Dimostrazioni pubblicitarie

L'inizio della dimostrazione
Domenica 9 maggio il quotidiano Libero ha ospitato a pagina 12 una pubblicità piuttosto strana: la dimostrazione dell’Ultimo Teorema di Fermat. Non pubblico qui la pagina perché presumo che anche se è un’inserzione pubblicitaria rimane sotto copyright: so però che qui c’è una copia abbastanza leggibile per i curiosi. Non entro neppure nella scelta del quotidiano di pubblicare un annuncio pubblicitario: sono affari loro. Permettetemi però di fare una rapida analisi del testo, perché è un condensato di cosa non bisogna fare in matematica.

L’inizio della “dimostrazione”, tradotto in linguaggio matematico, dice che se si prende un numero, lo si scrive come z=x+y e lo si eleva al quadrato si ottiene z²=x²+y²+2xy. Visto che c’è un pezzo in più, non è possibile che un quadrato sia la somma di due quadrati. Come vi sarete sicuramente accorti, questa è una fallacia molto semplice da confutare. Nel linguaggio comune è l’equivalente di “io non so fare una certa cosa, quindi quella cosa è impossibile”. Nel linguaggio della logica, per dimostrare che non esiste alcun X tale che valga la proprietà P(X) non basta dire “ho trovato un Y per cui non vale la proprietà P(Y)”, ma bisogna mostrare che la proprietà non vale per tutti gli Y possibili. Naturalmente l’autore di quella pagina sa bene che la sua “dimostrazione” non può però essere corretta, dato che l’esperienza ci fa sapere che per esempio 5²=3²+4². E dunque? Dunque prende e porta a casa il fatto che per l’esponente 2 esistono degli esempi dove vale il teorema, e si accinge a fare la sua dimostrazione.

L’autore dimostra (correttamente) che un numero dispari è esprimibile come differenza di due quadrati, e quindi se il numero di partenza è un quadrato si è ottenuta quella che il resto del mondo chiama terna pitagorica; solo che da lì afferma dogmaticamente che questo vale solo per i quadrati e non per i cubi, perché “2x+1+x³-x³ non daranno mai la differenza di 2 numeri consecutivi elevati al cubo, meno che mai se eleviamo a potenze ancora superiori”. Non riesco bene a capire perché da un caso molto particolare – quello di due numeri consecutivi elevati al cubo – l’autore passi al caso generale; e ho il sospetto che anche lui abbia qualche minimo e fugace dubbio. Infatti continua scrivendo che “Nonostante la dimostrazione iniziale che mi sembra più che sufficiente alla bisogna, resta il dubbio di sapere se questa sia l’unica possibilità”; e se la cava dicendo di avere fugato il dubbio “con alcune tabelle numeriche”. Ora, nulla contro la matematica computazionale, quella che cerca nuovi teoremi facendo i conti. Persino Gauss ha compilato tabelle su tabelle. Solo che le tabelle gli servivano per fare congetture ed eventualmente poi dimostrarle, non per mettere sulla bilancia una sfilza di numeri e commentare che ce n’erano abbastanza per convincere anche i più riottosi. Resta una grande verità: “la stragrande maggioranza dei numeri interi -limitatamente al quadrato- soddisfa l’enunciato” (del teorema di Fermat). A dire il vero non serviva una pagina di quotidiano per asserirlo, bastava prendere un libro della scuola media…

Da un punto di vista prettamente filosofico, infine, ci sono punti interessanti. Abbiamo il kroneckerismo esplicito, quando l’autore scrive “I numeri interi naturali (e tralascio tutti gli altri in quanto sono gli unici che considero certificati)”; un platonismo temperato che tende quasi alla matematica umanista di Hersh e Davis, con la frase “I numeri prima menzionati sono i risultati di operazioni matematiche, sono cioè di risulta, e questo non impedisce che siano anch’essi interi naturali, ma, concedetemi l’espressione, appartengono dopo un uso specifico al campo del soggettivo pur essendo realtà oggettive”; non sono certo di poter anche considerare in questo caso anche il fatto che “la realtà effettuale presenta soluzioni e cose che noi col ragionamento saremmo costretti a bollare come impossibili, tipo il pi greco”. Non possiamo poi tralasciare la creazione di nuova terminologia (i “numeri ibridi”, che sono pari ma non potenze perfette di due) e l’inevitabile citazione (le tabelle numeriche preparate dall’autore non sono presenti perché “purtroppo qui non hanno spazio sufficiente”).

Ma detto tutto ciò resta naturalmente la Vera Domanda: perché qualcuno dovrebbe acquistare uno spazio su un quotidiano per presentare la dimostrazione di un risultato matematico? Non ne ho la più pallida idea. Se qualcuno vuole proprio saperlo, può però sempre scrivere all’autore, che si è firmato alla fine del testo…

Ultimo aggiornamento: 2021-05-18 17:17

8 pensieri su “Dimostrazioni pubblicitarie

  1. Bubbo Bubboni

    E’ un bel mistero, anche perché il testo non è propriamente adeguato ad essere un autoelogio della propria abilità calcolatoria o filosofico-intellettiva, quindi escluderei il giro dei vanitosi o dei disoccupati sub-intellettuali tanto ma tanto creativi.
    Una volta c’erano delle pubblicità cartacee che avevano testi simili per rientrare nei limiti degli sconti postali o le radio che sono costrette a improbabili “auto-produzioni” per godere di qualche generosa legge equo-distributoria.
    Forse ai giornali interessa avere una certa quota di pubblicità per accedere a qualche altra agevolazione?

  2. dag68

    C’è pure una dotta quasi-citazione (casuale, suppongo): “…che purtroppo qui non hanno spazio sufficiente”.

    Per il resto non so: ho sentito ubriachi esprimersi in modo molto più coerente.

    1. LightKnight

      Ritorno? Non se n’è mai andata… il newsserver che uso filtra i messaggi del suo autore, ma lui è sempre lì che tempesta il gruppo.

  3. LightKnight

    In questa frase non manca un “non”?

    «Nel linguaggio della logica, per dimostrare che [NON] esiste un X tale che valga la proprietà P(X) non basta dire “ho trovato un Y per cui non vale la proprietà P(Y)”, ma bisogna mostrare che la proprietà non vale per tutti gli Y possibili.»

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