Vorrei averli qui, quelli che dicono "Torino è tutta squadrata, non puoi perderti". Ci provino loro, a girare dalle parti della Dora. Quella sera c'era poi un nebbione, ed ero in ritardo folle; così, vedendo un negozio ancora aperto, mi ci fiondai per avere lumi. Dentro c'era roba affastellata ovunque, tutti oggetti che servivano a misurare il tempo: clessidre, calendari, orologi al cesio... e c'era lei. Alta, snella, lunghi capelli neri lisci; e sorrideva. Proprio a me.
«Ciao! Sono Diana. Questo posto ti sembra strano, ma per ogni cosa c'è il suo tempo», mi disse, come fossi un vecchio amico. «C'è un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per piantare e un tempo per raccogliere». «I Byrds, "Turn Turn Turn"!», commentai, fiero come un ragazzino di poterle mostrare la mia cultura.
«No, Qoelet. Chi scrisse la Bibbia era saggio, ma oggi gli uomini non lo sono più: e quello che non è accaduto finisce qui. Prendi!» Mi diede una sveglia al quarzo, quelle di moda negli anni '70; la toccai e mi rividi adolescente, quando la mia amica Paola andò ad abitare via da Torino. Ma ora le raccontavo quello che non avevo mai osato dirle, e poi restavamo d’un tratto a guardarci, muti, e poi...
La visione terminò bruscamente. Diana si era ripresa la sveglia. Mi sorrise ancora e continuò, come se non fosse successo nulla: «C'è un tempo per tutto: il passato è passato. Ma cosa volevi?» Avrei voluto lei, ma non osai dirglielo. Le chiesi invece dov’era via Sassari. Me lo spiegò, ma il suo sorriso mi parve triste: le promisi che sarei tornato il giorno dopo, ma commentò solo «C'è un tempo per tutto».
Tornai là il giorno dopo, e quello successivo, e quelli dopo ancora: non riuscii più a trovare quel negozio. Un paio di mesi dopo, trovai nella tasca del mio giaccone un biglietto da visita con nome e indirizzo del negozio: mi precipitai là, e mi trovai davanti al vecchio cimitero di san Pietro in Vincoli. Diana aveva ragione. C'è un tempo per tutto. Ma bisogna prenderlo al volo.
5 febbraio 2008