=====cifra ===== "Quella tipa là mi piace una cifra!" La frase che ho appena scritto non sarà probabilmente un esempio di bello scrivere, ma è accettabile in italiano: uno dei significati per estensione di **cifra**, se preceduto da un articolo indeterminativo, è per l'appunto "moltissimo". La cosa divertente è che in questo modo il significato originario viene totalmente rovesciato! Ma d'altra parte si direbbe che la parola voglia davvero dire tutto e il contrario di tutto? La storia etimologica della parola cifra parte da lontano, per la precisione dal sanscrito, che aveva il termine //shunya// (gli esperti di sanscrito mi scusino per la traslitterazione) che aveva come significato "il vuoto, l'assenza, il nulla, il niente, l'insignificante, la quantità trascurabile" e così divento il nome principale per indicare lo zero. Nome principale, perché Georges Ifrah nella sua //Enciclopedia universale dei numeri// snocciola una serie di sinonimi che venivano usati per varietà nel discorso: un conto era infatti scrivere i numeri, altra cosa pronunciarli per esteso. Così ci sono ben **diciassette** altri termini per lo zero, con significati che variano tra punto, buco, etere, atmosfera, cielo, spazio, firmamento, volta celeste, "viaggio sull'acqua", "piede di Vishnu", zenit, pienezza, totalità, integrità, "serpente dell'eternità", infinito. Buffo che ci siano parole di significato totalmente opposto, vero? Ma in un certo senso zero e infinito sono due facce della stessa medaglia, e non essendoci bisogno di una cifra "infinito" non si poteva certo fare confusione. Quando i numeri indiani sono passati agli arabi, loro si sono limitati a traslitterare shunya, ottenendo //sifr// sempre col doppio significato di "vuoto, nulla" e "numero zero". Il tutto passò agli europei, che a loro volta traslitterarono il termine in latino. Così Fibonacci parlò di //zephirum//, rabbi Ben Ezra (1092-1167) lo chiamò //sifra//, il monaco bizantino Massimo Planude (ca 1260-ca 1305) //tziphra//, e così via. Ma la parola entrò anche nel volgare: nel XIII secolo nel linguaggio popolare una persona priva di valore, quella che insomma noi oggi apostroferemmo come "sei uno zero", era una "cifra di algorisma", cioè uno zero nel metodo di scrittura arabico. Tra l'altro Paulo Ferro mi segnala che anche in Brasile c'è una frase simile: "zero à esquerda", cioè "zero a sinistra", che significa che una persona vale meno di niente. Sempre in quel periodo, nell'italiano bolognese si ha la parola "zifra", proprio come pronuncerebbe un bolognese di oggi... Ma com'è che la parola cifra ha ampliato il suo significato, passando dal significare il singolo simbolo 0 all'essere uno qualunque dei dieci numeri? Sempre secondo Ifrah, la causa di questo slittamento semantico è stata la contrapposizione tra la Chiesa, che osteggiava il metodo arabo perché "portato dal diavolo" e si abbarbicava alle vecchie tecniche di calcolo che erano così complicate da essere appannaggio di una minuscola e facilmente controllabile casta, e il popolo che invece si buttò a pesce sulla novità semplificatrice, e che si sarebbe accorto così bene che la facilità d'uso era merito della "cifra", nel senso dello zero, che definì per antonomasia tutto il sistema. Ai dotti non restò che tirare fuori un'altra parola per il numero 0; riprendendo la traslitterazione fibonacciana, si passò da //zephirum// a //zefiro// abbreviato poi in //zero//, che dall'Italia si sparse per il continente ("zero" in inglese, "zéro" in francese, "cero" in spagnolo dove ricordo che la c si pronuncia come una z sorda...) Non so, ma a me questa ipotesi non piace più di tanto, non foss'altro che perché alla fine del XV secolo Vespasiano da Bisticci, che di latino [[http://it.wikipedia.org/wiki/Vespasiano_da_Bisticci|secondo