi disgustò quella generazione e dissi: sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie”» (vv. 7c-10). [Nota di un cattolico: questo salmo è usato come Invitatorio (una sorta di intro giornaliera) della Liturgia delle Ore tutti i giorni dell’anno, tranne che se si vogliano usare i due salmi alternativi)]

    Nel Nuovo Testamento Gesù, prima di iniziare la vita pubblica, si ritira nel deserto per quaranta giorni, senza mangiare né bere (cfr Mt 4,2): si nutre della Parola di Dio, che usa come arma per vincere il diavolo. Le tentazioni di Gesù richiamano quelle che il popolo ebraico affrontò nel deserto, ma che non seppe vincere.

    Quaranta sono i giorni durante i quali Gesù risorto istruisce i suoi, prima di ascendere al Cielo e inviare lo Spirito Santo (cfr At 1,3).

    Con questo ricorrente numero di quaranta è descritto un contesto spirituale che resta attuale e valido, e la Chiesa, proprio mediante i giorni del periodo quaresimale, intende mantenerne il perdurante valore e renderne a noi presente l’efficacia. La liturgia cristiana della Quaresima ha lo scopo di favorire un cammino di rinnovamento spirituale, alla luce di questa lunga esperienza biblica e soprattutto per imparare ad imitare Gesù, che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto insegnò a vincere la tentazione con la Parola di Dio. I quarant’anni della peregrinazione di Israele nel deserto presentano atteggiamenti e situazioni ambivalenti. Da una parte essi sono la stagione del primo amore con Dio e tra Dio e il suo popolo, quando Egli parlava al suo cuore, indicandogli continuamente la strada da percorrere. Dio aveva preso, per così dire, dimora in mezzo a Israele, lo precedeva dentro una nube o una colonna di fuoco, provvedeva ogni giorno al suo nutrimento facendo scendere la manna e facendo sgorgare l’acqua dalla roccia. Pertanto, gli anni trascorsi da Israele nel deserto si possono vedere come il tempo della speciale elezione di Dio e della adesione a Lui da parte del popolo: tempo del primo amore. D’altro canto, la Bibbia mostra anche un’altra immagine della peregrinazione di Israele nel deserto: è anche il tempo delle tentazioni e dei pericoli più grandi, quando Israele mormora contro il suo Dio e vorrebbe tornare al paganesimo e si costruisce i propri idoli, poiché avverte l’esigenza di venerare un Dio più vicino e tangibile. È anche il tempo della ribellione contro il Dio grande e invisibile.

    Questa ambivalenza, tempo della speciale vicinanza di Dio – tempo del primo amore -, e tempo della tentazione – tentazione del ritorno al paganesimo -, la ritroviamo in modo sorprendente nel cammino terreno di Gesù, naturalmente senza alcun compromesso col peccato. Dopo il battesimo di penitenza al Giordano, nel quale assume su di sé il destino del Servo di Dio che rinuncia a se stesso e vive per gli altri e si pone tra i peccatori per prendere su di sé il peccato del mondo, Gesù si reca nel deserto per stare quaranta giorni in profonda unione con il Padre, ripetendo così la storia di Israele, tutti quei ritmi di quaranta giorni o anni a cui ho accennato. Questa dinamica è una costante nella vita terrena di Gesù, che ricerca sempre momenti di solitudine per pregare il Padre suo e rimanere in intima comunione, in intima solitudine con Lui, in esclusiva comunione con Lui, e poi ritornare in mezzo alla gente. Ma in questo tempo di “deserto” e di incontro speciale col Padre, Gesù si trova esposto al pericolo ed è assalito dalla tentazione e dalla seduzione del Maligno, il quale gli propone una via messianica altra, lontana dal progetto di Dio, perché passa attraverso il potere, il successo, il dominio e non attraverso il dono totale sulla Croce. Questa è l’alternativa: un messianesimo di potere, di successo, o un messianesimo di amore, di dono di sé.

    Questa situazione di ambivalenza descrive anche la condizione della Chiesa in cammino nel “deserto” del mondo e della storia. In questo “deserto” noi credenti abbiamo certamente l’opportunità di fare una profonda esperienza di Dio che rende forte lo spirito, conferma la fede, nutre la speranza, anima la carità; un’esperienza che ci fa partecipi della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte mediante il Sacrificio d’amore sulla Croce. Ma il “deserto” è anche l’aspetto negativo della realtà che ci circonda: l’aridità, la povertà di parole di vita e di valori, il secolarismo e la cultura materialista, che rinchiudono la persona nell’orizzonte mondano dell’esistere sottraendolo ad ogni riferimento alla trascendenza. E’ questo anche l’ambiente in cui il cielo sopra di noi è oscuro, perché coperto dalle nubi dell’egoismo, dell’incomprensione e dell’inganno. Nonostante questo, anche per la Chiesa di oggi il tempo del deserto può trasformarsi in tempo di grazia, poiché abbiamo la certezza che anche dalla roccia più dura Dio può far scaturire l’acqua viva che disseta e ristora.

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