giovedì 17 agosto

Come dite voi, "freddo"? Durante la notte sono letteralmente congelato. Non saprei nemmeno dire perché, visto che oggettivamente non èche la temperatura nella camera fosse così bassa e ad ogni buon conto il piumone era più che sufficiente; però resta il fatto che mi sembrava di essere un ghiacciolo, e c'è voluto un bel po' di tempo prima che riuscissi a raggiungere una temperatura corporea sufficiente a permettere di addormentarmi. Come contrappasso, Anna si è invece svegliata molto presto la mattina a causa della luce che filtrava dalla finestra nonostante le tende tirate; in questo caso, la cosa peggiore è stato scoprire che a differenza di quanto accade normalmente in Germania la stanza era fornita di tapparelle che avrebbe potuto utilizzare proficuamente.

Il programma della giornata prevedeva la visita di Stoccarda, che abbiamo intrapreso con la baldanza che ormai ci accompagna. Dal mio punto di vista c'era un vantaggio intrinseco: sono stato là qualche volta, e sapevo che la mia memoria visiva, ancorché scarsa, mi avrebbe permesso di non perdermi del tutto. Dopo una passeggiata in centro senza meta precisa, passando tra l'altro dall'Altes Schloss dove abbiamo sentito un organista chiuso dentro la cappella del castello - e garantisco non siamo stati i soli a cercare di vedere dove diavolo fosse la porta per entrare ad ascoltarlo - ci siamo diretti verso la Staatsgalerie. All'inizio ci siamo stupici che ci fosse relativamente poca gente; solo in biglietteria abbiamo scoperto che la galleria era chiusa per "renovierung", e che si poteva solo visitare le due mostre temporanee: una che non ricordo nemmeno ma sicuramente non ci interessava per nulla, e una su Monet. Quest'ultima era stata considerata come un plus, ma averla come unica possibilità ci ha sconcertati un poco: alla fine però abbiamo deciso che tanto eravamo lì e quindi poteva valere la pena di vederla. Per sicurezza chiedo ancora in biglietteria se proprio non ci fosse null'altro; lui mi risponde "no, c'è anche una sala sopra con un pochino di roba"; o almeno il mio scarso tedesco mi ha fatto capire questo.

La mostra su Monet occupava solamente un (grande, d'accordo, ma singolo) salone, dove erano più o meno stipate parecchie decine di opere. Inutile dire che il salone era strapieno; più interessante notare una differenza rispetto agli italiani. Qua la gente se ne stava tutta a una certa distanza dai quadri; una distanza fin troppo grande rispetto alla dimensione delle scritte con i nomi, che risultavano francamente illeggibili. Per quanto riguarda la mostra vera e propria, è stata una mezza delusione. Già a suo tempo, quando andammo a Parigi al museo Marmottan, ci era venuto qualche dubbio sulla proliferazione di ninfee nella produzione artistica di Monet; ma qua ne abbiamo avuto la conferma. C'erano quadri su quadri assolutamente identici, prodotti evidentemente in serie: probabilmente il pittore aveva capito di avere un'ottima nicchia di mercato a disposizione, e produceva in serie vendendo ai ricchi americani felicissimi di spendere soldi per un'"opera unica". Mettendoli però tutti insieme, si ha come l'impressione di trovarsi davanti a un file altamente comprimibile.

Finita la rapida visita, prima di uscire ho provato a dare un'occhiata in giro e sono riuscito a trovare la sala "con un po' di roba". Beh, i Picasso, i Matisse e le altre opere che erano in mostra, anche se poche, erano molto più interessanti e piacevoli della parte per cui abbiamo pagato, senza contare che non c'era quasi nessuno: da buoni tedeschi, loro saranno andati a vedere la mostra temporanea, non il resto! Volevo quasi passare dietro una paratia e vedermi un'altra sala che si intravedeva, ma credo che l'addetto al museo che stava nella nostra sala non avrebbe apprezzato molto la cosa.

Usciti dal museo, siamo tornati nella zona pedonale per mangiarci il pranzo in uno dei vari bar coi tavolini messi in mezzo alla strada. Abbiamo scelto un locale australiano, che naturalmente aveva il menù australo-tedesco esattamente come da noi l'avrebbe avuto australo-italico. Preso poi un caffè rigorosamente all'italiana - e sulla vietta avevamo solo l'imbarazzo della scelta, con Illy, Segafredo e Lavazza fianco a fianco - ci siamo avviati verso la partenza della cremagliera per i quartieri collinari di Stoccarda, indicata dalla guida e che io tra l'altro non avevo mai provato nei miei trascorsi in città.