Wikipedia]] ne sapeva pochino, usava "cifra" nel senso di "codice segreto usato per nascondere il significato di un testo agli estranei", il che mi fa pensare che forse non è che il popolo conoscesse così bene le cifre arabe... pur con un'accezione di "popolo" che non comprendeva certo i contadini. Persino Montaigne, ancora un secolo dopo - siamo intorno al 1575 - scrive «Io non so contare né a gettoni né a penna», quindi né con l'abaco né facendo le operazioni coi numeri arabi. Ad ogni modo, questo secondo significato di "cifra" è giunto fino ad oggi, anche se in genere si preferisce parlare di "testo cifrato" e non di "testo in cifra". Ma c'è ancora un terzo significato della parola, attestato per la prima volta nientemeno che nelle opere di Torquato Tasso: quello di "monogramma, abbreviatura, sigla". In un certo senso, se uno pensa alla scomodità della notazione latina, credo che siamo tutti d'accordo che le cifre costituiscono un'abbreviazione. Peccato che da questo significato è derivato quello attuale di "iniziali che si ricamano sulle camicie o in genere sui capi di vestiario": vi assicuro che ancora oggi c'è chi si fa cifrare le camicie, anche se non garantisco lo facciano anche sui fazzoletti. Non trovate buffo che queste "cifre" siano in realtà delle lettere? Diciamocelo: "cifra" è una parola saponetta, con un significato che sguscia sempre via da un opposto all'altro. I cardinali, intesi come gli alti prelati della chiesa cattolica, sono così comuni in Italia che penso chiunque abbia sentito nominare il termine. Magari però a molti di loro non è mai venuto in mente di scoprire da dove giunga questa parola, e men che meno immaginano che anche i matematici hanno i loro cardinali! L'origine della parola è latina: //cardus// significa "appoggio, cardine", proprio come quelli su cui una porta gira su se stessa. Poi, per un torinese come me, il cardo è la strada principale di un accampamento romano, assieme al decumano che gli è perpendicolare... ma qua andiamo un po' fuori dal seminato. Quello che conta è che "cardinale" sta a significare come senso traslato "qualcosa di fondamentale": i cattolici, oltre ai prìncipi della Chiesa, parlano anche di //virtù cardinali// - prudenza, fortezza, giustizia e temperanza, da non confondersi con fede, speranza e carità che sono virtù //teologali// - mentre i cartografi parlano di //punti cardinali//. I matematici sono arrivati molto più tardi a sfruttare il nome: bisogna infatti aspettare la seconda metà del XIX secolo, quando sono iniziati tutti i dibattiti sui fondamenti della matematica e si è iniziato ad osservare piu attentamente i numeri naturali. Ci si è così accorti che da una parte i numeri potevano essere visti nel loro ordine appunto naturale (primo, secondo, terzo...), e hanno chiamato quei numeri ordinali; ma potevano anche essere visti ciascuno per conto proprio, guardando la loro grandezza. In questo caso, probabilmente, hanno ritenuto che questo fosse il concetto fondamentale, e così nel 1865 è entrato nel linguaggio matematico il termine "numero cardinale". Poi è arrivato Georg Cantor, che ha deciso che i cardinali transfiniti (in parole povere, i numeri "infiniti") erano a loro volta in numero infinito, e quindi i cardinali intesi come numeri si sono espansi più dei cardinali intesi come prelati. Addirittura, una volta che i logici si sono fatti prendere la mano, sono nati concetti astrusi come quello dei cardinali //inaccessibili//, che possono esistere ma non si possono definire come limite di altri cardinali; insomma, qualcosa di evanescente, anche perché dipende da una serie di assiomi che si vuole accettare come veri. Un bel salto, a partire dal significato iniziale: non trovate? ---- ←[[parole:cardinale]] - [[parole:|(↑ indice)]] - [[parole:corollario]]→