Si parte! Dopo avere riempito all'inverosimile le nostre valigie, abbiamo aspettato che Marina arrivasse con la sua Alfa 147 rossa, pronta per partire per la Grande Germania. Le differenze con la nostra Alfa 147 rossa non sono tante: principalmente l'auto di Marina è diesel mentre la nostra è a benzina, e inoltre è della serie successiva. Siamo tutti vestiti molto leggeri, nonostante le previsioni del tempo diano pioggia e 16 gradi di massima e anche in loco non è che la giornata prometta chissà cosa: ma bisogna pure essere ottimisti, no? Il via ufficiale è alle 10:30, in una Milano vuota come può esserlo la domenica prima di Ferragosto. I problemi iniziano dopo: a parte il chilometro di coda alla dogana svizzera, giunti nelle autostrade elvetiche iniziamo a trovare una prima coda per lavori in corso verso Bellinzona. Questa è seguita poi dalla Vera Coda: quella per entrare sotto il San Gottardo, che inizia un chilometro prima dello svincolo di Airolo. Il guaio è che non ci è venuto in mente che oggi ci sono tutti i tedeschi e gli olandesi - e immagino anche un bel po' di svizzeri, ma almeno loro sono già praticamente a casa - che stanno tornando a casa. Anche il clima non aiuta certo: i timidi raggi di sole che a un certo punto si erano visti hanno lasciato il posto alla pioggia e ai famosi 16 gradi previsti. Peccato, visto che c'erano queste valli verdissime che sembravano avere avuto una mano di vernice, dove ti aspetti da un momento all'altro di vedere le caprette che fanno ciao ad Heidi e soprattutto capisci che quelle discese che si vedevano nei cartoni animati non erano affatto inventate. Il guaio era che le valli erano mezze coperte da nuvole molto basse, che facevano venire umido solo a guardarle e quindi non suscitavano esattamente pensieri bucolici.
La coda al San Gottardo è stata molto più lunga di quanto avessimo previsto, e indubbiamente noiosa, con l'unico momento divertente che si è avuto quando i tre occupanti dell'auto di fianco sono a un tratto scesi dalla macchina e si sono scambiati di posto correndo chi da una parte chi dall'altra, in maniera perfettamente coordinata. Ma di tempo ne è comunque passato fin troppo, visto che erano quasi le due e mezzo, tanto che abbiamo pensato di fermarci a pranzare all'area di servizio successiva, che si trova dopo una ventina di chilometri. Sarà stata la pioggia o i 13 gradi - la temperatura era ancora scesa - ma posso assicurare che non siamo stati i soli ad avere quell'idea, tanto che abbiamo aspettato un paio di minuti prima di trovare un parcheggio. L'area di servizio, oltre ad avere il negozio con i soliti ammenicoli che si trovano solamente in questi posti, mostra il sano pragmatismo svizzero: si può tranquillamente pagare in euro e ti danno il resto in euro, con un cambio di 1.50 che non è nemmeno così lontano dalla realtà.
Usciti, ci siamo riavviati verso Basilea; peccato che con tutti quei ritardi siamo arrivati in città che erano quasi le 17, e dopo esserci persi a trovare un parcheggio abbiamo scoperto che a quell'ora chiude tutto. Chiuso il Rathaus; chiusa la cattedrale; chiuso il museo. Almeno non pioveva, quindi ci siamo fatti due passi per il centro storico, molto silenzioso un po' per la pioggia e molto perché le auto non circolano. Il Rathaus, che come da scritta esterna è stato ricostruito e ampliato nel 1901, doveva avere avuto un architetto piuttosto balzano. Già è tutto colorato di rosso, poi il cortile interno è tutto affrescato, con un effetto piuttosto estraniante. La cattedrale invece ha una struttura gotica, compreso il chiostro doppio; qui il rosso che fa da padrone è quello della pietra, e per contrappasso il tetto è fatto di tegole colorate. Degne di nota le sculturine di mostri che adornano i cornicioni; sono tutte diverse l'una dall'altra, secondo lo stile no-global bassomedievale. Nonostante il tempo, davanti alla piazza del museo d'arte ci siamo anche beccati un torneo di beach volley, comprensivo di gradinate per il folto pubblico che assiepava gli spalti.
Ripresa la macchina, abbiamo continuato a notare le meraviglie del nostro parcheggio. Sopra ogni posto c'è un sensore immagino magnetico o ad ampio spettro che permette di sapere se il posto è occupato oppure no, nella speranza che uno non si metta in mezzo. E poi la cassa automatica, oltre che le carte di credito e i franchi svizzeri, accetta gli euro! L'unica fregatura è che il cambio è bastardo, visto che un franco e mezzo per loro equivale a più di un euro. Alla fine abbiamo così usato la moneta da 5 franchi che in dogana svizzera ci avevano dato di resto per i 30 euro della vignette. L'ho già detto, che gli svizzeri sono molto pragmatici, quando si tratta di parlare di soldi?
Arrivati finalmente in Germania e dopo un minimo di tempo necessario per abituarci al fatto che i cartelli gialli non indicano deviazioni, ma sono quelli normali di indicazione, ci siamo diretti verso Badenweiler, dove si è visto un mio errore fondamentale. Io avevo infatti stampato una piantina della zona, ma avevo scelto una scala troppo grande, pensando che avremmo dovuto usarla per arrivare al paese e poi sarebbe stato facile trovare la via giusta. Errore. Dopo quattro passaggi su e giù per il paese, una mia sosta davanti all'ufficio informazioni a cercare inutilmente di venire a capo della piantina ivi raffigurata, e la povera Marina che stava guidando ed era giustamente stanca, ci siamo decisi a chiedere informazioni a un tipo fermo alla fermata del bus. Sfoggiando il mio tedesco e soprattutto mostrando il foglio di carta con l'indirizzo scritto, mi sono trovato con una spiegazione dettagliatissima ed effettivamente corretta, tanto che siamo subito arrivati all'albergo.
Anche qui la tipa alla reception parlava solo in tedesco, ma alla fine ce l'abbiamo fatta e siamo arrivati alle nostre stanze, dove come prima operazione abbiamo acceso il termosifone: d'accordo che questo è l'hotel Vitana und Natur, ma preferiamo tutti non essere così vicini alla natura... Era già quasi ora di cena, almeno secondo gli standard tedeschi, e così ci siamo fatti una lunga passeggiata per vedere se trovavamo posti di nostro gradimento. Abbiamo saltato la Stube dove una targa spiegava che per un anno vi aveva soggiornato Nehru con "consorte" (oh, la parola Gattin non l'ho mai sentita da nessun tedesco, ho dovuto cercarla nel dizionario) e figlia, e siamo scesi al Wappen von Baden, un posto che avevamo adocchiato durante le nostre peregrinazioni in cerca dell'albergo. Alla domanda "flammenkuchen?" Anna e Marina, amanti del rischio, hanno detto di sì, mentre io mi sono limitato alla mia solita bistecca. Solo alla fine abbiamo scoperto che quella roba "alla fiamma" era una focaccia sottile, con sopra speck e cipolla oppure speck e formaggio. Non era nemmeno male, ed era sicuramente economica, visto che in tre non abbiamo nemmeno speso 40 euro.