In perfetto "effetto Fantozzi", dopo la pioggia del weekend, la mattina il sole splendeva che era un piacere. Considerando però che tanto non dovevamo andare a lavorare, non mi sembra che l'effetto abbia avuto tutto quel successo, no? Per recarci in Provenza, ho preferito evitare la strada di Sospel, scendendo piuttosto verso Ventimiglia, con lo scherzoso lamento di Anna che mi ha detto che lo faccio apposta a continuare a passare le frontiere. A parte che dopo Schengen si nota che si è passata la frontiera giusto perché l'asfalto è nuovo, un punto a favore in effetti c'era: dovevo fare alcune telefonate, e tanto valeva farle in territorio italiano, no? Come bonus, abbiamo anche avuto la possibilità di prenderci un caffè fatto all'italiana (ma che comunque era schifosetto) e il giornale, anche se quel bar-edicola della frazioncina aveva finito praticamente tutti.
Presa l'autostrada a Ventimiglia, credo di avere incocciato il tratto più caro del mondo. Dal casello di entrata a quello del pedaggio ci saranno sì e no trecento metri: in realtà non sei nemmeno entrato in autostrada, perché lo svincolo di ingresso ti manda già in barriera. Bene, il costo è stato 1 euro e 80. Da non crederci. Magari ci volevano abituare alle autostrade francesi, dove ogni trenta-quaranta chilometri ti mettono il bel casello con il cestone per le monete?
Tra un cestone e l'altro, siamo usciti dall'autostrada per andare a vedere l'abbazia di Thoronet, indicata dalle guide come uno dei capolavori dell'arte cistercense in Francia. Bisogna dire che è effettivamente molto bella, anche se a guardarla attentamente si riescono a notare i restauri che sono stati fatti qua e là, soprattutto nel chiostro. Rimane un po' triste vedere che nonostante i 6 euro e dieci del biglietto, la "guida" che ti danno consiste in qualche pagina fotocopiata - una volta si sarebbe detto ciclostilata - che poi bisogna anche restituire alla fine della visita. Se si preoccupano tanto della carta sprecata, farebbero prima a chiedere se si vogliono spendere venti centesimi in più per i foglietti, no? Bisogna però ammettere che le spiegazioni, e soprattutto i cenni storici al movimento e ai motivi per cui i vari ambienti erano stati costruiti, erano molto interessanti, così come era carina la documentazione fotografica della situazione nell'Ottocento, precedente ai restauri. La chiesa poi, nella sua semplicità, ha indubbiamente un suo fascino.
Visto che ormai l'ora di pranzo, almeno dal mio punto di vista, era già passata da un pezzo, ci siamo fermati a Brignoles per prenderci un panino prima di riprendere l'autostrada. Ripreso il viaggio, ho subito richiesto un'ulteriore sosta a un autogrill; volevo infatti comprare una cartina della Francia. Il navigatore satellitare conosce infatti solamente le autostrade europee, e l'atlante che avevamo è in scala 1:650000, e quindi va bene per le strade principali e alcune secondarie, ma non è il massimo se poi bisogna spostarsi in giro per i paesini. Anna non era molto felice dell'idea, ma alla fine ha ceduto.
Forse saremmo anche riusciti ad arrivare ad Albaron con l'altra cartina, ma non ci giurerei. Il paese infatti è davvero composto da quattro case (ma con il suo bell'ufficio postale!), e trovare il nostro albergo, Le Flamant Rose, non è stato difficile una volta accortici che effettivamente eravamo nella metropoli! Entrati, stavolta abbiamo subito chiesto "parlez-vous italien?" La risposta è stata molto dubbiosa, ma almeno ci ha permesso di potere usare il nostro fintofrancese senza problemi. La nostra stanza era in una dependance a pochi metri dal ristorante, insomma dall'altro lato del paese. Molto piccola e con WC chimici, ma d'altra parte per 41 euro la notte non si può pretendere molto. Ed è stato anche difficile trovarla, una sistemazione da queste parti! Una zanzariera ci fa capire come da queste parti sia meglio stare molto attenti.
Visto che era ancora pomeriggio, abbiamo provato ad arrivare verso il mare. La prima impressione della Camargue è stata così una sfilza di "promenade à cheval" e di piste ciclabili: quadrupedi e velocipedi sembrerebbero insomma i mezzi di trasporto più frequenti nella zona. Noi non ci siamo lasciati tentare e abbiamo proseguito in auto sino alla fine della strada, che porta a Saintes-Maries-de-la-Mer. La prima idea che mi sono fatto del posto è stata una Torvajanica francese, con le sue casette basse, il lungomare intasato e pacchi di gente che non ha nulla di meglio da fare che bighellonare. Scesi dalla macchina ho invece visto che il paese ha comunque una sua fisionomia, a partire dalla parrocchiale che sembra una fortezza - e in effetti era stata trasformata così a causa delle invasioni dei saraceni. Risultato? La si vede a distanza di chilometri: secondo me era diventata un'attrazione per gli scorridori. Altro palazzo strano è la Torre Baroncelli, costruita giusto perché c'era un po' di posto a disposizione su un angolino...
Ah, la parte "de-la-Mer" è chiara, visto che siamo sul mare. Quella a sinistra è proprio plurale, Le Marie, che non sono quelle dei panettoni (o magari sì? non ci ho mai fatto caso) ma quelle che erano sul Calvario con Gesù e poi secondo la leggenda se ne sono andate via dalla Palestina a causa delle persecuzioni, e hanno navigato fino alle coste francesi. Da qui, la Maddalena se n'è andata in giro per la Francia, mentre le altre due sono rimaste sulla costa...
Per la cena, ci siamo orientati per il ristorante del nostro albergo, che tra l'altro fa parte di un gruppo che vuole portare avanti le tradizioni provenzali in cucina. La scelta si è rivelata ottima, e abbiamo mangiato con molto gusto.
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