Aveva anche preso a fare parecchio caldo, quindi ce la siamo presa comoda, e siamo stati puniti. Arrivati in piazza Sankta Maria abbiamo infatti scoperto che era appena partito un veicolo, e quindi avevamo un quarto d'ora di attesa, il che è stato proficuamente impiegato dal sottoscritto per cercare di capire quale tra le svariate combinazioni di biglietti offerti dalla macchinetta automatica potesse risultare il migliore. Arrivato finalmente il 10, siamo saliti assieme a un bel po' di persone e un paio di biciclette che hanno la loro bella pedana esterna. La cremagliera sembra proprio essere perfettamente integrata nei trasporti locali: si paga un biglietto un po' più caro ma solo perché si esce dalla zona centrale della città. Arrivati al capolinea, la torre spuntava in lontananza, ma non ero sicuro della direzione giusta e avevo una delle mie solite obnubilazioni linguistiche: non mi veniva per nulla in mente la parola "Fernseher" e mi ostinavo sulle onde radio "Rundfunk". Per una volta le persone cui avevo chiesto informazioni non erano sveglie, come invece mi capita di solito, ed è stato difficile trovare la strada giusta, che poi per fortuna era tutta dritta. Avremmo anche potuto prendere il bus, ma baldanzosi come sempre abbiamo scelto di camminare sul marciapiede tra il bosco e la strada di grande comunicazione.

La torre della televisione è stata opportunamente oggetto di una attenta sinergia, e quindi è piena di gente che paga 3 euro per salire sul terrazzino panoramico e vedere la città. Finalmente mi ero ricordato di portare con me il binocolo; il centro ("storico" non me la sento proprio di dirlo, visti tutti i bombardamenti che ha subito) è visibilissimo, ma quello che almeno a me ha lasciato stupito è la quantità enorme di verde nei dintorni. Stoccarda è non dico circondata, ma almeno affiancata da un polmone verde che qui da noi ce lo scordiamo. Anche quando siamo scesi e abbiamo preso il tram 15 per rientrare in centro, il primo tratto del percorso è stato proprio in mezzo a un bosco, lontano dalle strade. Sarebbe un po' come se a Torino un tram partisse dal parco Europa a Cavoretto, ma anche peggio, perché lì il parco è più simile a un prato, mentre qua eri proprio in mezzo alle piante. Il tempo dedicato alla visita della città era però terminato: siamo così ripartiti per l'albergo, non senza avere comprato un paio di vasi di vetro e un congruo numero di litri d'acqua a un Lidl locale. Il deposito per il contenitore costava quasi il doppio del contenuto :-)

Nel percorso di ritorno siamo passati per Calw e Hirsau. La prima è una cittadina la cui maggior notorietà consiste nell'avere dato i natali ad Hermann Hesse, che sembra abbia scritto qualcosa del tipo di "ah, ho visto tanti bei posti, ma nessuno può competere con Calw!" Sarà. Mi sa tanto che il locale ente pro turismo l'avesse pagato lautamente. Non che sia un posto brutto, intendiamoci: però non è nemmeno nulla di particolare, un paesino come se ne trovano tanti. Se si vuole, si può aggiungere come caratteristica locale la cappella di San Nicola sul fiume, ma bisogna proprio tirare la cosa per i capelli. In compenso, Hirsau è molto più interessante, ammesso che uno si accorga della sua esistenza. Per la precisione, non è tanto il paese ad avere una sua bellezza intrinseca, quanto il complesso corrispondente al castello e monastero medievali. Del castello rimagono solo i muri perimetrali, mentre del primissimo monastero si vedono le fondamenta; tutto il resto però è ancora abitato, e quindi ben conservato. Purtroppo era tardi, e ci siamo dovuti accontentare di passeggiare nel parco e vedere tutto dall'esterno; ma l'impressione è stata comunque positiva.

Nell'ultimo tratto da Hirsau a Bad Liebenzell, siamo poi stati pinzati da un radar. Almeno, ho visto con la coda dell'occhio un flash, ormai era quasi il tramonto e quindi si notava bene: voltatomi indietro ho notato lo scatolotto e ho capito cosa era successo. Di questi autovelox all'ingresso dei paesi ce ne sono un numero esorbitante, ma in genere eravamo sempre stati attenti a non andare veloci: speriamo che non arrivi la multa a casa di Marina. L'altra brutta notizia ce la siamo trovati una volta rientrati nelle nostre camere; non erano state rifatte. Fosse solo per il letto non sarebbe poi stato chissà quale problema, tanto i piumoni si preparano in un amen; ma noi avevamo accuratamente seguito i dettami "butta gli asciugamani per terra, se vuoi che te li cambino" e quindi eravamo rimasti senza. Visto che tanto avevamo pensato di restare a mangiare lì al ristorante (piuttosto caro, tra l'altro... si vede che Bad Liebenzell è un posto di moda) abbiamo unito l'utile al dilettevole, e ho chiesto alla padrona se poteva fornirci dei nuovi asciugamani. Bisogna riconoscere che lo sguardo di stupore sembrava sincero, e che alla fine della cena, quando siamo rientrati in camera, era tutto perfettamente a posto.


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